Il mutuo come contratto di durata
1) Il contratto di durata quale contratto ad esecuzione continuata e periodica
Contratti di durata è espressione che ricorre frequentemente nella letteratura giuridica. In senso proprio non è il contratto ma è il rapporto che è di durata: anche il contratto non è di necessità un fatto istantaneo, ma per questo tipo di contratto, la
caratteristica della durata non attiene alla formazione[1], ma all’esecuzione del contratto, e quindi non attiene al negozio come fonte del rapporto ma al rapporto come effetto del negozio. Si dovrebbe dunque parlare non di contratti ma di rapporti di durata.
Lo stesso vale per l’espressione “contrats succesifs” corrente nella dottrina francese, e per quella “atti continuati” proposta nella nostra dottrina[2], che più ancora di quella “contratti di durata“ possono far pensare ai problemi della formazione (anziché della esecuzione) successiva del contratto. Se nei rapporti in esame si riscontra un atto duraturo, questo non è il contratto ma l’atto dovuto per effetto del contratto.
“Contratto di durata“ è espressione poco compromettente, perché non contiene una vera e propria definizione, limitandosi ad indicare che una qualche rilevanza va riconosciuta alla durata, senza precisare né quale sia e in che momento precisamente si esplichi questa rilevanza, né che cosa in senso proprio debba intendersi per durata[3].
Meno generica è la denominazione adottata dalla legge,
“contratti ad esecuzione continuata” e “contratti ad esecuzione periodica”, contrapposta a quella “contratti ad esecuzione istantanea”[4].
Il concetto di contratto di durata viene comunemente individuato con riferimento al posto più o meno importante riservato alla durata nell’esecuzione del contratto[5] ed in contrapposizione al concetto di contratto ad esecuzione istantanea[6].
I rapporti ad esecuzione istantanea o transeunte si esprimono nell’obbligo di una prestazione concentrata in un solo momento, quelli di durata nell’obbligo di una prestazione che si prolunga per un certo tempo. La durata dell’esecuzione può dar luogo così ad una pluralità di atti di esecuzione scaglionati nel tempo[7], come ad un contegno continuativo di esecuzione protratto per un certo tempo (esecuzione continuata: la locazione di cose)[8].
Non ogni contratto, però, la cui esecuzione si prolunghi nel tempo è senz’ altro compreso nel contratto di durata. Infatti non è che per contratto ad esecuzione istantanea debba unicamente intendersi quello in cui l’obbligo di prestazione e controprestazione si esauriscono uno actu[9]. Non sono in genere ritenuti contratti di durata, i contratti ad esecuzione semplicemente differita o ripartita[10]. Tutto ciò porta ad affermare che nei contratti di durata il tempo si presenta non come modalità accessoria ma come nota individuatrice della prestazione e che l’obbligazione non è in essi estinta dall’adempimento, ma solo dal decorso del tempo.
Sulla qualificazione del contratto di mutuo molto si è scritto in dottrina e gli orientamenti più autorevoli oscillano fra gli ampi margini rappresentati dalla natura reale o consensuale. Secondo la concezione classica[11], il mutuo è il contratto reale per antonomasia: il momento della consegna della cosa attiene, dunque, alla perfezione dello stesso, costituendone un elemento ad essentiam[12], in quanto, prima di allora non sorge il tipico obbligo di restituzione.
Il recente orientamento della Cassazione, che ha equiparato alla datio la “disponibilità giuridica della somma in una logica più coerente con la celerità delle transazioni richiesta dai traffici moderni, ha confermato, tuttavia, la natura reale del mutuo[13]. Ne segue che, una volta avvenuta la traditio rei, ogni impegno riguarda il solo mutuatario, tenuto alla restituzione (obbligazione principale) ed eventualmente alla corresponsione di un interesse per il godimento del bene (obbligazione accessoria)[14].
Al contrario, quanti sostengono la natura consensuale, osservano che, in realtà, il contratto prevede prestazioni corrispettive, come si desumerebbe dalla funzione essenziale, e non meramente eventuale, degli interessi[15]. Si tratta di N interessi corrispettivi », appunto, che non soddisfano solo la finalità economica del rapporto, ma ne giustificano la funzione stessa. La sinallagmaticità, dunque, non può che essere la conseguenza di un contratto che sorge anteriormente alla mutui datio, per effetto del semplice incontro delle volontà di chi si impegna a consentire il godimento della cosa propria e di chi si obbliga, in cambio, a pagarne un interesse a titolo di corrispettivo.
Infine, scisso l’aspetto economico da quello giuridico, si introduce una qualificazione mediata, utilizzando la dizione di “contratto bilaterale imperfetto”[16].
Il fondamento della obbligazione di consegnare, che riguarda il mutuante, viene individuato nell’art. 1822 c.c., che disciplinerebbe “l’accordo definitivo sopra il dare e ricevere a mutuo”[17].
La elaborazione ulteriore[18] tende a conciliare le opposte teorie della realità e della consensualità, basate rispettivamente sulle norme codificate negli artt. 1813 e 1822 c.c.. Si giunge così ad un nuovo inquadramento, più flessibile e capace di adeguarsi alle nuove istanze degli operatori economici, per il quale, allo schema tipico del mutuo (reale) si affiancherebbero corrispondenti contratti di mutuo obbligatorio, che possono essere liberamente stipulati fra le parti nel rispetto della meritevolezza di interessi cui l’art. 1322 c.c. subordina il riconoscimento e la conseguente tutela[19]. Per la concreta qualificazione in tal senso, risultano rilevanti l’onerosità del prestito, la durata del rapporto e, segnatamente, la circostanza che mutuante sia un soggetto istituzionalmente dedito alla concessione del credito.
Riconosciuta, dunque, la derogabilità della regola della realità, sancita dall’art. 1813 c.c.[20], e ricondotto il mutuo consensuale nell’alveo naturale della libertà negoziale (art. 1322 c.c.), anziché nell’ambito della norma contenuta nell’art. 1822 c.c., occorre valutare la configurabilità di una autonoma promessa de mutuo dando et de mutuo accipiendo.
