Costi da fideiussione prestata per la restituzione del credito IVA, il rimborso spetta al contribuente anche in mancanza di accertamento
In tema di garanzia prestata ai sensi degli artt. 30 e 38-bis del d.P.R. n. 633/1972 in relazione a una richiesta di restituzione di credito IVA non detraibile da parte di una società priva di stabile organizzazione in Italia ed operante tramite un rappresentante fiscale, il rimborso del costo degli oneri fideiussori spetta al contribuente anche ove non abbia avuto luogo un’attività di accertamento circa la debenza dell’imposta e la garanzia sia stata rilasciata ai fini della restituzione del credito di imposta oggetto di rimborso. Non trova applicazione il termine decadenziale di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992. Questo il principio stabilito da Cass. 20024/2023.
Genesi del contenzioso e caso concreto.
Una società priva di stabile organizzazione, operante in Italia per il tramite di un rappresentante fiscale, presentava istanza di rimborso dei costi sostenuti per la prestazione di garanzie fideiussorie necessarie, ai sensi dell’art. 38-bis d.P.R. n. 633/1972 (Decreto IVA), al fine di richiedere la restituzione di un credito IVA. A tale istanza faceva riscontro il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate, che la società impugnava invocando l’art. 8, co. 4, L. n. 212/2000 (a norma del quale incombe sull’Amministrazione il dovere di procedere al rimborso del costo delle fideiussioni de quibus) unitamente al generale obbligo, di matrice unionale, di neutralizzare i costi sostenuti dai contribuenti per il recupero delle eccedenze di imposta ed alla concreta inesistenza di alternative alla procedura di rimborso.
Il ricorso avverso il silenzio rifiuto opposto da parte erariale veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Varese. I giudici, in dettaglio, ritenevano che l’obbligo di rimborso del costo delle fideiussioni gravante sull’Erario operasse solo in ipotesi circoscritte, non applicandosi nel caso in cui la prestazione delle garanzie “fosse conseguenza non di una attività accertativa dell’Ufficio poi risultata illegittima, bensì di una richiesta facoltativa di rimborso dovuta alla scelta discrezionale del contribuente di operare in Italia tramite rappresentante fiscale”.
Analogamente, il giudice di secondo grado rigettava l’appello per le seguenti ragioni:
- sussistenza del diritto al rimborso, ai sensi dell’art. 8, co. 4, dello Statuto del contribuente, solo in relazione a garanzie fideiussorie prestate in caso di accertamento;
- assenza di qualsivoglia lesione del principio di neutralità dell’IVA, poiché gli oneri della fideiussione ricadono sul solo utilizzatore finale del bene o servizio;
- carattere di facoltatività della richiesta di rimborso nel caso di specie (così come facoltativa era la connessa prestazione di garanzie ex artt. 30 e 38-bis del Decreto IVA);
- da ultimo, la procedura di infrazione n. 2013/U4080 aveva ad oggetto non il ristoro dei costi da fideiussione, bensì le sole tempistiche di erogazione dei rimborsi.
La società proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi:
- violazione e falsa applicazione dell’art. 183 della Direttiva 112/2006/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (Direttiva IVA) nonché degli artt. 19, 30 e 38-bis del Decreto IVA, stanti la negazione, da parte del giudice di appello, del diritto al rimborso dei costi da fideiussione e l’esclusione della violazione del diritto unionale in forza della ritenuta “facoltatività” della richiesta di rimborso;
- violazione degli artt. 36 del D.Lgs. n. 546/1992, 115, 122 e 132 c.p.c., nonché 118 disp. att. c.p.c., per assenza di motivazione con riguardo agli asseriti profili di facoltatività della procedura di rimborso, idonei (a giudizio della CTR) a escludere i possibili contrasti con il diritto europeo e, pertanto, il diritto stesso al rimborso;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 8, co. 4, dello Statuto del contribuente, nonché degli artt. 19,30 e 38-bis del Decreto IVA e 183 della Direttiva IVA, avendo il giudice del gravame ritenuto l’applicabilità del richiamato art. 8 alle sole garanzie prestate dai contribuenti in relazione a ipotesi di accertamento.
La decisione della Suprema Corte.
