L’indipendenza delle Autorità alla luce di alcuni casi concreti
- Il ridimensionamento dei poteri e del ruolo dell’AEEG
La costituzione in Italia dell’Autorità per l’energia e il gas è parte integrante del processo di liberalizzazione avviato dall’Unione Europea allo scopo di costruire gradualmente un mercato unico dell’energia.
A tal proposito la legge 481 del 1995 aveva l’ambizione di dettare norme generali per la concorrenza e la regolazione di servizi di pubblica utilità, istituendo l’AEEG come prototipo di autorità indipendente di settore e rimandando a successivi provvedimenti la disciplina di altri ambiti di intervento[1].
Successivamente le liberalizzazioni del mercato elettrico sono portata avanti dal d.lgs. 79 del 1999 che recepisce le indicazioni della prima direttiva comunitaria in materia.
E così l’assetto del mercato elettrico viene radicalmente ridisegnato, e reso ancor più complesso dall’ingresso di nuovi attori, specificatamente società per azioni a controllo pubblico, come il Gestore della rete di trasmissione nazionale (Grtn)[2], l’Acquirente unico (Au) per la tutela dei consumatori[3] e il Gestore del mercato elettrico (Gme), responsabili dell’istituenda “borsa dell’energia”. A sua volta in un clima controverso, la legge Marzano (legge 239 del 2004) disponeva un ulteriore riordino del settore energetico, prevedendo una diversa attribuzione di compiti fra lo Stato, le Regioni, e l’AEEG di cui rivedeva struttura e competenze.
Quanto invece al settore del gas, l’apertura del mercato è introdotta nel 2000 dal d.lgs. n. 164 (decreto Letta), con la previsione già nel 2003 della liberalizzazione della domanda per le famiglie oltre che per i clienti business.
Ma con il D.Lgs. 79 del 1999 e n. 164 del 2000 i poteri dell’AEEG si sono notevolmente ridimensionati. Tale ridimensionamento è stato ulteriormente consolidato a seguito della L. 239 del 2004 che ha modificato e bilanciato i rapporti tra Autorità di regolazione e Governo che negli anni si erano venuti a sovrapporre causando inefficienze nel settore[4].
Ma a seguito di dette mutazioni normative numerosi problemi sono emersi. In primo luogo ci si chiede qual è ora il modello di regolazione del settore energetico in Italia.
Ed ancora ad oggi che tipo di autorità indipendente è l’Autorità per l’energia elettrica e il gas[5]. Ancora ci si chiede se l’attuale assetto del riparto di competenze tra pubblici poteri nel settore energetico è efficiente.
Infine ci si interroga se il modello di regolazione del settore energetico delineato dalla normativa italiana è compatibile con la disciplina comunitaria, e in particolare con quanto disposto dalle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE del 26 giugno 2003[6].
Ebbene, esaminando ad oggi nello specifico i poteri attribuiti all’AEEG va subito sottolineato che questi sono attualmente regolati da una pluralità di atti normativi, susseguitisi in maniera disorganizzata che minano notevolmente i poteri attribuiti a detta Autorità.
Ed invero, il d.lgs n. 79 del 1999 incide sui poteri dell’organismo di regolazione sotto diversi profili.
In primo luogo infatti detta normativa elenca tassativamente le singole funzioni dell’AEEG, adattandole al mutato assetto normativo del settore elettrico.
In secondo luogo, alcune competenze vengono espressamente assegnate all’Autorità, ma, al tempo stesso, si prevede che essa si coordini secondo modalità variabili con il Ministero.
In terzo luogo l’attribuzione a quest’ultimo soggetto di un potere di indirizzo nei confronti dell’organismo di regolazione, e di specifici compiti relativi al settore elettrico, determina un parallelo arretramento sia dell’autonomia sia delle competenze dell’AEEG.
Infine con il decreto di cui in parola vengono istituti nuovi soggetti pubblici competenti per alcuni segmenti del settore[7].
Insomma si determina nel settore dell’energia elettrica, un sovraffollamento istituzionale[8] che incide profondamente sulle competenze di questo organismo di regolazione.
E così da un lato si pone il problema di chiarire l’ambito di azione dei diversi soggetti[9]; dall’altra ci si chiede a chi spetti il coordinamento di detti soggetti pubblici.
Infatti in una molteplicità di ipotesi il d.lgs. 79 del 1999 prevede che, per l’esercizio di una data competenza, intervengano sia l’Autorità, che il Ministero; il rispettivo ambito di azione dei due soggetti però, non è delimitato secondo uno schema uniforme.
Ad esempio, tra le possibilità più frequenti, vi è la previsione che il Ministero provveda con proprio decreto “sentita l’Autorità”. Ancora più limitate sono poi le ipotesi in cui l’adozione di un atto avviene su proposta dell’Autorità[10]. Ancora in altre ipotesi la suddivisione di competenze tra Autorità e Ministero è delineata secondo meccanismi variabili, determinati caso per caso a seconda della specifica funzione presa in considerazione dalla norma[11].
Orbene, è di tutta evidenza che il d.lgs. 79 del 1999 rafforza i poteri del Ministero, nell’ambito del settore elettrico, da un lato, infatti ad esso è attribuito un incisivo potere di indirizzo, dall’altro è investito di alcune competenze da esercitare direttamente.
Dunque le norme del decreto n. 79 che disciplinano il potere di indirizzo del Ministero nei confronti dell’organismo di regolazione fanno sì che si determini una sovrapposizione di ruoli già quanto alle finalità attribuite ai due soggetti pubblici[12].
Infatti secondo quanto disposto dalla legge 481 del 1995, all’AEEG spettano, da un lato, la promozione della concorrenza, dell’efficienza, dell’economicità e della redditività del servizio, e, dall’altro la tutela degli interessi degli utenti e dell’ambiente nonché l’uso efficiente delle risorse.
Il decreto Bersani, invece, affida al Ministero il compito di provvedere alla sicurezza e all’economicità del sistema elettrico nazionale, di garantire la continuità della fornitura e di ridurre la vulnerabilità del sistema.
Riassumendo possiamo dire che il potenziamento del ruolo del Ministero nel decreto Bersani deriva, oltre che dall’attribuzione del potere di indirizzo, dall’assegnazione di alcune specifiche competenze: il MAP infatti, rilascia le concessioni[13], determina di concerto con il Ministero dell’ambiente, gli obiettivi quantitativi delle misure di incremento dell’efficienza energetica[14], esercita insieme al Ministero del Tesoro, del Bilancio, e della programmazione economica (ora al Ministero dell’Economia e delle Finanze), i diritti di azionista del GRTN[15]; può concedere una proroga dei provvedimenti di incentivazione[16].
Oltre a ciò il decreto Bersani attribuisce al Ministero in via esclusiva, alcuni poteri che attengono a valutazioni di carattere tecnico: si veda ad esempio l’approvazione delle proposte di aggregazione da parte di più distributori[17].
Anche per quanto concerne il settore del gas, L’AEEG ha subito notevoli limitazioni di competenze a seguito dell’approvazione del d.lgs. 164 del 2000.
Ed infatti, il decreto 164 da un lato si preoccupa di far espressamente salve le funzioni attribuite all’AEEG dalla legge 481 del 1995, dall’altra specifica in modo analitico competenze e funzioni assegnate all’Autorità.
Anche la disciplina del decreto 164, poi, analogamente al decreto 79 prevede che l’Autorità si coordini con il MAP per l’esercizio di alcune competenze. In determinati casi ad esempio l’Autorità ha compiti consultivi, mentre il Ministero detiene il potere decisionale[18].
Ancora per quanto concerne le funzioni che Autorità e Ministero esercitano congiuntamente, si pensi al potere di rilasciare la deroga temporanea all’obbligo di accesso, per gravi difficoltà economiche e finanziarie, derivante dall’attuazione di contratti di tipo take or pay sottoscritti prima dell’entrata in vigore della direttiva 98/30/CE[19]. Orbene, con il decreto Letta si consolida la tendenza già avviatasi con il decreto Bersani, ad attribuire al Ministero non solo un ruolo di indirizzo ma anche funzioni regolamentari e di carattere tecnico[20].
Ed invero l’art. 28 del decreto citato assegna infatti al Ministero il compito di provvedere alla sicurezza, all’economicità e alla programmazione a lungo termine del sistema nazionale del gas, e, al fine di consentire un efficace perseguimento di tali obiettivi istituzionali conferisce al Ministero numerosi ed incisivi poteri.
In primo luogo al Ministero viene conferito il potere di dettare specifici indirizzi con la finalità di salvaguardare la continuità e la sicurezza degli approvvigionamenti, il funzionamento coordinato del sistema degli stoccaggi, e di ridurre la vulnerabilità del sistema nazionale del gas: insomma con il decreto 164 lo spettro dei fini istituzionali affidati al Ministero, si amplia ulteriormente.