L’insegnamento della Suprema Corte, pur ancorato alla natura reale del mutuo, ex art. 1813 c.c., non ha tuttavia escluso che “prima del suo perfezionamento non sorga mai tra le parti alcun vincolo giuridico, in quanto, al contrario, anche riguardo al mutuo può configurarsi un contratto preliminare, consistente in una promessa”[21].
La triplice distinzione che si delinea fra mutuo reale (art. 1813 c.c.), consensuale (art. 1322 c.c.) e preliminare (art. 1822 c.c.) è stata oggetto di ampia trattazione in dottrina[22].
La Corte ha precisato, inoltre, che il preliminare è produttivo di un rapporto giuridico generatore di diritti e obblighi fra le parti, anche se “non dà titolo ad ottenere la sentenza prevista dall’art. 2932 c.c. “.
Nel senso della non eseguibilità in forma specifica del preliminare di mutuo è orientata anche quella parte della dottrina che respinge l’esistenza del mutuo consensuale, sottolineando l’”attualità della realità”[23].
A seguito di un riesame del problema dell’esecuzione in forma specifica[24], ne è stata ritenuta l’ammissibilità, così che è stata inserita l’ultima tessera del mosaico che definisce nella sua compiutezza la figura del mutuo consensuale.
L’evoluzione di questi finanziamenti, in effetti, sembra tendere verso una maggiore libertà delle forme, consentendo la più ampia estrinsecazione dell’autonomia contrattuale. Occorre ricordare, infatti, che la normativa del 1905 (R.D. 16 luglio 1905, n. 646, art. 16) prevedeva la stipula di un “contratto condizionato”, che avrebbe avuto effetto dopo che fosse risultata l’acquisizione di idonea garanzia ipotecaria di primo grado. A questo avrebbe fatto seguito la conclusione di un “contratto definitivo”, con contestuale consegna delle cartelle corrispondenti all’entità del prestito.
La distinzione fra contratto condizionato e definitivo è stata espunta nella stesura della normativa successiva (D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, art. 3), in cui si dice che, stipulato il “contratto” e accertata la necessaria condizione, rappresentata dall’iscrizione di ipoteca di primo grado, l’Ente consegnerà la somma contro “quietanza”, da redigersi per atto pubblico.
La Cassazione[25] ha precisato che non possono essere compresi nella previsione normativa dell’art. 1458 C.C. i contratti in cui “ad una prestazione periodica o continuativa di una parte si contrappone una prestazione istantanea (anticipata o posticipata) dell’altra parte”. Tuttavia, occorre ricordare che la fattispecie esaminata non si riferiva ad un contratto di mutuo, ma al diverso rapporto di somministrazione di energia elettrica. Nel caso in esame, dunque, anche considerando continuata la prestazione cui è tenuto il mutuatario, non potrebbe esserne disconosciuta l’unilateralità, in contrapposizione alla prestazione certamente istantanea del mutuante. Coerentemente, la Suprema Corte ha anche statuito che “in caso di risoluzione di un contratto solo unilateralmente ad esecuzione continuata o periodica, prevale la regola della retroattività[26].
La dottrina, sul punto, ha diversamente qualificato il rapporto a seconda che la nozione di contratto di durata sia incentrata sul momento della esecuzione delle rispettive prestazioni oppure sulla attitudine del negozio a svolgere nel tempo la propria funzione economico-sociale[27].
In entrambe le ipotesi si giunge a conclusioni meno rigide rispetto a quelle indicate dalla Cassazione e più confacenti alla individuazione della disciplina da applicare al contratto di mutuo.
In particolare, l’indagine che muove dalle modalità di adempimento delle obbligazioni conduce inevitabilmente alla esclusione dal l’ambito dei contratti di durata per i motivi già esposti dalla Corte nelle pronunce appena richiamate. Si aggiunge che, affinché l’esecuzione possa essere considerata continuata nel tempo, l’oggetto del mutuo dovrebbe risultare necessariamente limitato a cose per loro natura divisibili e suscettibili di restituzione rateale; invece, non può escludersi a priori che, anche per il mutuo, possa essere convenuta la restituzione in unica soluzione, sola possibile per i beni non frazionabili e, talvolta, preferibile anche per il denaro.
Tuttavia, si ricorda[28] che, anche quegli autori[29] che escludono la natura di contratto a prestazione continuata, al fine di evitare la conseguenza della retroattività della risoluzione prevista dall’art. 1458 c.c. nella prima parte del comma 1, estendono anche al mutuo proprio l’applicazione delle norme sui contratti di durata in tema di condizione risolutiva (art. 1360, comma 2, c.c.), di recesso unilaterale (art. 1373, c o m a 2, c.c.) e, segnatamente, di risoluzione per inadempimento (art. 1458, comma 1, c.c.).
Secondo una diversa ricostruzione, invece, è stato escluso che l’esecuzione del contratto si risolva nella esecuzione di una obbligazione, dovendosi piuttosto ricollegare alla produzione degli effetti contrattuali nel tempo[30].
Il più deciso inquadramento pleno iure del mutuo fra i contratti a esecuzione continuata (così come il contratto di assicurazione) consente, dunque, l’immediata applicazione delle norme che di questa categoria regolano gli effetti.
2) L’attitudine del negozio a svolgere la propria funzione in maniera durevole
Nei contratti di durata la prestazione è determinata in funzione della durata stessa, in quanto la sua entità quantitativa dipende dalla durata del rapporto, nel senso che le prestazioni si determinano in funzione della durata e non questa in funzione di quelle[31].
Questo carattere vale tanto quando non vi è altra via che il riferimento alla durata per la determinazione della prestazione (prestazione continuativa per sua natura: fornitura di energie), quanto si sia in presenza della ripetizione periodica di una prestazione per sè ad esecuzione istantanea. In questo secondo caso, il tempo misura non la singola prestazione che si ripete, ma la ripetizione e cioè il numero o la quantità delle prestazioni; e conseguenza della connessione tra prestazione e durata è che, pur essendo la prestazione complessiva in astratto quantitativamente determinabile senza riferimento al tempo e quand’anche sia determinata la durata del rapporto, non è preventivamente determinato l’ammontare della prestazione dovuta, se non nel senso di fissare un limite massimo o minimo.
