In mancanza del fatto noto accertamento nullo
L’accertamento “analitico-induttivo” previsto dall’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973 e dall’articolo 54 D.P.R. 633/1972 (detto comunemente “accertamento presuntivo”) è da ritenersi nullo qualora l’ufficio non fondi la propria presunzione su un “fatto noto”.
Motivazioni dell’ordinanza
In presenza di scritture contabili formalmente corrette, non è sufficiente, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza – posto che le medie di settore non costituiscono un “fatto noto”, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per sé stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni -, ma occorre, invece, che risulti qualche elemento ulteriore – tra cui anche l’abnormità e l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e la media di settore – incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, ovverosia la concreta ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti (ex multis, Cass. n. 26388 del 2005, n. 27488 del 2013).
L’Amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli artt. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, allorché si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore di cui all’art. 62 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ma solo quando venga ravvisata una “grave incongruenza” secondo la previsione del successivo art. 62 sexies, trovando riscontro la persistenza di tale presupposto – nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva – anche dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur non contemplando espressamente il requisito della grave incongruenza, compie un rinvio recettizio al menzionato art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993: nella specie, la S.C., confermando la sentenza di merito, ha ritenuto non grave uno scostamento nella misura del sette percento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli desumibili dai parametri previsti dagli studi di settore” (Cass. n. 20414 del 2014. Quanto all’ambito applicativo della disciplina, Cass. n. 26481 del 2014 ha in particolare precisato che “l’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 10 gennaio 2007, in base all’art. 1, comma 23, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l’aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle “gravi incongruenze”, prima operato tramite il rinvio recettizio all’art. 62 sexies, comma 3, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1993, n. 427″) .
Cassazione civile, sez. 5. 13.07.2018, n. 18627