In secondo luogo il Ministero può adottare specifici provvedimenti per garantire la sicurezza e l’economicità del sistema: adotta le necessarie misure temporanee di salvaguardia, in caso di crisi nel mercato dell’energia o di gravi rischi per la sicurezza della collettività o dell’integrità delle apparecchiature e degli impianti[21], svolge un ruolo di promozione delle iniziative del settore, interviene con propri provvedimenti per garantire la tempestiva e funzionale attuazione degli adempimenti necessari alla fase di transizione del sistema. Ma le riforme per quanto concerne il settore energetico non sono finite. Infatti nel 2004 è stata approvata, dopo un lungo iter normativo durato quasi due anni, la Legge 23 agosto 2004, n. 239, che ha attuato un complessivo riordino del settore energetico
Ancora una volta vengono nuovamente ridimensionati i poteri dell’Autorità, con questa legge altrimenti detta Legge Marzano.
In particolare la Legge 23 agosto 2004, n. 239, incide sui poteri dell’AEEG sotto tre profili. In primo luogo modifica espressamente i poteri dell’organismo di regolazione con il MAP[22] e con il Governo, per quanto concerne il criterio di attribuzione delle funzioni, il potere di dettare indirizzi, nonché l’istituzione di un potere sostitutivo del Governo.
In secondo luogo, regola alcuni compiti specifici dell’Autorità, connessi alle variazioni che essa apporta alla disciplina del settore elettrico.
Infine ne cambia addirittura l’organizzazione interna. Analizzando in dettaglio, per quanto attiene specificatamente il riparto delle funzioni amministrative, la legge di riordino prevede che le Regioni hanno il compito di determinare con proprie leggi l’attribuzione di compiti e delle funzioni non amministrative riservate espressamente allo Stato, queste possono essere svolte dallo Stato “anche avvalendosi dell’Autorità[23]. Ne consegue quindi che si ha un erosione dei poteri dell’Autorità verso il basso, ossia a favore delle Regioni e degli enti locali[24]. Si aggiunga tra l’altro che l’organismo di regolazione non viene in rilievo autonomamente, quale soggetto istituzionale al quale attribuire in via esclusiva una determinata sfera di competenza, ma esclusivamente quale strumento del quale lo Stato può avvalersi[25]. Orbene, è di tutta evidenza che la previsione per la quale lo Stato può avvalersi dell’Autorità indica un’ulteriore limitazione dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Autorità.
Ancora tra le disposizioni della Legge Marzano occorre esaminare quelle in materia di indirizzi che incidono purtroppo anche queste negativamente sull’autonomia dell’AEEG, limitandola e modificando i rapporti di questa con il Governo, rispetto al modello delineato dalla legge 481 del 1995.
Facendo infatti un passo indietro, l’AEEG è sottoposta nell’esercizio delle sue funzioni, agli indirizzi di politica generale del Governo, il quale indica altresì, secondo quanto disposto dalla legge n. 481 del 1995, il quadro di esigenze di sviluppo dei servizi di pubblica utilità che corrispondono agli interessi generali del Paese.
Ebbene, ad una prima analisi si può ritenere che la prima parte della normativa contenuta nella legge di riordino è del tutto analoga alla legge n. 481 del 1995.
Ma leggendo attentamente, è di tutta evidenza che successivamente la legge dispone che “ai fini del perseguimento degli obiettivi generali di politica energetica del Paese, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle attività produttive, può definire sentite le Commissioni parlamentari competenti, indirizzi di politica generale del settore per l’esercizio delle funzioni attribuite all’Autorità per l’energia elettrica e il gas ai sensi della legislazione vigente[26].
Ne consegue quindi che in tal modo il potere di indirizzo nei confronti dell’AEEG viene ampliato enormemente.
Peraltro la legge di riordino del settore energetico, introduce un potere sostitutivo del Governo nei confronti dell’AEEG. Infatti nel caso in cui l’Autorità per l’energia elettrica e il gas non adotti atti o provvedimenti di sua competenza, il Governo può esercitare il potere sostitutivo secondo la seguente procedura: il Ministro delle attività produttive trasmette all’Autorità un sollecito ad adempiere entro i successivi sessanta giorni.
Trascorso tale termine senza che l’Autorità abbia adottato l’atto o il provvedimento, questo è adottato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro delle attività produttive[27].
Ancora la legge di riordino modifica poteri e competenze dell’AEEG anche per altri due aspetti ovvero attribuisce all’Autorità alcuni compiti specifici e incide sull’organizzazione interna della stessa.
L’Autorità infatti deve dar conto, nell’ambito della relazione annuale, anche delle iniziative assunte nel quadro delle esigenze di sviluppo dei servizi di pubblica utilità e in conformità agli indirizzi di politica generale del settore dettati dal Governo[28].
Un ulteriore disposizione particolarmente restrittiva dei poteri dell’AEEG è quella che fissa in trenta giorni il termine per rilasciare il parere relativo all’allocazione prioritaria della nuova capacità di importazione, a favore dei soggetti che realizzano nuove infrastrutture internazionali di interconnessione con Stati non appartenenti all’Unione Europea , ai fini dell’importazione in Italia di gas naturale o nel potenziamento delle capacità di trasporto degli stessi gasdotti esistenti[29].
Anche questa ipotesi costituisce un altro esempio delle limitazioni dei poteri consultivi dell’AEEG, difatti la legge di riordino non si limita a prevedere che l’Autorità deve, in via generale, rilasciare i pareri entro un termine di sessanta giorni dalla richiesta, ma addirittura dispone in casi sempre più numerosi termini ancora più restrittivi.
Inoltre la legge 239 del 2004 contiene diverse disposizioni organizzative, relative alla struttura interna dell’AEEG e a quella della Direzione Generale per l’energia e le risorse minerarie che, da un lato, ampliano la struttura di entrambe i soggetti, ma, dall’altra sembrano presupporre un intervento diretto del Ministero nel governo del settore energetico. Infatti in primo luogo viene modificata la composizione dell’AEEG: il numero dei componenti passa da tre a cinque, in secondo luogo viene aumentata la pianta organica del personale dell’Autorità[30].
In definitiva si può affermare che i numerosi interventi normativi che si sono succeduti negli ultimi anni nel settore energetico, hanno sensibilmente modificato il modello originario dell’AEEG, così come delineato dalla legge istituitiva n. 481 del 1995[31].
Infatti l’AEEG ha visto via via erose le potenzialità stabilite dalla legge istitutiva.
Le ragioni di un tale depotenziamento sono per un verso correlate alle dinamiche interne del sistema politico italiano, per un altro verso vengono ricondotte all’azione specifica del regolatore che ha esercitato poteri ulteriori, rispetto a quelli delegati, pertanto la consapevolezza del ruolo cruciale svolto dall’Autorità sembra essersi accompagnata ad una certa diffidenza nei suoi confronti.
- L’erosione delle competenze dell’AGCOM e i difficili rapporti con il Ministero delle Comunicazioni
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) è stata istituita in Italia con la legge 31 luglio 1997, n. 249 (c.d. Legge Maccanico). L’organismo creato con tale legge ha in sostanza ereditato le funzioni che erano attribuite all’ex “Garante per la radiodiffusione e l’editoria”.
L’istituzione nel 1997 di detto organismo segna una tappa importante nel processo di liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità avviato, in Italia agli inizi degli anni novanta.
La legge 249 del 1997 (legge Maccanico), a seguito di pressioni operate sia sul fronte comunitario, sia allo scopo di ridurre il duopolio pubblico-privato del sistema radiotelevisivo italiano, istituisce un’Autorità ovvero l’Agcom che riceve attribuzioni di competenza molto ampie, sull’intero comparto delle comunicazioni.
Ma al pari delle altre autorità previste dall’ordinamento italiano, l’AGCOM risponde del proprio operato al Parlamento, che ne ha stabilito i poteri, definito lo statuto ed eletto i componenti. Nell’opinione della dottrina l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è un’autorità “convergente”.
La definizione fa riferimento alla scelta del legislatore italiano di attribuire a un unico organismo funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni, dell’audiovisivo e dell’editoria.
Si tratta di una scelta giustificata dai profondi cambiamenti determinati dall’avvento della tecnologia digitale, che attenua, fino ad annullarle, le differenze fra i diversi mezzi, diventati veicolo di contenuti – immagini, voce, dati – sempre più interattivi.
Per quanto attiene, invece, l’assetto istituzionale l’Agcom ne possiede uno estremamente articolato. Gli organi dell’Autorità sono il Presidente (oggi Corrado Calabrò), la Commissione per le infrastrutture e le reti, la Commissione per i servizi e i prodotti ed il Consiglio (composto dal Presidente più i commissari). Ciascuna Commissione è organo collegiale, costituito dal Presidente e da quattro Commissari. Il Consiglio è costituito dal Presidente e da tutti i Commissari.
In considerazione del fatto che i suoi otto commissari sono eletti per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica, e il presidente è proposto direttamente dal Presidente del Consiglio (come stabilito dalla Legge Maccanico, che prevede altresì che le investiture definitive vengano date dal Presidente della Repubblica), una parte autorevole della dottrina continua a qualificare l’Agcom come una autorità semi-indipendente.
L’Agcom è innanzitutto un’autorità di garanzia[32]: la legge istitutiva affida all’Autorità il duplice compito di assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e di tutelare i consumi di libertà fondamentali dei cittadini.