La determinazione della prestazione in funzione della durata distingue tali rapporti da quelli in cui si ha soltanto adempimento di una prestazione ad esecuzione istantanea, ripartito in più rate in funzione delle quali è determinata la durata del rapporto[32].
Così nella vendita a consegne ripartite, dove alla durata non corrisponde la soddisfazione di un interesse durevole ma la soddisfazione frazionata di un interesse istantaneo: la funzione della durata corrisponde ancora all’interesse ad avere la prestazione in un determinato momento, non quello ad averla continuativamente[33].
La durata dell’adempimento attiene alla causa del contratto nel duplice senso che questo non adempie alla funzione economica cui è preordinato se la sua esecuzione non si prolunga nel tempo, e che l’utile che alle parti deriva dal rapporto è proporzionale alla durata di questo[34]. La durata è elemento essenziale e non modalità accessoria del contratto: la causa, nei contratti di durata, non consiste nell’assicurare ad una parte una singola prestazione isolata, ancorché tale prestazione possa pretendere dal debitore una precedente attività continuativa o possa, essere effettuata in parti e in momenti diversi, ma nell’assicurarle la ripetizione della prestazione per una certa durata (tipico della somministrazione), o la prestazione continuativa, come tale, del debitore, per una certa durata[35].
Ciò discende dalla circostanza, che alla durata corrisponde, sempre sotto il profilo causale, un interesse o bisogno durevole cui il contratto soddisfa e che la durata è condizione di tale soddisfazione e quindi, anche per questa via, essenziale e non accidentale negotii.
L’attinenza della durata alla causa, nei due sensi indicati, contraddistingue sotto il profilo causale il contratto di durata da altre ipotesi di durata del rapporto obbligatorio: dalla durata del contratto a termine, che non è elemento causale, ma modalità accessoria; dalla durata della locatio operis, che è necessaria ma non è utile all’interesse delle parti; dalla durata del rapporto a termine essenziale e del rapporto ad esecuzione ripartita, che può rientrare nella causa del contratto concreto, ma alla quale non corrisponde un proporzionale utile delle parti. Differenze che discendono tutte dall’essere o meno al fondamento del rapporto un interesse duraturo.
La dottrina, come detto, riconosce essere possibile contenuto del rapporto di durata così (l’obbligazione di) una prestazione continuativa come (l’obbligazione di) una prestazione periodica o ripetuta. Tale determinazione è da ritenersi esatta. In entrambe le ipotesi si riscontra la soddisfazione di un interesse durevole; può anzi notarsi che interessi equivalenti dal punto di vista economico possono essere così con un contratto ad esecuzione propriamente continuata come con un contratto ad esecuzione periodica[36].
In entrambe le ipotesi dura nel tempo l’adempimento, continuativo in senso proprio o ripetuto. In entrambe la durata attiene quindi alla causa del contratto. In entrambe infine l’entità quantitativa della prestazione è determinata dalla durata o in funzione della durata.
Il rapporto di durata ha quindi per contenuto la prestazione di un’attività continuativa come tale o di una astensione continuativa, oppure la ripetizione nel tempo di una certa prestazione di esecuzione istantanea. Tenendo presente questo possibile contenuto del rapporto, si avverte che né è propria la definizione del rapporto di durata come quello che si esprime nell’obbligo di una prestazione duratura, “che si prolunga nel tempo”, perché questo non è che uno dei possibili atteggiamenti del rapporto, né è propria la proposizione che i contratti istantanei si contrappongono ai successifs in quanto suscettibili di essere eseguiti con una sola prestazione, perché anche nei secondi la prestazione è unica quando essa sia continuativa in senso proprio[37].
Nell’ ipotesi di ripetizione della prestazione si parla correttamente di esecuzione periodica. Di periodicità si può parlare tuttavia, propriamente, solo per l’ipotesi in cui la ripetizione si effettua ad epoche predeterminate o ad intervalli regolari, non per quella in cui le più prestazioni siano dovute a richiesta di una delle parti (ad es. vendita con esclusiva) o al verificarsi di determinati eventi[38].
Poiché non può escludersi a priori che anche in queste ipotesi possa parlarsi di rapporto ed anche di contatto unico di durata, appare preferibile l’espressione “esecuzione reiterata” o “ripetuta”.
Contenuto del rapporto di durata può dunque essere così l’obbligazione di una prestazione continuativa per sua natura come quella di una prestazione istantanea reiterata.
Tanto la prestazione continuativa come quella reiterata possono consistere sia in un contegno positivo come in un contegno negativo, così in un facere come in un non facere (o in un pati)[39].
Per quanto riguarda l’astensione, essa ha normalmente carattere continuativo, ma può darsi che abbia carattere istantaneo e che quindi in un contratto di durata si presenti come prestazione ripetuta anziché continuativa.
Anche il facere può in un contratto di durata dar luogo così ad una ripetizione di prestazioni come a una prestazione continuativa[40].
Sul contenuto del rapporto ad esecuzione continuata in senso proprio, esso può esser dato oltre che dall’obbligazione di una prestazione continuativa (e dal corrispondente diritto), da uno stato, o almeno da una qualità giuridica, sempre restando nei confini dei rapporti obbligatori, allo stato o alla qualità di socio o a quelli di membro di un consorzio.
Provato che prestazioni positive e negative possono costituire l’oggetto della obbligazione duratura così nei rapporti ad esecuzione continuata come in quelli ad esecuzione ripetuta, vi è ancora da osservare che la periodicità o reiterazione può riferirsi non solo a prestazioni per sé istantanee (positive o negative), ma anche a prestazioni continuative: così nella locazione delle cassette di sicurezza si ha reiterazione della prestazione continuativa della custodia sulle cose di volta in volta depositate nella cassetta.