La Corte di Cassazione ha ribaltato il dictum emerso dai precedenti gradi di giudizio, accogliendo il primo e il terzo motivo, con assorbimento del secondo, per le ragioni che seguono.
Il Collegio, in prima istanza e richiamando il precedente formato giurisprudenziale in materia, ha inteso chiarire (§ 7.1. e ss.) che il diritto al rimborso dei costi da fideiussioni richieste ai sensi dell’art. 8, co. 4, L. n. 212/2000 (norma avente natura immediatamente precettiva) si configura come un vero e proprio diritto soggettivo perfetto che, pertanto, ha portata generale, essendo finalizzato alla tutela dell’integrità patrimoniale dei contribuenti. Non sussistono, invero, limitazioni di sorta nei riguardi di società che, come la ricorrente, non risiedono in Italia ed operano sul territorio nazionale per il tramite di un rappresentante fiscale, né il diritto al rimborso è circoscrivibile alle sole garanzie prestate per il pagamento di tributi in corso di accertamento, “bensì copre anche i casi in cui la garanzia è rilasciata per la restituzione del credito di imposta rimborsato dall’Amministrazione finanziaria per l’eventualità che, all’esito dell’attività di accertamento dell’Ufficio, dovesse emergere l’insussistenza del credito medesimo”. Secondo la Corte, infatti, “[i]n questi ultimi casi il diritto alla restituzione degli oneri fideiussori sorge allorquando l’Ufficio abbia espressamente riconosciuto il credito di imposta ovvero siano spirati i termini per l’accertamento dell’imposta rimborsata”.
Ciò si pone nel solco dell’orientamento consolidato della Corte di Giustizia dell’Unione Europa, secondo cui il fatto che gli Stati membri godono di autonomia nella determinazione delle modalità di rimborso delle eccedenze IVA non implica che gli stessi possano ledere, de facto, il principio di neutralità fiscale. Al contribuente deve, pertanto, essere riconosciuto il diritto al recupero della totalità del credito entro un termine ragionevole.
Inoltre la Corte evidenzia che il legislatore italiano ha provveduto a riplasmare la disciplina dei rimborsi IVA proprio al fine di assicurare il rispetto del principio di neutralità e di giungere all’archiviazione della richiamata procedura d’infrazione n. 2013/4080 avviata dalla Commissione europea.
In conclusione, sul punto la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di fideiussione prestata ex D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 30 e 38 bis, comma 1, in caso di richiesta di rimborso di credito IVA non detraibile da parte di società priva di stabile organizzazione in Italia ed operante tramite un rappresentante fiscale, in applicazione del principio di neutralità come interpretato dalla Corte di Giustizia e della l.n. 212 del 2000, art. 8, comma 4, il rimborso del costo degli oneri fideiussori spetta al contribuente anche quando sia mancata un’attività di accertamento in ordine alla debenza dell’imposta e la garanzia sia rilasciata per la restituzione del credito di imposta oggetto di rimborso da parte d[e]ll’Amministrazione finanziaria”.
Il Collegio di legittimità si è altresì espresso negativamente in merito all’operatività del termine di decadenza biennale di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992 con riguardo all’azione di rimborso dei costi da fideiussione. La norma, infatti, richiama espressamente l’art. 19, co. 1, lett. g) s.d., secondo cui “[i]l ricorso può essere proposto avverso: […] il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti”: sono dunque esclusi i costi da fideiussioni, che hanno natura non satisfattoria bensì indennitaria. In virtù del predetto rinvio, pertanto, è chiara la non applicabilità del termine decadenziale biennale previsto dal citato art. 21.
Ne consegue la formulazione di un secondo principio di diritto: “Il termine di decadenza biennale non può essere applicato all’azione di rimborso dei costi per la fideiussione, la quale assolve una funzione qualitativamente diversa rispetto all’obbligazione tributaria ed è per tale ragione esclusa dal richiamo al decreto legislativo del 31/12/1992 n. 546, art. 19 operato dal successivo art. 21, comma 2, che dev’essere inteso riferito al tributo e alle sanzioni”.
In forza di quanto statuito la Suprema Corte ha accolto il ricorso pronunciandosi nel merito, cassando senza rinvio la sentenza impugnata.