L’Autorità svolge una funzione attiva di controllo dell’intero mercato delle comunicazioni, i cui attori devono conformarsi in primis ai principi dell’art. 21 della Costituzione: pluralismo e promozione della concorrenza, garanzia di un’informazione imparziale, completa, obiettiva e di qualità. Ha inoltre competenze in materia tariffaria, di qualità, controllo degli operatori del mercato. Ha poteri regolamentari, distribuiti tra Consiglio e Commissioni.
Insomma, l’Agcom viene istituita quale autorità di convergenza con compiti di regolazione, vigilanza e controllo, consultivi e di segnalazione, nonché sanzionatori e di aggiudicazione nei tre ambiti delle telecomunicazioni, della radiotelevisione e dell’editoria[33].
L’Agcom infatti dispone di diversi poteri, essa, ad esempio tenendo nel massimo conto le raccomandazioni e gli orientamenti della Commissione Europea, definisce i mercati dei servizi e dei prodotti corrispondenti a situazioni nazionali le cui caratteristiche siano tali da giustificare l’imposizione di obblighi di regolamentazione; accerta il grado di concorrenzialità di ciascun mercato rilevante: così, solo se il mercato non è effettivamente concorrenziale, l’Agcom può imporre o mantenere specifici obblighi di regolamentazione. Infine, individua l’impresa o le imprese che, all’interno di un mercato rilevante non siano effettivamente concorrenziali, o che dispongono di un significativo potere (godono, cioè, di una posizione dominante) e che, per tale ragione, sono destinatarie di specifiche misure di regolamentazione.
È in ogni caso di tutta evidenza che, per la natura delle funzioni svolte, gran parte della sua attività si esplica attraverso misure di regolamentazione.
L’Agcom, infatti, ai sensi della direttiva Ce n. 19/2002 del 7 marzo 2002[34], può imporre alle imprese che dispongono di un significativo potere di mercato “obblighi appropriati” di accesso e di interconnessione.
Peraltro, il d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, ha attribuito all’Agcom il potere di rendere obbligatori gli impegni presentati dalle imprese nei procedimenti di sua competenza[35], estendendo, di fatto, la possibilità di stabilire ulteriori misure di regolamentazione.
Ed invero, anche le competenze attribuite all’AGCOM nel corso degli anni sono state ridotte ed hanno subito notevoli cambiamenti.
Infatti, dopo l’istituzione del Ministero delle comunicazioni le funzioni attribuite all’AGCOM si sono notevolmente ridimensionate.
In materia radiotelevisiva la legge 249/1997 attribuiva una competenza generale all’Agcom, lasciando al Ministero un ruolo tendenzialmente residuale; tale scelta legislativa nel corso degli anni ha invertito completamente rotta cominciando a restituire o se si vuole ad attribuire ex novo al Ministero competenze già assegnate all’Autorità o che avrebbero dovuto spettarle, in ragione della sua natura di Autorità di regolazione del settore. In particolare, il d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 366[36] ha ridefinito le funzioni e la struttura organizzativa del Ministero.
Quest’ultimo provvedimento, nel modificare l’art. 32-ter d.lgs. n. 300/1999[37], ha infatti disposto che il Ministero, tramite gli organi centrali e gli ispettorati territoriali, è chiamato a svolgere, tra gli altri, i compiti e le funzioni di competenza statale in materia di concessioni, licenze e autorizzazioni nei settori delle comunicazioni, verifica degli obblighi di servizio universale, controllo del mercato delle apparecchiature radio e dei sistemi di comunicazione elettronica, vigilanza sul rispetto delle normative di settore (con la possibilità di porre in essere sanzioni amministrative), pianificazione/ripartizione nazionale delle frequenze.
In quest’ottica, è mutato radicalmente il riparto di funzioni tra Ministero e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. In particolare, l’art. 2 bis, c. 10, l. n. 66/2001[38] ha disposto che “le autorizzazioni e le licenze di cui agli art. 2, c. 13, e 4 c. l e 3 della legge 31 luglio 1997, n. 249, sono rilasciate dal Ministero delle comunicazioni”.
Con questa norma, priva di qualsiasi indicazione di abrogazione espressa di disposizioni incompatibili, i compiti ministeriali, già attribuiti all’AGCOM, sono stati “restituiti” al Ministero[39].
Vero è anche però che, in realtà, se pur ridotti rispetto al passato, i poteri dell’AGCOM in materia di licenze ed autorizzazioni sono ancora significativi.
Ciò comporta, per le imprese interessate, “l’obbligo di informare sia il Ministero sia l’Autorità, per tutte quelle situazioni che possano incidere sul rilascio di licenze od autorizzazioni o su qualsiasi altro provvedimento di secondo grado, che possa incidere su licenze od autorizzazioni già rilasciate”[40].
Resta indiscusso quindi che all’Agcom, spettano, attribuzioni consistenti: a) nel potere di emanare norme a carattere regolamentare, relative alle condizioni di rilascio di licenze e autorizzazioni nel settore delle telecomunicazioni; b) nel potere di controllo e ispezione sul rispetto, da parte delle imprese, degli obblighi di legge relativi ai servizi oggetto di licenza o autorizzazione; c) nella facoltà di segnalazione e proposta al Ministero per tutto ciò che attiene alla possibile emanazione di provvedimenti (anche di secondo grado) di competenza di quest’ultimo.
In ogni caso, a prescindere dal riparto di competenze tra Ministero e l’organismo di cui in parola, vi sono comunque alcune disposizioni in materia di licenze nonché di autorizzazioni che sono in evidente antitesi con le norme comunitarie.
Senza contare che il rilascio di licenze e autorizzazioni da parte del Ministero delle comunicazioni contrasta anche con la normativa nazionale. Il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 “Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n, 421 (oggi d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), che ha dato l’impronta a tutta la successiva normativa in tema di gestione e di controlli, ha richiesto che l’attività di indirizzo politico sia separata da quella di gestione.
Ne consegue pertanto che è sicuramente inoppugnabile che deve essere un organismo indipendente a curare i procedimenti di attribuzione delle frequenze e di rilascio delle autorizzazioni di gestione[41].
Tracciando quindi un quadro conclusivo, possiamo affermare che l’azione regolativa di Agcom è stata resa problematica in primo luogo dai rapporti con il Ministero delle comunicazioni.
Infatti, nella fase iniziale di messa a regime, la lentezza con cui si è proceduto al trasferimento delle competenze, oltre che dal Ministero anche dall’ufficio dell’allora Garante per la radiodiffusione e l’editoria ha reso macchinoso il processo di istituzionalizzazione.
Si aggiunga che gli interventi legislativi durante il Governo Berlusconi II hanno ulteriormente depotenziato le prerogative dell’Agcom a favore del Ministero, con ciò confermando una fase critica nel percorso di istituzionalizzazione delle Autorità indipendenti di settore[42].
Tra l’altro il codice delle comunicazioni impone una nuova rete di relazioni interistituzionali che sono formalizzati da specifici accordi di collaborazione fra Ministero e Autorità indipendenti oltre che tra l’Agcom e l’Antitrust.
Sul fronte interno poi la collaborazione con il Ministero delle comunicazioni prevede che l’Autorità fornisca elementi informativi in risposta agli atti di sindacato ispettivo rivolti al Governo, sulle materie di propria competenza[43].
Ma l’articolazione delle competenze fra Autorità indipendenti e Ministero ha fatto emergere spesso sovrapposizioni considerate da organismi a livello internazionale nonché dal nostro stesso legislatore, causa di criticità.
Lo stesso Presidente Calabrò sentito in Parlamento durante l’esame del disegno di legge presentato dal Governo Prodi nella XV legislatura sulla riforma delle Autorità indipendenti ha dichiarato che “di fronte a serpeggianti tentazioni di sovrapporre interventi dell’esecutivo a quelli istituzionalmente riservati alle Autorità indipendenti, la facoltà per queste di sollevare conflitti di attribuzioni sarebbe il presidio più efficace a garanzia della loro indipendenza. In tale ottica non appare opportuno vincolare mediante documenti programmatici di natura governativa l’azione delle Autorità indipendenti, che in molti casi risponde a precise disposizioni comunitarie o a criteri di best practice elaborati d’intesa con le omologhe autorità degli altri Stati”.
Ad oggi, insomma, la parziale incompletezza del disegno istituzionale e la complessità, ancorché convergente, degli ambiti di intervento sui cui l’Agcom è chiamata ad operare rimangono i principali ostacoli all’efficacia dell’azione regolativa della suddetta Autorità.
- La vicenda Alitalia e il silenzio dell’Antitrust
Nel corso degli ultimi mesi la gravissima situazione finanziaria e patrimoniale del gruppo Alitalia, nonché le varie ipotesi per il salvataggio della compagnia aerea di bandiera, hanno tenuto banco sulla scena politica italiana, costituendo argomento di confronto[44].
Questa la vicenda alla fine del 2008: dopo essere stata accantonata l’ipotesi di cessione del gruppo ad Air France, il Governo (il Ministero del Tesoro è l’azionista di maggioranza del gruppo) ha emanato un primo decreto legge, con il quale ha disposto l’erogazione da parte dello Stato di un prestito di 300 milioni di euro, “per consentirle di fare fronte a pressanti fabbisogni di liquidità”.