3) Rapporti tra contratto di durata e termine
Il cosiddetto contratto di finanziamento o mutuo di scopo si configura come una fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica che assolve, in modo analogo all’apertura di credito, una funzione creditizia; in esso, a differenza del contratto di mutuo regolato dal codice civile, la consegna di una determinata quantità di denaro costituisce l’oggetto di un’obbligazione del finanziatore, anziché elemento costitutivo del contratto, sicché, fino a quando il finanziatore non adempia alla propria obbligazione di consegna al soggetto finanziato delle somme di denaro oggetto del finanziamento, queste rimangono nella disponibilità patrimoniale e giuridica del finanziatore medesimo[41].
La giurisprudenza ritiene che il contratto di mutuo sia un contratto reale, che si perfeziona con la consegna della cosa[42]. Se la perfezione del contratto richiede la consegna, con la stipula nasce unicamente l’obbligazione di restituzione. Non solo il mutuo a titolo gratuito, ma anche il mutuo a titolo oneroso è un contratto con obbligazioni a carico di una parte soltanto[43].
La durata dei mutui è solitamente di 5, 10, 15, 20, 25, 30, 35 anni.
L’importo massimo finanziabile è l’80% del valore di mercato del bene immobile oggetto dell’ipoteca. Questa percentuale è comunemente detta “limite di finanziabilità” e costituisce una caratteristica significativa nelle operazioni di mutuo ipotecario.
Il limite dell’80% del valore dei beni ipotecati può essere elevato fino al 100% del valore di perizia solo nei casi di acquisto.
Il costo delle opere da eseguire nei mutui edilizi può essere elevato fino al 90% del costo di costruzione[44].
Se il finanziamento è nel limite dell’80% esso può essere assistito, oltre che dalla garanzia ipotecaria, anche da qualsiasi altra garanzia supplementare che sia ritenuta idonea e necessaria dalla banca mutuante.
La misura degli interessi[45] è determinata dalle parti. Nell’ipotesi di interessi pattuiti in misura superiore a quella legale v’è l’obbligo della forma scritta. Inoltre, esiste il divieto assoluto di pattuire interessi usurari.
Qualora le parti stabiliscano interessi in misura superiore a quella legale, essi saranno dovuti anche per il periodo di proroga del contratto stesso.
Tanto il mancato rispetto della forma scritta, nel caso di interessi superiori alla misura legale, quanto la pattuizione di interessi usurari, comportano la nullità dell’accordo e la riduzione dell’interesse nella misura legale. La nullità è però limitata al solo patto degli interessi e non è estesa all’intero contratto.
Il mutuo ipotecario è disciplinato da particolari norme che determinano l’ammontare massimo dei finanziamenti ed altri aspetti propri di questo tipo di credito (detto anche credito fondiario).
Il piano di rimborso è la modalità con cui il mutuatario restituisce la somma di denaro presa in prestito al mutuante, sia esso un istituto bancario, di credito o finanziario.
Esistono diversi modi per combinare la componente capitale e la componente interesse della rata, per questo ci sono diverse tipologie di ammortamento del mutuo.
Il piano di rimborso è detto anche ammortamento.
È un piano di restituzione rateale del debito contratto, che viene definito dalla scadenza di ogni pagamento e dall’importo della rata (capitale + interessi), mentre di volta in volta vengono segnalati il debito estinto e quello residuo.
In fase di stesura del contratto di mutuo è possibile includere la possibilità di partire con un preammortamento, che consiste nel pagamento di rate che includono solamente la quota degli interessi per un determinato periodo iniziale. Solo in un secondo momento si passa al piano di rimborso rateale vero e proprio, questo permette al mutuatario una migliore pianificazione del budget[46].
La dottrina, che pure ha escluso l’inquadramento fra i contratti ad esecuzione continuata[47], si è preoccupata di evitare la ulteriore conseguenza della retroattività, estendendo anche al mutuo le norme sui contratti di durata in tema di condizione risolutiva (art. 1360, comma 2), di recesso unilaterale (art. 1373, comma 2) e, segnatamente, di risoluzione per inadempimento (art. 1458, comma 1). Questa impostazione, dunque, tende a evitare le conseguenze più radicali della risoluzione e lascia immutate le prestazioni restitutorie già eseguite, consentendo così di considerare oggetto della domanda il solo capitale residuo, desumibile tempo per tempo secondo l’originario piano di ammortamento.
L’ammortamento, però, non comprende le spese di attivazione del mutuo, né i costi di assicurazione, di gestione e di addebito della rata, che vengono pagati a parte[48].
La restituzione del prestito ed il pagamento degli interessi sono dipendenti dal tipo di tasso scelto, dalla durata e dalla frequenza delle rate. Il combinarsi di tutti questi elementi crea diverse tipologie di piano di rimborso, quindi un mutuo può differenziarsi da un altro anche per il tipo di ammortamento applicato[49].
La rata è definita dalle scadenze di pagamento del debito, da parte del mutuatario al mutuante, stabilite in fase contrattuale. Possono essere mensili, trimestrali, semestrali o annuali.
Come precedentemente anticipato, una rata è costituita da una parte di capitale avuto in prestito da restituire e da una parte di interessi dovuti all’istituto mutuante.
Esistono diversi tipi di rata, che può essere: costante, decrescente o crescente[50].
Il mutuo a rata costante nel tempo, detta anche “alla francese”, è quella più semplice e maggiormente utilizzata. Il pagamento del mutuo è suddiviso in rate tutte uguali fino all’estinzione del debito, ad eccezione di variazioni sul tasso d’interesse. In questo caso la rata viene ricalcolata in base al nuovo tasso in percentuale alla somma residua[51].
Il mutuo a rata decrescente, detto “all’italiana”, ha un piano di rimborso a rate decrescenti nel tempo. In questo caso la rata è calcolata su una quota di capitale costante, poiché definito contrattualmente dalla divisione del capitale richiesto per il numero delle rate previsto, e da una quota di interessi decrescente, determinata di volta in volta sul debito residuo.
