Cassazione civile, sez. 5, 04.04.2019, n. 9448

La motivazione della sentenza, dopo aver riferito della normativa applicabile per l’accertamento fondato sugli studi di settore e dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte sulle regole di riparto dell’onere probatorio, ha ritenuto superata la presunzione relativa posta a favore dell’Ufficio su una serie di rilievi circostanziali quali: a) la certificata incidenza del precario stato di salute del contribuente (sulla cui valenza indiziaria, cfr. Cass. 14/05/03 n. 7423); b) la struttura uni-personale di azienda “minima”; c) gli effetti della crisi economica (sulla rilevanza delle crisi economica nel superamento della presunzione cfr. Cass. 30/01/2018 n. 12273); d) l’ attrezzatura non funzionante per fatto del terzo riguardante il fallimento del fornitore (v. sentenza, pagina 3: «…va rimarcato che trattasi di un tipografo operante in un territorio in profonda crisi economica, che soffre di artrosi deformante che spesso per lunghi periodi è costretto ad immobilità come da certificato di invalidità, che nel 2001 aveva acquistato un’attrezzatura mai entrata in produzione ed ancora non funzionante per fallimento del fornitore, che è un piccolo artigiano che lavora senza dipendenti; che l’Ufficio nel contraddittorio con il contribuente non è pervenuto ad una più fondata e ragionevole misurazione del presupposto impositivo confrontando gli elementi offerti con le metodologie presuntive di accertamento. L’ufficio non dimostra alcunchè tranne il trincerarsi che sul fatto degli studi di settore sono strumento assolutamente legittimo su cui fondare l’accertamento.»).

In altri termini, la CTR, con un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità ha, nel merito, escluso l’applicabilità al caso di specie dell’accertamento statistico, ponendo in rilievo gli elementi “a discarico” offerti dal contribuente e sopra evidenziati, sui quali ha negato che il contribuente fosse imprenditore “non congruo” per studio di settore. La ratio decidendi, cioè, è tutta accentrata sull’adeguata giustificazione da parte del contribuente dello scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli scaturenti dall’applicazione parametrica e non, invece, sulle questioni di diritto dedotte dall’Agenzia delle Entrate.

Orbene, poiché su tali circostanziali rilievi di cui alla sentenza impugnata la ricorrente omette l’impugnazione, né profila una questione d’insufficiente o contraddittoria motivazione – questione che, in considerazione delle specifiche deduzioni di cui al ricorso esclusivamente incentrate sulla violazione di legge (artt. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993 e 10 della I. n. 146 del 1998) non può ritenersi, neppure implicitamente proposta – ne consegue che il ricorso è inammissibile per carenza di interesse: l’eventuale esito favorevole della questione di diritto dedotta, non potrebbe portare alcun vantaggio alla parte ricorrente rimanendo ferme, in mancanze di specifica impugnazione, le statuizioni di merito assunte dalla CTR.

E’ principio fermo in giurisprudenza che la mancata partecipazione al contraddittorio preventivo, non preclude al contribuente di provare, in via giudiziaria, l’infondatezza della pretesa erariale.

Questa Corte ha da tempo chiarito e ribadito (da Cass. Sez. U. 18/12/2009 n. 26635, Rv. 610691 – 01 alle più recenti tra cui Cass. 20/09/2017 n. 21754, Rv. 645461-02; Cass. 30/10/2018 n. 27617, Rv. 651218-01) che l’accertamento mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. Già in fase di accertamento, infatti, il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni tali da giustificare l’esclusione dagli “standards” o la specifica realtà v dell’attività economica, ciò in disparte la motivazione dell’atto di accertamento che deve spiegare in concreto l’applicabilità dello “standard” prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Tuttavia, qualunque sia l’esito del contraddittorio, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo (e dovendo) il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” quanto la controprova offerta dal contribuente, il quale dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (cfr. Cass. 20/02/2015 n. 3415, Rv. 634928 – 01).

Nella fattispecie, pur vedendosi in ipotesi nella quale il contribuente non aveva risposto all’invito dell’Ufficio al contraddittorio, il contribuente ha impugnato l’accertamento ed ha offerto a sua discolpa una serie di elementi indiziari che i giudici d’appello hanno verificato e ritenuto prevalenti rispetto agli strumenti parametrici, il che non contrasta, ma, anzi, conferma la corretta applicazione, della normativa in materia.


Cass. civ., sez. 5, 04.04.2019, n. 9448

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