Dunque, con tale decreto veniva di fatto accertato lo stato di insolvenza, avviando al contempo un piano di salvataggio alternativo alla dichiarazione giudiziale dell’insolvenza.
Con tale decreto, infatti, si statuiva che “tutti gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere da Alitalia” – compiuti nel periodo compreso tra la data del decreto stesso e la data di “cessione della partecipazione azionaria di titolarità del Ministero dell’Economia e delle Finanze ovvero della perdita del controllo effettivo da parte del medesimo Ministero, ovvero il 31 dicembre 2008” – fossero equiparati a quelli previsti dalla lett. d) del comma 3 dell’art. 67 legge fall.[45] e come tali sottratti alla revocatoria fallimentare.
Ad agosto 2008, il Governo emanava un nuovo decreto legge, avente ad oggetto il possibile percorso che doveva essere seguito volto “a garantire la continuità nelle prestazione dei servizi pubblici essenziali”.
Il d.l. n. 80/2008, convertito nella Legge n. 111/2008, prevede dunque che sia “disposta a favore di Alitalia, per consentirle di fare fronte a pressanti fabbisogni di liquidità, l’erogazione dell’importo di euro 300 milioni”. Sulle somme grava un tasso interesse “equivalente ai tassi di riferimento adottati dalla Commissione europea”.
Nella stessa legge si prevede la possibilità di “individuare uno o più soggetti qualificati che promuovano in esclusiva la presentazione di un’offerta finalizzata ad acquisire il controllo di Alitalia”.
Il successivo d.l. n. 93/2008 dispone che le somme erogate ed i relativi interessi sono “utilizzati per far fronte alle perdite che comportino una diminuzione del capitale versato e delle riserve al di sotto del livello minimo legale”[46].
Infine, il d.l. n. 97/2008 ritorna sulla “individuazione” dei soggetti qualificati per la promozione della presentazione di un’offerta. Il soggetto in questione, è stato individuato in Intesa Sanpaolo, già coinvolta nell’operazione[47].
Tuttavia non è tutto così chiaro. Infatti i primi problemi si presentano già l’11 giugno 2008 quando la Commissione europea avvia un’inchiesta approfondita sul prestito, per valutarne la compatibilità con le regole in materia di aiuti di Stato[48].
Per quanto concerne, in particolare detta problematica è stato osservato che il “tasso di riferimento adottato dalla Commissione europea”, equivarrebbe ad un finanziamento che qualsiasi investitore privato avrebbe concesso.
Se così fosse, non dovrebbe neppure parlarsi di aiuto. Giuridicamente, infatti, la misura in parola non “favorirebbe” imprese o produzioni, come richiesto dall’art. 87 del trattato CE, in quanto si limiterebbe ad applicare le condizioni di mercato.
Questo fa si, che Alitalia (o il Governo italiano) deve essere in grado di dimostrare che un investitore privato le avrebbe concesso, ed alle medesime condizioni, il prestito così come previsto della nostra legge nazionale.
Qualora, infatti Alitalia non riuscisse a provare quanto appena detto dovrebbe obbligatoriamente invocare quella forma di aiuti c.d alle imprese in difficoltà”[49].
Per chiarezza e completezza giova ricordare che gli aiuti alle imprese in difficoltà si dividono in due sub-fattispecie gli aiuti per il salvataggio e gli aiuti per la ristrutturazione.
I primi, afferma la Commissione, sono “una forma di assistenza temporanea e reversibile.
Il loro obiettivo principale è quello di consentire di mantenere in attività un’impresa in difficoltà per il tempo necessario ad elaborare un piano di ristrutturazione o di liquidazione”.
La “tregua” offerta dall’aiuto, inoltre, non deve essere superiore a 6 mesi.
Tutto, dunque, è impostato sulla temporaneità, e sul piano di ristrutturazione
Gli aiuti “per la ristrutturazione”, sostiene invece sempre la Commissione, si fondano sullo strumento del piano di ristrutturazione, cioè “un piano realizzabile, coerente e di ampia portata, volta a ripristinare la redditività a lungo termine dell’impresa”. La ristrutturazione “generalmente” comporta la riorganizzazione e la razionalizzazione delle attività, l’abbandono delle attività non più redditizie e “talvolta” la loro diversificazione.
“Di norma” sarà accompagnata da una ristrutturazione finanziaria, ma non potrà limitarsi a questo, non potrà cioè limitarsi a colmare le perdite “senza intervenire sulle cause”.
Il beneficiario dell’aiuto, infine deve “contribuire in maniera significativa” alla ristrutturazione, vuoi con fondi propri, vuoi ricorrendo a finanziamenti esterni a condizioni di mercato.
Tanto che “di norma” tale contributo “di mercato” dovrà essere pari, per le grandi imprese, al 50% almeno.
Entrambe le forme di aiuto (salvataggio e ristrutturazione) sono sottoposte, al principio una tantum.
Il concetto di una tantum è interpretato nel senso che l’aiuto può essere concesso solo qualora siano trascorsi almeno dieci anni dalla concessione dell’aiuto per il salvataggio ovvero dalla fine del periodo di ristrutturazione o dalla cessazione del piano di ristrutturazione.
I dieci anni divengono cinque se si danno circostanze imprevedibili, non imputabili all’impresa beneficiaria. Se poi le circostanze, oltre ad essere imprevedibili, sono eccezionali, anche i cinque anni sono dispensabili.
Orbene, dall’analisi su descritta, e ritornando al prestito concesso all’Alitalia, il primo problema che si prospetta è che l’aiuto suddetto sarebbe fuori dal periodo decennale di moratoria per il primo aiuto concesso ad Alitalia(1997).
Quanto al secondo aiuto concesso nel 2004, i dieci anni ovviamente non sono passati, ma sono passati i cinque.
Se poi ci si chiede come è possibile che un secondo aiuto sia stato concesso nel 2004, se il primo era stato concesso nel 1997, e il primo doveva essere una tantum, si osserva che la Commissione riteneva allora che gli aiuti al salvataggio sfuggissero alla strettoia del principio una tantum.
Insomma, l’aiuto può creare uno squilibrio tra le imprese, danneggiando quelle sane, che si trovano a competere con quelle iniquamente sussidiate, nonché con quelle di altri Stati membri che rimangono ligi al principio di concorrenza.
In pratica, il problema è se l’aiuto concesso all’Alitalia danneggi AirOne o, ancora, British Airways.
Sul punto, si osservi che la concorrenza di cui parla la Commissione è cosa molto diversa da quella che siamo abituati a considerare ai fini antitrust[50].Il fatto che un’impresa possa non gradire l’azione di un suo concorrente, è la prova che la concorrenza funziona.
Dunque, ciò fa pensare che in questo caso, non di concorrenza nel senso di antitrust stiamo parlando ma di un qualcosa che si avvicina alla concorrenza sleale. L’impresa in difficoltà, che prende “illecitamente” prestiti dallo Stato, viola il “codice” del corretto imprenditore.
E lo Stato che sussidia la sua impresa non rispetta le regole imposte dalla Comunità, insomma in questo caso ci si chiede se effettivamente vi sia qui il problema di un intervento, potenzialmente distorsivo, dello Stato (mentre nella concorrenza sleale di regola si tratta di rapporti diretti tra imprenditori). Ma, per analizzare l’impatto sul mercato dell’intervento pubblico, la valutazione economica andrebbe portata, da una parte, al livello dell’identificazione dell’opportunità dell’intervento dello Stato, nonché, dall’altra, a quello dell’efficiente erogazione delle risorse; livello quest’ultimo macro (non micro, come per l’antitrust) economico.
Tecnicamente, dunque, tutta la materia poggia su basi teoriche estremamente sottili, nonché estremamente ambigue quanto alle loro conseguenze pratiche[51].
A queste perplessità di sistema altre se ne aggiungono nel caso concreto: i concorrenti “slealmente” toccati dall’azione di Alitalia sono di due tipi, quelli interni e quelli internazionali.
Tra i primi, AirOne, ad esempio, non appare colpita dall’impiego delle risorse pubbliche, tanto che in pochi anni ha guadagnato una posizione di mercato tutt’altro che biasimevole.
Per quanto concerne i secondi, Air France-KLM, British Airways i loro utili li conseguono sui mercati nazionali, ove hanno una posizione molto più forte di quella corrispondente di Alitalia, nonché sulle rotte intercontinentali, ove la posizione di Alitalia è di estrema debolezza.
Insomma se la preoccupazione della Commissione Europea è che Alitalia danneggi concorrenzialmente le grandi compagnie europee, come è stato autorevolmente affermato “nel mercato interno Alitalia è un concorrente con una mano legata dietro alla schiena, e forse un ombrello sotto il quale altri si possono accomodare per ripararsi dagli eccessi di concorrenza; nel mercato internazionale, poi, il suo impatto concorrenziale non sembra turbare i sonni delle grandi compagnie europee”[52].