Il mutuo a rata crescente, invece, prevede un piano di rimborso a rate crescenti nel tempo. Questa tipologia di rata presume un aumento d’importo ad ogni rata o a seconda di scadenze fissate a contratto.
Oltre a queste forme rateali ne esistono altre, come: il mutuo a rata variabile[52], a rata libera[53], ecc.
Chiaramente, nei mutui a tasso variabile il valore delle rate può variare non solo in base al tipo di ammortamento scelto ma anche dalla misurazione de tasso di riferimento del mercato (Euribor). I mutui a tasso fisso concedono la possibilità di scegliere ammortamenti a rata crescente o decrescente, in base alle esigenze.
A seconda delle condizioni contenute nel contratto di mutuo, nel caso di mancato o ritardato pagamento di un dato numero di rate, la banca è autorizzata a richiedere al cliente la restituzione dell’intero debito residuo (con relativi interessi), da effettuarsi entro un termine stabilito in atto; in caso di inadempienza, ha in genere titolo ad agire per la riscossione del debito, procedendo al pignoramento ed alla vendita all’incanto del bene eventualmente ipotecato.
Se l’asta è al maggior offerente, il ricavato dalla vendita eccedente il debito residuo (con interessi) che il mutuante moroso deve restituire, viene trattenuta dalla banca e non è più rimborsata al cliente[54].
Le rate precedentemente pagate vengono trattenute dalla banca e vanno ad integrare il ricavato dell’asta per ricostituire il capitale prestato[55].
Anche se potrebbe apparire in un certo senso illogico, ed anche se la materia è discussa, la richiesta di estinzione anticipata del mutuo da parte del mutuatario è considerata inadempimento, poiché dalla cessazione del rapporto dipende un mancato titolo del mutuante a richiedere interessi per la residua parte di tempo di durata del mutuo originariamente prevista: per comprendere meglio questo meccanismo, potrebbe essere utile un esempio. Se, si ponga, in un mutuo originariamente previsto per una durata di 10 anni, il mutuatario richiede di saldare il suo debito dopo (diciamo) 7 anni, egli dovrà corrispondere al mutuante l’intero capitale residuo e gli interessi già venuti a maturazione; il contratto di mutuo, però, stabiliva che il mutuante dovesse continuare a percepire interessi sul denaro prestato per altri tre anni[56].
Il mutuatario perciò (nell’ottica del contratto di mutuo) non consente al mutuante di percepire gli interessi sul previsto impiego del capitale per gli anni restanti; in questo consisterebbe l’inadempimento, poiché egli si era obbligato a pagare il prestito ottenuto con un prezzo (interessi) stabilito in base alla durata del rapporto e per questo numericamente assommante ad un dato importo[57].
A tale obiezione si ribatte che, soprattutto nel caso decisamente prevalente che la concessione di mutui sia oggetto proprio dell’attività d’impresa del mutuante, l’anticipata estinzione debba considerarsi, a tutto titolo, elemento del rischio di impresa, e dunque materia che non dovrebbe poter riguardare (e riverberarsi su) un mutuatario che intenda per etica (per certi aspetti socialmente considerati lodevoli) o per vantaggio risolvere al più presto una situazione debitoria; che di questo rischio d’impresa il mutuante sia ben al corrente sin dal principio, tanto da non potersi conferire all’estinzione anticipata carattere di eccezionalità, ma che anzi questa sia considerata uno dei possibili esiti del rapporto, sarebbe dimostrato dalla ordinaria presenza di apposite previsioni contrattuali sullo sconto[58].
A bilanciamento di tale imprevista variazione, in guisa di penale, il mutuatario è infatti tenuto a corrispondere al mutuante un importo detto “sconto”, già previsto nel contratto di mutuo ed in genere riferito ad una percentuale (in media dal 4 al 6%) sull’ammontare degli interessi previsti per il periodo compreso fra l’anticipata estinzione e l’originariamente prevista scadenza del mutuo.
4) Conseguenze dell’applicazione della disciplina dei contratti di durata al mutuo
Ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, come modificato dalla legge di conversione n. 248/2006, “in ogni caso, nei contratti di durata, il cliente ha sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura”.
La disposizione, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 7/2007, ha portata residuale, e trova applicazione ai soli contratti bancari diversi dai mutui contratti per l’acquisto di unità immobiliari adibite ad abitazione o allo svolgimento di attività imprenditoriali o professionali.
Questa disposizione ha posto il problema della compatibilità, con essa, delle previsioni contrattuali che prevedano, nei mutui bancari, un compenso, a favore della banca, per l’anticipata estinzione del finanziamento[59]. La versione originaria del suddetto art. 10, contenuta nel d.l. n. 223/2006 prima della conversione in legge, indicava nella rubrica “Condizioni contrattuali dei conti correnti bancari”. L’attuale rubrica dell’art. 10 (“Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali”) non appare chiara riguardo alla previsione del secondo comma; tuttavia, la modifica legislativa tende, evidentemente, ad estendere anche ai contratti bancari diversi da quello di conto corrente il divieto di percepire spese di chiusura. Che il mutuo sia un contratto di durata viene poi comunemente affermato dalla giurisprudenza[60].
L’ambito di applicazione della disposizione è, comunque, controverso.
