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Lockdown: non costituisce reato aver dichiarato il falso nell’autocertificazione prevista dai DPCM

Non è configurabile il delitto di cui all’art. 483 c.p. nei confronti chi abbia dichiarato falsamente di trovarsi in una delle condizioni che consentivano gli spostamenti anche all’interno del Comune di residenza in base al DPCM 8.3.2020, in quanto la norma di cui all’art. 1 del predetto DPCM deve ritenersi contrastante con il principio di riserva di legge e giurisdizione di cui all’art. 13 Cost. in forza del quale le limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base ad atto motivato della Autorità giudiziaria (e non già in base ad una atto amministrativo) e “nei casi e nei modi previsti dalla legge” e dunque con provvedimento di natura singolare, essendo invece precluse limitazioni generalizzate e assolute della libertà personale come sarebbe l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini; da questo punto di vista il divieto di ogni spostamento dalla abitazione, salvo in determinati casi consentiti, si risolverebbe non già in una mera limitazione della libertà di circolazione di cui all’art. 16 Cost., ma in una conculcazione – preclusa alla Autorità Amministrativa, financo al Presidente del Consiglio dei Ministri – dell’inviolabile diritto di libertà personale; conseguentemente, disapplicata in parte qua la norma secondaria contrastante con il dettato costituzionale, la falsa rappresentazione delle condizioni di liceità del comportamento comunque consentito risulta priva di rilevanza offensiva, siccome riconducibile alla categoria del “falso inutile”.

(Il GIP presso il Tribunale di Reggio Emilia ha di conseguenza pronunciato sentenza di proscioglimento per insussistenza del fatto, rigettando la richiesta di decreto penale di condanna formulata in relazione al predetto reato dal PM).


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