Un’altra questione degna di pregio è che con il suo controllo sulla disciplina degli aiuti di Stato, la Commissione può intervenire negli equilibri politico-economici degli Stati membri, nei loro più vitali e politicamente più delicati interessi, ad esempio regolando l’attività di una compagnia di bandiera e di tutto quanto le gira intorno.
Tuttavia anche tale legittimazione oggi appare in discussione. Infatti: Francia, Olanda, e perfino l’Irlanda, bocciano il tentativo di una Costituzione europea. I no global di sinistra e di destra sottolineano la sua scarsa legittimazione politica.
Ora, la soluzione più efficace appare quindi quella per cui si lascia che la concorrenza avvenga a livello di sistemi nazionali, con i cittadini di ogni paese liberi, di impiegare i loro averi a finanziare la compagnia di bandiera.
Oppure si comincia a ripensare ad un’idea politica di Europa, ove la disciplina degli aiuti potrebbe divenire davvero l’elemento di una politica economica federale, con una sua legittimazione politica.
Certo è comunque che malgrado quanto detto solo lo scorso maggio (2009), gli uffici dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato stanno portando avanti iniziative autonome per “verificare se ci sono state scorrettezze commerciali” nella gestione della nuova Alitalia.
Lo ha reso noto il Presidente dell’Authority, Antonio Catricalà. Infatti in audizione alla Camera, Catricalà lamenta in particolare la situazione di Linate dove “Alitalia agisce in condizione di monopolio di fatto”.
Tra l’altro “a seguito dell’operazione di fusione di Alitalia e AirOne in Cai si è determinata la costituzione di un unico vettore che offre servizi di trasporto aereo passeggeri di linea spesso in monopolio su numerose rotte, tra cui alcune fra le più importanti in termini di trasportato. In particolare, sulle rotte da e per Linate l’attuale assetto monopolistico su alcuni collegamenti è reso di fatto non contendibile dalla regolazione che, limitando il numero di movimenti orari sullo scalo, riduce la possibilità di entrata di nuovi operatori stante l’indisponibilità di slot”[53].
Va ricordato che l’Autorità Antitrust è stata istituita con la legge 287 del 1990 “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” ed è considerata il modello più puro di autorità indipendente nel sistema italiano.
Detta legge offre infatti all’Agcm solidi strumenti operativi, che garantiscono un elevato grado di indipendenza, innanzitutto dal potere politico governativo ma anche dal potere economico. Rispetto al Governo, l’indipendenza consiste nella prevalente insussistenza di poteri di direzione dell’esecutivo sull’attività dell’authority e nella mancanza di passaggi governativi nella nomina di vertici, che in questo caso è affidata ai presidenti della Camera e del Senato.
L’Agcm ha competenze molto vaste, che sono state ampliate nel corso del tempo e che oggi coprono tre principali ambiti di intervento: il primo riguarda la tutela della concorrenza, il secondo, in ottemperanza a norme comunitarie, si riferisce alle disposizioni in materia di pubblicità ingannevole e poi anche comparativa (d.lgs. 67 del 2000[54]), da ultimo revisionate nel 2007 con importanti ampliamenti di competenze e poteri per l’Agcm (d.lgs. 145 e 146 del 2007); il terzo concerne l’attuazione della legge 215 del 2004, sui conflitti di interesse per i titolari di cariche di Governo.
Ai compiti originari se ne sono perciò progressivamente aggiunti di nuovi, nel complesso coerenti con la mission della tutela pubblicistica della concorrenza e del mercato nell’interesse dei consumatori.
Esaminando nello specifico le competenze in materia di concorrenza, che qui interessano, va evidenziato che in base alla legge istitutiva del 1990 il compito dell’Agcm è in primo luogo, vigilare sugli assetti strutturali dei mercati, impedendo che gli operatori economici si avvantaggino rispetto ai loro concorrenti attraverso comportamenti anti-concorrenziali.
L’Agcm deve cioè controllare le intese restrittive della concorrenza, gli abusi di posizione dominante e le operazioni di concentrazione delle imprese, che sono vietate[55].
Il contributo dell’Agcm alla tutela del mercato e alla configurazione complessiva del quadro concorrenziale diviene più significativo con l’entrata in vigore della legge 249 del 1997, che istituisce l’Agcom e attribuisce all’Agcm le competenze in materia di applicazione della normativa per la tutela della concorrenza prima spettanti al Garante per la radiodiffusione e l’editoria.
Su questa linea, anche la legge 78 del 1999 sull’emittenza televisiva riconosce all’Agcm il compito di tutelare la concorrenza nel mercato della pay-Tv, verificando se le modalità di allocazione dei diritti televisivi costituiscano un ostacolo all’ingresso e allo sviluppo di nuovi operatori nel mercato.
L’art. 11 della legge 57 del 2001 “Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati” ha poi attribuito all’Agcm anche la competenza amministrativa ad inibire e sanzionare l’abuso di dipendenza economica, ovvero quella situazione in cui un’impresa è in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.
In coerenza con la propria mission, però, l’Agcm interviene solo nei casi in cui tale abuso abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato.
La stessa legge ha inoltre introdotto un obbligo di separazione societaria, su cui l’Agcm deve pure svolgere attività di vigilanza, per le imprese di servizio pubblico che vogliano espandersi in “mercati diversi”.
Tale nuova funzione, che mira a contenere il fenomeno delle multiutility, è stata ritenuta strumentale all’applicazione più efficace del divieto di abuso di posizione dominante.
Non da ultimo, l’approvazione della legge sul risparmio conferisce all’Agcm le competenze antitrust sui comportamenti delle aziende di credito, sino ad ora esercitate dalla Banca d’Italia (sia pur limitatamente agli effetti esercitati sui mercati creditizi), colmando una delle più evidenti lacune della normativa, da più parti lamentata e ripetutamente segnalata anche dai vertici dell’Agcm[56].
In particolare, passa ad Agcm la vigilanza sulla concorrenza bancaria per gli abusi di posizione dominante e per le intese restrittive della concorrenza, mentre resta l’esame congiunto di Banca d’Italia e Antitrust sul divieto di operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza[57].
In conclusione, nell’ambito d’intervento a tutela della concorrenza, l’evoluzione legislativa ha rafforzato l’azione dell’Autorità, chiamata a svolgere sia un’azione di rilevazione dei comportamenti illeciti, sia un ruolo “creativo” che consiste nella definizione, affidata appunto all’Autorità, degli stessi parametri di giudizio in base ai quali una condotta debba essere o meno considerata legittima.
Lo spazio discrezionale dell’Agcm risulta peraltro amplificato se si pensa che già la legge istitutiva conferisce all’Autorità il potere di derogare al divieto di intese restrittive della concorrenza, oppure la possibilità di ammettere con riserva operazioni di concentrazione[58] delle risorse e la preoccupazione di una sostanziale eliminazione della concorrenza anche potenziale.
Per accertare le violazioni alle regole della concorrenza, l’Agcm si avvale della facoltà di avviare istruttorie oppure indagini conoscitive di carattere generale su settori economici considerati a rischio[59].
In assenza di tali poteri di vigilanza, di cui tutte le Autorità indipendenti sono dotate, e che si esplicano mediante la richiesta di dati e informazioni o di vere e proprie ispezioni nei confronti dei soggetti vigilati, non sarebbe possibile per le stesse autorità rapportarsi in modo efficace ai soggetti destinatari della regolazione.
Si tratta quindi di una importante attribuzione normativa, che è alla base della funzione di garanzia riconosciuta, senza distinzione, a tutte le Autorità indipendenti[60] e che assegna ad esempio ai provvedimenti dell’ Agcm un carattere che è definito “paragiudiziale”[61].
A complemento delle competenze nel controllo degli atti e dei comportamenti delle imprese, sono inoltre attribuiti all’Agcm poteri di segnalazione e consultivi finalizzati a sollecitare che anche nell’attività legislativa e regolamentare gli attori istituzionali tengano conto delle esigenze della concorrenza e del mercato.
In virtù di tali poteri, per un verso, l’Antitrust segnala al governo, al parlamento, alle amministrazioni pubbliche o ad altri organi competenti i casi in cui provvedimenti normativi già vigenti, o in via di formazione, siano tali da introdurre restrizioni della concorrenza non giustificate in base ad esigenze di interesse generale[62].
L’Agcm, infatti, è legittimata ad agire nell’interesse pubblico, in applicazione dell’art. 41 della Costituzione Per altro verso, il governo deve sentire l’autorità in occasione dell’adozione di normative suscettibili di incidere sulle materie regolate.
I poteri .di segnalazione e consultivi valorizzano dunque l’expertise dell’autorità, oltre a favorire i rapporti interistituzionali, anche fra le diverse Autorità indipendenti[63].
Vero è che non sempre le valutazioni e i suggerimenti dell’autorità sono fatti propri dai destinatari degli stessi; spesso generano vivaci discussioni, stimolando il dialogo e l’approfondimento delle tematiche segnalate; in ogni caso consentono di dare voce all’interesse pubblico alla tutela della concorrenza e del mercato, ciò che costituisce di per sé il migliore contributo che l’autorità possa fornire.