Nell’originario emendamento governativo, questa disposizione rappresentava l’ultimo comma del novellato art. 118 del t.u.b., e quindi non era dubbio che essa si riferisse solamente alle ipotesi di recesso giustificate dall’esercizio unilaterale dello ius variandi da parte della banca[61]. Nel testo definitivo, invece, la disposizione è stata estrapolata dall’art. 118, dando luogo così ad un dubbio interpretativo, che legittima tre possibili, diverse letture della nuova disposizione:
- a) – secondo una prima possibile interpretazione, poiché il secondo comma dell’art. 10 si colloca comunque in un articolo di legge la cui rubrica è “modifica unilaterale delle condizioni contrattuali”, il divieto di penalità e spese di chiusura potrebbe applicarsi solamente al recesso esercitato in conformità all’art. 118 t.u.b., in corrispondenza cioé dell’esercizio dello ius variandi unilaterale della banca. Contro questa lettura, peraltro, depone, oltre all’estraneità della disposizione dell’art. 10, comma 2, rispetto al testo unico bancario, il fatto che la previsione “senza spese” è già contenuta nel nuovo art. 118 t.u.b.;
- b) – secondo una diversa interpretazione, che valorizzi l’espressione “in ogni caso”, oltre all’estrapolazione del comma in esame dal testo dell’art. 118 t.u.b., il divieto di penalità e spese di chiusura troverebbe applicazione a tutte le ipotesi di recesso spettanti al cliente della banca in dipendenza della legge o di una pattuizione contrattuale[62];
- c) – un’interpretazione ancora più estensiva potrebbe far leva sull’estraneità della disposizione dell’art. 10, comma 2, rispetto al testo unico bancario, nonché sulla sua collocazione nel titolo I del d.l. n. 223/2006, genericamente dedicato alla tutela dei consumatori e della concorrenza, per sostenerne l’applicabilità a tutte le ipotesi di recesso legale o convenzionale da contratti di impresa, nei quali una delle parti sia un imprenditore e la controparte, anche se non consumatore, non agisca comunque nell’esercizio di impresa;
- d) – secondo una ulteriore possibile interpretazione, la disposizione potrebbe riguardare tutti i casi in cui il diritto di recesso anticipato spetti al cliente della banca in virtù di una disposizione di legge[63];
- e) – una diversa lettura potrebbe valorizzare il canone interpretativo lex generalis non derogat legi speciali (pur con i dubbi nascenti dalla locuzione “in ogni caso”), e quindi ritenere che il divieto di penalità di cui all’art. 10, comma 2, del d.l. n. 223/2006, si applichi a tutte le ipotesi di recesso legale o convenzionale dai contratti bancari, ivi compresi quindi i contratti di mutuo, con esclusione dei casi in cui lo stesso compenso è legittimato da una norma speciale[64];
- f) – un’interpretazione ancora diversa è stata avanzata dal Ministero dello sviluppo economico, ad avviso del quale la norma troverebbe applicazione ai soli contratti a tempo indeterminato (nei quali il diritto di recesso spetta ex lege), con esclusione quindi dei mutui bancari[65].
Quest’ultima interpretazione appare forse la più plausibile, anche se qualche dubbio residua in ordine all’affermata esclusione tout court del mutuo (che pure è contratto di durata), in relazione all’espressione “in ogni caso” contenuta nell’art. 10, comma 2, del d.l. n. 223/2006.
La difficoltà interpretativa della disposizione comporta comunque l’impossibilità di applicare alla clausola che preveda una penale o compenso per anticipata estinzione l’art. 28 della legge notarile, che in base alla giurisprudenza ormai consolidata richiede che il divieto di legge sia “espresso”, o comunque che lo stesso possa desumersi da dottrina e giurisprudenza consolidate[66].
L’art. 10, comma 1, del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, come modificato dalla legge di conversione n. 248/2006, sotto la rubrica “modifica unilaterale delle condizioni contrattuali”, modifica l’art. 118 del d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (testo unico bancario), disposizione avente ad oggetto tutti i contratti bancari.
Il nuovo art. 118, comma 1, stabilisce che “Nei contratti di durata può essere convenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni di contratto qualora sussista un giustificato motivo nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 1341, secondo comma, del codice civile”.
La norma richiede quindi, a differenza che in passato, un “giustificato motivo” al fine di esercitare lo ius variandi unilaterale, che riguarda espressamente anche i tassi di interesse. In assenza di distinzioni nella lettera della legge, la previsione non appare applicabile alla variazione dei tassi dipendente dall’aggancio a parametri di indicizzazione (che non è ius variandi in senso proprio)[67].
Sono invece ricomprese nella nuova disciplina dello ius variandi, e richiedono quindi l’indicazione di un giustificato motivo, le clausole, ricorrenti nei mutui bancari, che prevedono la variazione unilaterale delle spese e commissioni accessorie del finanziamento[68].
Ai sensi dei successivi commi del medesimo art. 118, “Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto’, con preavviso minimo di trenta giorni, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente[69].
La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro sessanta giorni. In tal caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate.
Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente. Le variazioni dei tassi di interesse conseguenti a decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente[70].
Ai fini della corretta redazione delle clausole contrattuali, si evidenzia che la nuova formulazione dell’art. 118 t.u.b. è da coordinarsi con il preesistente art. 117, comma 5, del medesimo t.u.b. Una clausola tipo potrebbe essere: “A norma dell’art. 117, comma 5, del T.U., il mutuatario approva specificatamente che nel periodo di ammortamento del mutuo possono variare, anche in senso ad esso mutuatario sfavorevole, oltre al tasso contrattualmente previsto, ogni altra spesa indicata nel presente contratto e relativi allegati, comunque nel rispetto dell’art. 118 T.U.”.
[1] Sul problema della formazione successiva o progressiva del contratto: Oppo G., Contratti parasociali,1942, p. 86.
[2] Granieri M., Il tempo e il contratto: itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, Milano, 2007; dal Devoto A., l’espressione non è nuova ma è nuovo l’impiego fattone per designare il contratto di durata.
[3] Bianca M., Diritto civile, vol. III, Il contratto, Milano, 2000, 741.
[4] In questi termini, già la dottrina meno recente, tra cui: F. Messineo, Contratto, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 957, nota 733; P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1973, p. 266; R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Tratt. di dir. civ. Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1961. Piú recentemente, G. Criscuoli, Il contratto, Padova, 1996, p. 462. Accanto al dato testuale, già di per sé decisivo, l’irretrattabilità unilaterale della volontà contrattuale, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, trova fondamento nei princípi generali, in quanto, con il contratto, le parti regolano i propri interessi e la irrevocabilità altro non è che la composizione del “conflitto, meramente ipotetico o eventuale, che sorgerebbe qualora uno dei contraenti rimanesse fedele al contratto mentre nell’altro sopravvenisse un mutamento dell’interesse che esisteva al momento della conclusione del contratto”. In questi termini, A. Luminoso, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, p. 33.
