Giudicato esterno nel giudizio tributario: applicazione e limiti secondo la Corte di Cassazione
La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, nella Sentenza 3 agosto 2023, n. 23724 (Pres. Bruschetta, Rel. La Rocca), accoglie il ricorso di una nota società del settore energia, ammettendo la società stessa, con decisione nel merito, al rimborso di oneri fideiussori ex art. 38 bis commi 4 e 5 del d.P.R. n. 633/1972 richiesto dalla stessa società per l’anno 2007.
Interessante è la questione preliminare posta dalla società che ha eccepito il giudicato esterno formatosi con riferimento alla medesima domanda di rimborso di oneri fideiussori ex art. 38 bis cit., sostenuti al fine di ottenere il rimborso del credito IVA relativo agli anni di imposta 2004 e 2005, accolta dalla CTR del Molise con sentenza n. 131/2022 depositata il 15.4.2022 e non impugnata dall’Agenzia delle entrate, di cui è stata depositata copia autentica con certificato di passaggio in giudicato.
Per la Corte la problematica della configurabilità, nel processo tributario, dell’istituto del giudicato esterno e della conseguente efficacia espansiva, trova come punto di riferimento la sentenza delle Sezioni Unite, Cass. 16.6.2006, n. 13916: nello specifico, la Corte ha affermato che «qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo … tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacché anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato» (Cass. S.U., 16.6.2006, n. 13916).
La successiva giurisprudenza della Corte di legittimità si è uniformata alla ricordata pronuncia delle Sezioni Unite, riconoscendo che il principio del giudicato esterno non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, con riguardo, in particolare, a quelle statuizioni che siano relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi caratterizzati dalla durevolezza nel tempo (cfr. Cass. n. 38950 del 2021; Cass. n. 15171 del 2020; Cass. n. 14509 del 2016; Cass. n. 4832 del 2015).
Si è altresì riconosciuto che tale effetto si esplica non solo rispetto agli atti impositivi in senso stretto, ma anche in caso di istanza di rimborso, fermo, rispetto a quest’ultima, il limite derivante dal maturare dell’eventuale decadenza o prescrizione, trattandosi di fatti ulteriori di carattere impedivo ed estintivo rispetto al diritto al rimborso (Cass. n. 16684 del 2022).
In una fattispecie analoga si è riconosciuta la presenza di tutte le condizioni per riconoscere l’efficacia esterna ed espansiva del giudicato formatosi nel diverso procedimento: coincidenza di parti processuali; identità di causa petendi e petitum, identità di circostanze fattuali e delle questioni di diritto controverse (Cass. n. 31092 del 2021 non massimata).
L’invocato giudicato consente, quindi, di risolvere la questione posta con il motivo di ricorso principale con cui la società deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 8 comma 4 legge n. 212/200 e dell’art. 38 bis d.P.R. n. 633/1972, motivo che, per i Giudici di Legittimità, sarebbe comunque fondato.
Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione ha già avuto occasione di stabilire che l’art. 8, comma 4, della l. n. 212 del 2000, laddove impone all’amministrazione finanziaria di rimborsare il costo delle garanzie fideiussorie richieste dal contribuente per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi, comprende i costi di tutte le garanzie che il contribuente ha richiesto: ciò perché l’espressione «ha dovuto richiedere» si deve intendere non nel senso dell’esistenza di un ipotetico obbligo normativo, bensì con riferimento alla necessità (intesa come onere) della richiesta della garanzia in rapporto allo scopo perseguito (ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o il rimborso). (Cass. n. 16409 del 2015; Cass. n. 22720 del 2020).
Quindi, in tema di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, chiesta dal contribuente per ottenere la sospensione, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, ha portata generale ed è indipendente dalla fisionomia della controversia tributaria, stante l’esigenza ad essa sottesa di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, in caso di infondatezza della pretesa impositiva o di legittimità della pretesa di rimborso di somme dovute, che una diversa interpretazione frustrerebbe, oltre a porsi in contrasto con il diritto unionale (Cass. n. 5508 del 2020; Cass. n. 31092 del 2021).
Infatti, va considerato il consolidato orientamento della Corte di giustizia, in base al quale gli Stati membri indubbiamente dispongono di una certa libertà quanto alla determinazione delle modalità di rimborso dell’eccedenza di iva, purché, però, il sistema di rimborso adottato non faccia correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (Corte giust. 28 febbraio 2018, causa C-387/16, punto 24; 6 luglio 2017, causa C-254/16, Glencore, punto 20; 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok, punto 33).