Si tratta perciò di un’attività di moral suasion, che ha dato luogo ad esiti diversificati, di efficacia variabile a seconda dei casi[64].
L’attività di accertamento e controllo in applicazione delle regole (law enforcement) e quella di segnalazione e consultiva sono perciò complementari.
Ad esse si aggiungono i poteri sanzionatori, di tipo amministrativo, che l’Agcm esercita direttamente ma la cui portata è stata a lungo ritenuta suscettibile di miglioramento.
Ancora sul finire degli anni novanta, il presidente Tesauro chiedeva ad esempio una revisione dei poteri di determinazione dell’ammontare delle sanzioni pecuniarie comminate ai soggetti vigilati. Innovazioni in tale direzione sono state effettivamente apportate dalla legge 57 del 2001, che ha adeguato il regime sanzionatorio al sistema prevalente in Europa introducendo il riferimento al fatturato complessivo dell’impresa come elemento rilevante per il calcolo delle sanzioni da parte dell’autorità, piuttosto che i soli prodotti oggetto di istruttoria[65].
Nell’applicazione dei poteri sanzionatori, comunque, l’Agcm gode di un elevato grado di discrezionalità, ulteriormente incrementato dalla legge 248 del 2006, di conversione del più noto decreto-legge Bersani sulle liberalizzazioni.
La nuova legge integra i poteri dell’Agcm prevedendo ad esempio che quest’ultima, in conformità con l’ordinamento comunitario, possa ridurre o non applicare le sanzioni amministrative pecuniarie previste per le intese restrittive della concorrenza in caso di autodenuncia da parte dell’impresa coinvolta, promuovendo programmi nazionali di clemenza
Detta disciplina attribuisce inoltre all’autorità il potere di adottare misure cautelari per evitare che si producano “danni gravi e irreparabili” alla concorrenza[66].
Tutto ciò premesso e considerato quindi l’ampio ventaglio di competenze attribuite all’organismo in commento probabilmente ritornando al fenomeno Alitalia si ritiene che la summenzionata Autorità sarebbe potuta intervenire prima a sostegno ovvero a discapito della compagnia di bandiera di cui in parola.
[1] Per una disamina si veda La Spina A., Cavatorto S., Le Autorità indipendenti, Bologna 2008, p. 182 ss.
[2] Il Grtn (www.Grtn.it), società per azioni operativa dal 1° aprile 2000, interamente controllata dall’allora Ministero del Tesoro, era concessionaria della trasmissione e del dispacciamento dell’elettricità sulla rete nazionale. Nel novembre 2005, al fine di unificare proprietà e gestione della rete, tali attività sono state affidate a Terna spa (d.p.c.m. 11 maggio 2004, (cfr. www.terna.it) . Il Grtn, divenuto gestore dei servizi elettrici (Gse Spa), si occupa ora in particolare della gestione, promozione, incentivazione delle fonti rinnovabili.
[3] L’Au (www.acquirenteunico.it) è una società controllata al 100% dal Gse per tutelare i clienti c.d. vincolati (piccoli consumatori) che, a differenza di quelli idonei, e fino alla liberalizzazione ultimata, potevano stipulare contratti di fornitura solo con il distributore locale.
[4] Così la Relazione di accompagnamento al D.D.L. C. 3297, p. 8 e 9.
[5] De bellis M. L’erosione dei poteri dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in Rass. Giur. Energia elettr., 1, 2004, p. 401 ss.; Id., La legge di riordino del settore energetico, in Giornale di diritto amministrativo, 3, 2005, p. 249. ss.
[6] Sono state recentemente emanate le Direttive 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE – Dichiarazioni riguardanti lo smantellamento di impianti e le attività di gestione dei rifiuti, in G.U.C.E. n. L. 176 del 15 luglio 2003, p. 37 ss. e 2003/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE, in G.U.C.E. n. L. 176 del 15 luglio 2003 p. 57 ss. L’attuale assetto normativo del settore elettrico è completato dal Regolamento n. 1228/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica, in G.U.C.E. n. L. 176 del 15 luglio 2003, p. 1 ss.
[7] Ci si riferisce al Gestore della Rete di trasmissione nazionale – GRTN, con il compito di esercitare le attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica; l’Acquirente Unico – AU, cui spetta garantire la fornitura di energia elettrica destinata ai clienti vincolati “in condizioni di continuità, sicurezza ed efficienza del servizio, nonché di parità del trattamento, anche tariffario”; il Gestore del Mercato elettrico – GME, che organizza il mercato elettrico e ne predispone la disciplina.
[8] Secondo il disegno delineato dal d.lgs. n. 79, infatti, nel settore elettrico sono competenti, a diverso titolo, i seguenti soggetti: GRTN, AU, GME, MICA (ora MAP), Aeeg, nonché, per alcuni profili, l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato. Al riguardo, è però qui il caso di sottolineare che l’istituzione di tre soggetti distinti non costituiva una scelta obbligata; al contrario, la Direttiva 96/62/CE lasciava spazi molto ampi alla discrezionalità degli Stati membri. Tale elasticità è stata lo strumento attraverso il quale è stato possibile superare i contrasti tra le opposte posizioni degli Stati, in un settore avvertito come essenziale dalle opinioni nazionali: in proposito, tra i primi, Clò A., La Direttiva elettrica europea fra concorrenza e interesse generale, in L’industria, 1999, fase. 1, p. 15 ss., e Goldoni G., L’industria elettrica europea e lo Direttiva 96/621CE, in L’industria, 1999, fase. 1, p. 35 ss.; più diffusamente, Colavecchio A., La liberalizzazione del settore elettrico nel quadro del diritto comunitario. Alla ricerca di un giusto bilanciamento fra regole di concorrenza ed ·esigenze di servizio pubblico, Bari, 2000, p. 65 ss.
[9] Al riguardo, vi è stato chi ha contestato l’opportunità di frammentare tra soggetti diversi la responsabilità relativa a compiti in larga parte contigui: così Scarpa C., Chi ha paura della concorrenza nel settore elettrico? Note a margine del decreto Bersani, in Mercato Concorrenza Regole, 1, 1999, p. 125. In particolare, l’Italia è stata l’unico Stato membro ad avvalersi del modello dell’Acquirente Unico, abbandonato anche dal Paese che ne era stato l’inventore, ovvero la Francia: così Prosperetti L., Paura di volare, in L’industria, 1, 1999, p. 13. In numerosi Stati (è questo il caso di Inghilterra, Galles, Portogallo e Paesi scandinavi) le funzioni che, secondo la disciplina delineata dal d.lgs. n. 79, risultano suddivise tra il GME e il GRTN, sono state attribuite ad un unico soggetto: in proposito, cfr. Scarpa C., op. cit., p. 115.
[10] L’atto viene invece adottato su proposta dell’Autorità nelle seguenti ipotesi: le convenzioni che il gestore stipula per disciplinare gli interventi di manutenzione e sviluppo della rete devono essere stipulate in conformità ad una convenzione tipo definita con decreto del Ministro “su proposta dell’Autorità a norma della legge n. 481 del 1995” (art. 3, 8° comma); nel caso delle convenzioni non vengano adottate dal gestore nei termini indicati dalla legge, vengono definite e rese efficaci direttamente con decreto del Ministero, sempre ad oliato su proposta dell’Autorità (art. 3, 9° comma). Si presenta simile l’ipotesi della determinazione del corrispettivo di accesso alla rete di trasmissione: infatti, l’ammontare complessivo è deciso dall’Autorità (art. 3, 10° comma), ma gli oneri generali afferenti al settore elettrico, il cui corrispettivo entra a far parte di quello per l’accesso alla rete, vengono individuati con decreto del Ministero, su proposta dell’Autorità (art. 3, 11° comma). Infine, le disposizioni relative al funzionamento delle piccole reti isolate sono dettate con regolamento del Ministero, su proposta dell’Autorità, sentita la Conferenza unificata, (art. 7, 1° comma); in questo caso, però, i criteri cui il regolamento deve attenersi sono predeterminati per legge: a) sicurezza, efficienza ed economicità del servizio; b) sviluppo, ove possibile, dell’interconnessione con la rete di trasmissione nazionale; c) utilizzo prioritario delle fonti rinnovabili.
[11] In tal senso, si presenta emblematica la disciplina delle importazioni: innanzitutto, il GRTN comunica al Ministero e all’Autorità le capacità di importazione e di esportazione di energia elettrica (art. 10, 1° comma); successivamente, l’Aeeg individua modalità e condizioni delle importazioni nel caso che risultino insufficienti le capacità di trasporto disponibili, tenuto conto di una equa ripartizione complessiva tra mercato vincolato e mercato libero; quando, però, non vengono rispettate le condizioni di reciprocità nel grado di apertura del mercato, l’Aeeg può consentire al gestore di negare 1’accesso: in tal caso, però, il decreto prevede espressamente che il provvedimento rispetti gli indirizzi del Ministero (art. 10, 2° comma). Come vedremo, la disciplina delle importazioni è stata oggetto di rilevanti modifiche, attinenti al riparto di funzioni tra Ministero e Aeeg.