[5] Così Planiol M., Ripert G., Esmein P., Obligations, Paris: LGDJ, 1930-1931.
[6] Così Ferri GB., Le annotazioni di Filippo Vassalli in margine a taluni progetti del libro delle obbligazioni, Padova, 1990.
[7] Si parla di esecuzione periodica: ad esempio la somministrazione.
[8] Pagliantini S., La risoluzione dei contratti di durata, Milano, 2006
[9] Stolfi G., Appunti critici, Napoli, Golia, 1913, p. 863.
[10] Sulla distinzione fra esecuzione periodica e ripartita, e per l’ esclusione del contratto ad esecuzione ripartita dal novero dei contratti di durata, D’Amelio, Contratto di acquisto e contratto di somministrazione, in Riv. Dir. Comm.,1909, II, 587 ss.
[11] Cass. 12 ottobre 1992 n. 11116, in Giust. civ., 1993, I, 975.
[12] Cass. 12 gennaio 1968 n. 76, in Giust. civ., 1968, I, 1078.
[13] Cass. 21 dicembre 1990 n. 12123. Giust. civ. Mass. 1990: Cass. 12 ottobre 1992 n. 11116. in Giust. civ., 1993, I, 975.
[14] Cass. 12 maggio 1971 n. 1358. Giust. civ. Mass. 1971.
[15] Recenti considerazioni in materia di credito fondiario ed edilizio riferiscono della consensualità del mutuo quale regola ormai consolidata, già presente nella legislazione previgente (d.P.R. 21 gennaio 1976 n. 7, art. 5 ) e successivamente confermata (1. 6 giugno 1991 n. 175, art. 5). Anche il riferimento a tale ultima disposizione appare, comunque, superato per effetto della espressa abrogazione contenuta nell’art. 161 del d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385. Nonostante la decisione con cui tale inquadramento viene proposto, si ritiene preferibile un atteggiamento prudenziale, che ci induce a sviluppare una diversa impostazione nel prosieguo della trattazione. Cfr.: Gazzara, Crediti speciali, prestito a consegna differita e consensualità del mutuo, in Banca, borsa 1995, I , 335 ss.
[16] Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova 1980, 693 e 695.
[17] Triola, Mutuo e promessa di mutuo, in Giust. civ., 1982, I, 212.
[18] Galasso, Mutuo e deposito irregolare – la costruzione del rapporto, Milano 1968, 207 ss.
[19] Figure atipiche di mutuo vengono ravvisate, dunque, nelle forme di credito edilizio (r.d. 2 maggio 1920, n. 698, art. 5), teatrale (r.d.1. 16 giugno 1938, n. 150, art. 3) e turistico-alberghiero (1. 4 agosto 1955 n. 691, art. 9). Non è meritevole di tutela, secondo quanto previsto dall’art. 1322 c.c., in quanto eccessivamente squilibrato in favore del predisponente, il contratto atipico (nella specie denominato 4 you) che si presenta come contratto di mutuo ma che non ha nulla del suo schema; che dirotta la somma mutuata verso incontrollate forme di investimento; che non consente all’investitore alcuna forma di intervento sul tipo di investimento; che non consente, in particolare al contraente, nell’ipotesi di ribasso dei mercati, di adottare a tutela del suo risparmio altro più prudente investimento. Trib. Salerno, 26/09/2007
[20] Morelli, Sulla ammissibilità del preliminare e su altri aspetti della problematica attuale del contratto di mutuo, in Giust. civ., 1982, I, 202 ss.
[21] Cass., 18 giugno 1981, n. 3980, Giust. civ. Mass. 1981; cfr. Cass. 17 marzo 1942, n. 753 (inedita).
[22] Collura, Finanziamento agevolato e clausola di destinazione, Milano 1986, 110 ss.
[23] Simonetto, Mutuo, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma 1990, 2, 12; Simonetto, I contratti di credito, cit., 199 ss.
[24] Tardivo, Mutui fondiari ed edilizi e attività notarile: il mutuo consensuale, in Vita not. 1988, 395 ss.; Tardivo-Ventola, Il credito fondiario ededilizio nella legislazione vigente, 2ª ed., Roma (Bancaria) 1988, 46.
[25] Cass. 19 marzo 1980, n. 1824, in Giust. civ., 1980, I, 2764.
[26] Cass. 27 maggio 1981, n. 3474, in Giust. civ., 1982, I, 228.
[27] Giampiccolo, Comodato e mutuo, in Trattato di diritto civile diretto da G. Grosso e F. SantoroPassali, Milano (Vallardi) 1972, 69 ss.
[28] Giampiccolo, Mutuo, in Encicl. dir., XXVII, Milano 1977, 451 ss.
[29] Fragali, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialojae G. Branca, Libro IV, Obbligazioni, art. 1813-1822, Bologna-Roma 1966, 20 ss. e 391.
[30] Simonetto, Mutuo, cit., I, 6.
[31] De Tilla M., Durata, recesso e diniego, successione nel rapporto, sublocazione e cessione del contratto, Milano, 1993.
[32] Granieri M., Il tempo e il contratto: itinerario storico – comparativo sui contratti di durata, Milano, 2007.
[33] Triola, Mutuo e promessa di mutuo, in Giust. civ., 1982, I, 212.
[34] A. Luminoso, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, p. 33
[35] F. Messineo, Contratto, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 957, nota 733
[36] Si pensi ad esempio all’interesse ad avere energia motrice per il lavoro di uno stabilimento: esso può essere soddisfatto così con un contratto di somministrazione di energia elettrica, esecuzione continuata, come con un contratto di somministrazione di combustibili, esecuzione periodica. Granieri M., Il tempo e il contratto: itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, Milano, 2007.
[37] P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1973, p. 266
[38] Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova 1980, 693 e 695.