[12] Cfr. Scarpa C., op. cit., p. 123; Gola M., L’organizzazione pubblica del mercato elettrico, in Giorn. dir. amm., 1999, p. 517.
[13] Art. 1, 1° comma: “L’attività di distribuzione dell’energia elettrica è svolta in regime di concessione rilasciata dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato”; Art. 3, 5° comma: “Il gestore della rete è concessionario delle attività di trasmissione e dispacciamento; la concessione è disciplinata, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato”. Nel secondo caso, quindi, il destinatario della concessione è indicato direttamente dalla legge. All’interno di queste, inoltre, sono individuati i responsabili della gestione, della manutenzione, e, se necessario, dello sviluppo delle reti di distribuzione e dei relativi dispositivi di interconnessione (art. 9, 1° comma).
[14] Art. 9, 1° comma, d.lgs. n. 79/99.
[15] Art. 3, 4° comma, d.lgs. n. 79/99.
[16] Art. 15, 1° comma: “La decorrenza delle incentivazioni concernenti i provvedimenti di cui all’art. 3, comma 7, della legge 14 novembre 1995, n. 481, è improrogabilmente stabilita nelle convenzioni stipulate con l’Enel s.p.a. prima della data di entrata in vigore del presente decreto. I soggetti che non rispettino la data di enirata in esercizio dell’impianto indicata nella convenzione, fatto salvo ogni onere ivi previsto, sono considerati rinunciatari. In caso di motivato ritardo rispetto alla data predetta il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, ferma rimanendo la decorrenza delle incentivazioni, può concedere una proroga non superiore a due anni a fronte di un coerente piano di realizzazione”. Si tratta dei c.d. provvedimenti C.I.P. 6.
[17] Art. 9, 3° comma: ”Al fine di razionalizzare la distribuzione dell’energia elettrica, è rilasciata una sola concessione di distribuzione per ambito comunale. Nei comuni ove, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono operanti più distributori, questi ultimi, attraverso le normali regole di mercato, adottano le opportune iniziative per la loro aggregazione e sottopongono per approvazione le relative proposte al Ministro dell’industria, del commercio e dell’ artigianato entro il 31 marzo 2000; ove lo stesso Ministro non si esprima entro il termine di sessanta giorni le stesse proposte si intendono approvate. Il medesimo Ministro ed il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica promuovono la predetta aggregazione, anche attraverso specifici accordi di programma”.
[18] Così, è il Ministero che, sentita l’Autorità, individua la rete nazionale di gasdotti; art. 9, d.lgs. n. 164/00, stabilisce i criteri per determinare il corrispettivo che il titolare di una concessione di stoccaggio deve versare al soggetto che detiene la relativa concessione di coltivazione; art. 13, 9° comma, d.lgs. n. 164/00, concede la deroga temporanea all’obbligo di accesso, per gravi difficoltà economiche e finanziarie derivanti da contratti di tipo take or pay, a favore di imprese di trasporto, art. 26, 3° comma, d.lgs. n. 164/00.
[19] Art. 26, 3° comma, d.lgs. n. 164/00.
[20] Così Polo M., Scarpa C., Gas: quanta concorrenza passerà attraverso i tubi?, in Mercato, Concorrenza,. Regole, n. 3, 2000, p. 375; Cazzola C., “La volpe e il coniglio”: monopolio e concorrenza nel mercato del gas naturale in Italia, in Mercato, Concorrenza,. Regole, n. 2, 2000, p. 355, sottolinea come il decreto attribuisca al Ministero un elevato numero di competenze e funzioni regolamentari; in senso opposto, Caia G., Colombari S., Regolazione amministrativa e mercato interno del gas naturale, in Rass. giur. energia elettr., 2000, p. 344, secondo i quali con le competenze spettanti al Ministero ai sensi del decreto n. 164 “il legislatore ha evidentemente voluto attenersi all’ordine dei rapporti tra Ministeri e Autorità risultante dalla legge 14 novembre 1995, n. 481”.
[21] Art. 28, 3° comma, d.lgs. n. 164/00.
[22] Prima Ministero delle attività produttive, oggi Ministero dello sviluppo economico.
[23] Art. 1, 8° comma, L n. 239/04.
[24] Come si è già avuto modo di accennare, ciò avviene in attuazione delle modifiche apportare all’art. 117 Cost. dalla legge cost. n. 3 del 2001.
[25] Diversa la precedente formulazione della norma: l’art. 6 del d.d.l. S. 2421 assegna allo Stato funzioni analoghe, ma prevede che tali funzioni “sono esercitate dallo Stato, anche attraverso l’Autorità”.
[26] Art. 1, 11° comma, l. n. 239/04.
[27] Art. 1, 14° co., L. n. 239/04.
[28] Art. 1, 11° co., L. n. 239/04.
[29] Art. 1, 18° co., L. n. 239/04.
[30] In particolare, il numero massimo dei componenti del personale di ruolo passa dalle ottanta alle centoventi unità, mentre quello dei dipendenti con contratto a tempo determinato da quaranta a sessanta: art. 1, 118° co., L. n. 239/04.
[31] Simone G., Processo di liberalizzazione del mercato interno del gas naturale in corso: come cambia il potere regolatorio dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in Foro Amministrativo, Consiglio di Stato, 1, 2007, p. 1023 ss.
[32] Le garanzie riguardano: gli operatori, attraverso: l’attuazione della liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni, con le attività di regolamentazione e vigilanza e di risoluzione delle controversie; la razionalizzazione delle risorse nel settore dell’audiovisivo;
l’applicazione della normativa antitrust nelle comunicazioni e la verifica di eventuali posizioni dominanti; la gestione del Registro Unico degli Operatori di Comunicazione; la tutela del diritto d’autore nel settore informatico ed audiovisivo. Gli utenti, attraverso: la vigilanza sulla qualità e sulle modalità di distribuzione dei servizi e dei prodotti, compresa la pubblicità; la risoluzione delle controversie tra operatori e utenti; la disciplina del servizio universale e la predisposizione di norme a salvaguardia delle categorie disagiate; la tutela del pluralismo sociale, politico ed economico nel settore della radiotelevisione.
[33] Tracciando un quadro normativo possiamo affermare che in ordine cronologico la l. 28/2000 sulla parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica affida ad Agcom la vigilanza sull’emittenza radiotelevisiva privata e locale, in questo secondo caso prevedendo che l’Autorità si avvalga de Corecon. Ancora la legge 248/2000 sulla tutela del diritto d’autore estende le funzioni di regolazione e di vigilanza proprie dell’Autorità indipendenti anche al settore della proprietà intellettuale.
[34] Artt. 9-13. Le misure di regolamentazione possono essere di vario tipo. Alcune sono indicate espressamente nelle norme: sono quelle relative agli obblighi di trasparenza, di non discriminazione, di separazione contabile, di uso di determinate risorse di rete, di controllo dei prezzi e di contabilità dei costi. Altre misure, invece, sono rimesse alla determinazione autonoma dell’ Agcom , che può adottarle a due condizioni: che ricorrano circostanze eccezionali e che vi sia la preventiva autorizzazione della Commissione (art. 7, comma 3, della Direttiva quadro). Quest’ultimo aspetto merita di essere sottolineato perché mostra – a dispetto di quanto si è recentemente sostenuto (ci si riferisce al recente dibattito sulla necessità o meno di una specifica previsione normativa per consentire all’ Agcom di disporre la separazione gestionale della rete) – che le norme non prevedono un sistema tassativo, ma aperto di misure di regolamentazione.
[35] Si v. il regolamento di attuazione definito con delibera dell’ Agcom , 9 novembre 2006, n. 645/06/Cons.
[36] D.Lgs. 30 dicembre 2003, n. 366 “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, concernenti le funzioni e la struttura organizzativa del Ministero delle comunicazioni, a norma dell’articolo l della legge 6 luglio 2002, n. 137”.
[37] Si ricorda che l’art. 32-ter, d.lgs. n. 300/1999 è stato introdotto dall’art. 6, c. 2, d.l. n. 217/2001, convertito con modificazioni dalla l. n. 317/2001.
[38] La L. 20 marzo 2001, n. 66 ha convertito il d.l. 23 gennaio 2001, n. 5 “Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi”.
[39] La L. n. 66/2001 ha attribuito al Ministero delle comunicazioni, 1) il rilascio delle licenze ai destinatari di concessioni radiotelevisive su frequenze terrestri per la trasmissione simultanea su altri mezzi trasmissivi; 2) il rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di reti di telecomunicazioni destinate a transitare su beni pubblici; 3) il rilascio delle autorizzazioni per l’installazione, non in esclusiva, di reti di telecomunicazione via cavo o che utilizzano frequenze terrestri. Questa scelta è stata confermata dalla l. n. 317/2001 cit. (v. art. 6). È bene precisare che, con la L. n. 249/1997, il legislatore aveva ampliato le competenze dell’Autorità, a cui erano state attribuite espressamente i compiti di amministrazione attiva inerenti al rilascio di licenze e autorizzazioni. In particolare, l’art. 4, c. 1, L. n. 249 cit. disponeva che “l’installazione non in esclusiva delle reti di telecomunicazione via cavo o che utilizzano frequenze terrestri è subordinata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, al rilascio di licenza da parte dell’Autorità. A decorrere dalla stessa data l’esercizio delle reti di telecomunicazione e la fornitura di servizi di telecomunicazioni sono subordinati al rilascio di licenze e autorizzazioni da parte dell’Autorità. L’installazione di stazioni terrestri per i servizi via satellite disciplinata ai sensi delle procedure previste nel decreto legislativo 11 febbraio 1997 n. 55, è soggetta ad autorizzazione rilasciata dall’Autorità”.
[40] Libertini M., I rapporti tra Ministero e Autorità garante delle comunicazioni, in Giornale di diritto amministrativo, 2001, p. 1290.
[41] V. art. 7 direttiva 90/388/Ce. Sul tema cfr. Perez R., Telecomunicazioni e concorrenza. Cit., 131.
[42] La Spina A., Cavatorto S., Le autorità indipendenti, Bologna 2008, p. 259.
[43] La Spina A., Cavatorto S., Le Autorità indipendenti, Bologna 2008, p. 222 ss.
[44] Il ministro dell’economia Giulio Tremonti si è presentato in Parlamento nel settembre 2008 per riferire sulla vendita dell’Alitalia e, successivamente, sul “Sole-24 ore”, ha ripercorso, a suo modo, le tappe che avevano portato a quella situazione prefallimentare. Dunque: la situazione della compagnia di bandiera era già grave al tempo del governo Prodi, ma il premier era stato inerte per quattro mesi prima di compiere le proprie scelte; 28 erano stati i soggetti avvicinati, ma alla fine ne era rimasto solo uno, Air France-Klm e, di conseguenza, nel dicembre 2007, Padoa Schioppa aveva “espresso un orientamento favorevole all’avvio di una trattativa esclusiva” con la compagnia francese; sennonché, dopo numerosi incontri con i sindacati che si erano variamente opposti, Air France aveva preso atto della rottura delle negoziazioni e chiuso di conseguenza il capitolo Alitalia: l’inerzia, prima e l’inadeguatezza, poi, del governo Prodi che secondo le dichiarazioni di Berlusconi voleva “svendere” la compagnia di bandiera alla Francia – e il massimalismo dei sindacati elemento questo particolarmente sottolineato a suo tempo dal giornale confindustriale – avevano portato al fallimento della trattativa; e, se a settembre vi era ancora la possibilità di un salvataggio di Alitalia, lo si doveva, secondo il ministro, all’iniziativa del nuovo governo Berlusconi, che aveva favorito il sorgere di una nuova cordata, tutta italiana, la Cai, forte ormai di 18 “imprenditori seri e credibili”, gli unici in grado di risolvere, nell’interesse del paese, la grave situazione in tal modo creatasi. Cfr. Scarpari G., Tremonti: l’Alitalia e il gioco delle tre carte in Il Ponte, 2008, fasc. 10, p. 18.
[45] Quelli posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria.
[46] Osti C., Alitalia: la dolorosa istoria, in Mercato concorrenza e regole, 2, 2008, p. 5117 ss.
[47] La soluzione prospettata da Intesa San paolo sarebbe quella di formare una, come si dice, good, nonché, inevitabilmente, una bad company. Nella prima si farebbe confluire Alitalia (la parte good di Alitalia, per l’appunto), AirOne e un gruppo di imprenditori, tra i quali Roberto Colaninno. La good company, accorpando Alitalia con AirOne, potrebbe se non altro avviare a risoluzione uno dei problemi più pressanti di Alitalia, riducendo il numero complessivo di aerei, aumentandone il coefficiente di riempimento e sostituendo i vecchi McDonnell-Douglas di Alitalia con i nuovi Airbus 320 in arrivo o già in esercizio con AirOne. La posizione di mercato dell’aggregato Alitalia/AirOne sarebbe senz’altro più solida e promettente, ed anche gli inevitabili problemi antitrust, specie sulla tratta Roma-Milano sarebbero in qualche misura attenuati per il fatto che Alitalia ha perso gran parte della sua originaria posizione monopolistica, tanto che la sua quota oggi supera di poco il 40% (fatto unico nei mercati ove è presente un vettore nazionale).
[48] La Commissione ritiene, “in questa fase” che la misura in questione “potrebbe costituire un aiuto incompatibile con il mercato comune·. La Commissione osserva anche che “in linea di massima lo Stato italiano non può più concedere aiuti al salvataggio o alla ristrutturazione di Alitalia, poiché quest’ultima ne ha già beneficiato” (sulla regola una tantum, v. qualche riga più sotto). In particolare, la Commissione afferma di voler valutare “se un investitore privato avrebbe agito nello stesso modo del governo italiano”.
[49] La disciplina in materia è riassunta dalla Commissione nella sua comunicazione dal titolo Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà del 1 ottobre 2004, nonché, per quanto concerne il settore dell’aviazione civile, dai parr. 37 ss. degli Orientamenti comunitari sull’applicazione degli articoli 92 e 93 del trattato CE e dell’articolo 61 dell’accordo SEE agli aiuti di Stato nel settore dell’aviazione del 10 dicembre 1994.
[50] Osti C., Alitalia: la dolorosa istoria, in Mercato concorrenza e regole, 2, 2008, p. 5117 ss.
[51] Si è cercato di spiegare un po’ meglio in un articolo di un paio di anni fa: Di alcuni problemi degli aiuti di Stato, in “MCR”, n. 3/2006.
[52] Osti C., Alitalia: la dolorosa istoria, in Mercato concorrenza e regole, 2, 2008, p. 5117 ss.
[53] Il Sole24ore, 24 giugno 2009.
[54]Il d.lgs. 74/1992 dava attuazione alla direttiva Cee/84/450, che fissava i principi generali in materia di pubblicità ingannevole ai quali le legislazioni degli stati membri dovevano uniformarsi. Modificando tale regolazione, la nuova direttiva Cee/97/95 introduceva norme sulla pubblicità comparativa, a loro volta recepite in Italia dal d.lgs. 67/2000, poi abrogato dal d.lgs. 206/2005, ed. Codice del consumo, che raccoglie le norme previgenti in materia.
[55] La prima concentrazione vietata dall’Agcm risale a12001, relativamente all’acquisizione da parte dell’impresa Granarolo della Centrale del latte di Vicenza. L’autorità ha ritenuto che l’operazione avrebbe realizzato una struttura di mercato sostanzialmente duopolistica intorno a due operatori nazionali, determinando un rafforzamento della posizione dominante collettiva che, pertanto, doveva essere perseguita (Bollettino Agcm n. 21/2001).
[56] Fra gli ultimi interventi, cfr. il parere Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, in Bollettino Agcm n. 16/2005.
[57] Le modalità concrete di cooperazione fra le due autorità sono state precisate dal d.lgs. 303/2006 e un protocollo di intesa sullo scambio di informazioni è stato firmato da entrambe il 2 aprile 2007.
[58] Bisogna notare che, secondo la legge, è compito del governo determinare i criteri in base ai quali 1’Agcm potrà concedere o negare concentrazioni vietate. Sino ad oggi, però, le norme contenenti tali criteri non sono state adottate.
[59] Dal 1993 al 2007 sono state avviate oltre 40 indagini conoscitive (concluse nel 70% dei casi) soprattutto nel settore dei servizi, ma anche in quello agroalimentare e manifatturiero, nonché sul mercato dell’energia elettrica e del gas.
[60] Si ritiene infatti superata la distinzione tra autorità “di garanzia” e autorità “regolatrici di servizi” proposta da Amato. Tale distinzione sarebbe peraltro valsa a giustificare una differente graduazione, per ciascuna categoria di autorità, del carattere dell’indipendenza rispetto all’indirizzo governativo.
[61] Sul ruolo paragiudiziale dell’Agcm si rimanda all’interessante dibattito in Padoa-Schioppa Kostoris F., Le Autorità indipendenti e il buon funzionamento dei mercati, Milano 2002, p. 163-179. Cfr. anche Clarich M., Le autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un nuovo modello, Bologna 2005, p. 110.
[62] Nel periodo 1991-20061’Antitrust ha esercitato tale facoltà in oltre 350 casi, cui si devono aggiungere le indicazioni contenute nei pareri resi alle istituzioni interessate (ex art. 22 l. 287/1990), nelle relazioni annuali, oltre che nei rapporti presentati con riferimento specifico ai settori degli appalti pubblici, delle imprese concessionarie e della distribuzione commerciale. Costanti sono pure le relazioni con le commissioni parlamentari competenti attraverso le audizioni.
[63] La Spina A., Cavatorto S., Le Autorità indipendenti, Bologna 2008, p. 143 ss.
[64] Clarich M., Le autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un nuovo modello, Bologna, 2005, p. 99.
[65] Nei casi di reiterata inottemperanza 1’Agcm può disporre la sospensione dell’attività d’impresa fino a 30 gg.
[66] La procedura di adozione delle misure cautelari è stata disciplinata dall’autorità (delibera Agcm 14 dicembre 2006) e prevede, a seconda dei casi, il contraddittorio con le parti interessate (procedura ordinaria) oppure no (procedura eccezionale).