[39] R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Tratt. di dir. civ. Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1961
[40] A. Luminoso, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, p. 33
[41] Nella specie, la controversia era stata originata dalla richiesta di un maggior indennizzo assicurativo avanzata dal titolare di una polizza contro gli infortuni, la quale prevedeva un indennizzo parametrato sulla consistenza del saldo di chiusura, risultante alla mezzanotte del giorno precedente a quello dell’infortunio, dei rapporti creditizi intrattenuti dal predetto titolare di polizza con la propria banca; il giudice di merito aveva respinto la domanda affermando che, ai fini dell’incremento dell’indennizzo, non poteva tenersi conto anche di un rapporto di mutuo, del quale, alla data di riferimento prevista nella polizza infortuni, non era stata ancora erogata la pattuita somma di denaro; la S.C. (Cass. civ. Sez. III Sent., 03/12/2007, n. 25180), enunciando l’anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito, qualificando il predetto “rapporto di mutuo” in termini di contratto di finanziamento. Rigetta, App. L’Aquila, 23 Ottobre 2002.
[42] Nel caso di mutuo in denaro, con il conseguimento, da parte del mutuatario, della disponibilità giuridica della somma mutuata. Cfr., da ultimo, Cass. 12 ottobre 1992 n. 11116, in Giust. civ. 1997, 4, 1093, 975.
[43] Cfr. Cass. 21 febbraio 1995 n. 1861, Giur. it. 1996, I, 1, 998.
[44] G. Criscuoli, Il contratto, Padova, 1996, p. 462
[45] L’interesse è il prezzo dell’uso del capitale chiesto in prestito alle banche. Misura di tale prezzo è il tasso o saggio di interesse, sulla base del quale vengono calcolati gli interessi maturati sul capitale in un’unità di tempo (mese, trimestre, semestre, anno).
Le espressioni 4%, 5%, 6% etc. sono relative a tassi percentuali. Nella pratica dei finanziamenti ipotecari vengono usati tassi percentuali riferiti all’unità di tempo “anno”. L’interesse può essere semplice o composto. Semplice, quando non è fruttifero nei successivi periodi. Composto, quando alla fine di ogni periodo, si accumula al capitale, cioè si capitalizza diventando a sua volta fruttifero. La capitalizzazione semplice è usata nelle operazioni di breve durata. La capitalizzazione composta è usata nelle operazioni di lunga durata come il mutuo.
[46] R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Tratt. di dir. civ. Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1961
[47] v. Fragali, Commentario del codice civile diretto da Scialoja e Branca, Libro IV, Obbligazioni, art. 1816-1817, Bologna-Roma, 1966, 398.
[48] Galasso, Mutuo e deposito irregolare – la costruzione del rapporto, Milano 1968, 207 ss.
[49] Morelli, Sulla ammissibilità del preliminare e su altri aspetti della problematica attuale del contratto di mutuo, in Giust. civ., 1982, I, 202 ss.
[50] P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1973, p. 266
[51] A. Luminoso, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, p. 33
[52] Che offre la possibilità di richiedere, una sola volta, l’allungamento o la riduzione del periodo di estinzione del debito.
[53] In cui le rate sono formate sola dalla quota di interessi, di volta in volta calcolate sul debito residuo, mentre il capitale viene restituito in base alle capacità finanziarie nel tempo.
[54] F. Messineo, Contratto, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 957, nota 733
[55] Tardivo, Mutui fondiari ed edilizi e attività notarile: il mutuo consensuale, in Vita not. 1988, 395 ss.; Tardivo-Ventola, Il credito fondiario ededilizio nella legislazione vigente, 2ª ed., Roma (Bancaria) 1988, 46.
[56] R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Tratt. di dir. civ. Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1961
[57] G. Criscuoli, Il contratto, Padova, 1996, p. 462
[58] P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1973, p. 266
[59] Collura, Finanziamento agevolato e clausola di destinazione, Milano 1986, 110 ss.
[60] Basti ricordare, tra le altre, Cass., sez. I, 21 ottobre 2005, n. 20449, in Foro it., Rep. 2005, voce Credito fondiario, n. 8; Trib. Napoli, 1 marzo 1997, in Foro it., 1998, I, c. 612; Trib. Modica, 13 novembre 1987, in Giur. merito, 1989, p. 36.
[61] Orlando S., Contratti di durata e recesso convenzionale, Roma, 1997.
[62] In tal senso, in dottrina, Iurilli A., Ius variandi e Testo unico bancario. La nuova formulazione dell’art. 118, e l’art. 10 del c.d. “Decreto Bersani”. Una proposta interpretativa (Prima parte), in Studium iuris, 2007, p. 131
[63] Vi sarebbero ricompresi, quindi, i casi dei contratti bancari a tempo indeterminato, nonché quelli in cui il diritto di recesso è previsto da una norma speciale, ad es. l’art. 40 del d. lgs. n. 385/1993 in relazione ai finanziamenti fondiari.
[64] Quale quella dell’art. 40, comma 1, del d. lgs. n. 385/1993, in relazione ai finanziamenti fondiari.
[65] Sia quelli ordinari, in quanto a tempo determinato, sia quelli fondiari, essendo in tal caso il diritto di recesso disciplinato da una norma speciale, quella ricavabile dall’art. 40 t.u.b. Cfr. in tal senso la Nota del Ministero per lo sviluppo economico in data 21 febbraio 2007, prot. n. 0005574, pubblicata su Il Sole 24 Ore dei giorni 23 e 24 febbraio 2007.
[66] F. Messineo, Contratto, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 957, nota 733
[67] R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Tratt. di dir. civ. Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1961
[68] Avvisi di scadenza rate, compensi per cancellazioni, frazionamenti e svincoli di ipoteche, ecc.
[69] Tardivo, Mutui fondiari ed edilizi e attività notarile: il mutuo consensuale, in Vita not. 1988, 395 ss.; Tardivo-Ventola, Il credito fondiario ededilizio nella legislazione vigente, 2ª ed., Roma (Bancaria) 1988, 46.
[70] P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1973, p. 266