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I contratti di distribuzione

INTRODUZIONE

Attualmente, con lo sviluppo di sempre nuove forme di manifestazione dell’autonomia privata assieme all’evolversi e al variegarsi delle modalità di realizzazione degli scambi, viene messa in crisi l’unitarietà e l’organicità della fattispecie della vendita, accanto alla quale si creano nuove categorie, tra queste quella dei contratti di distribuzione.

Si è avuto anche un mutamento radicale nelle modalità di organizzazione strutturale del processo di distribuzione, in quanto in base a delle semplici considerazioni economiche, la produzione di un bene e la prestazione di un servizio sono giustificati solo in quanto vige la legge della domanda, anche se potenziale, di quel bene e di quel servizio, che a sua volta da senso all’attività produttiva.

Di conseguenza, per ogni impresa produttrice la fase di distribuzione diventa l’oggetto principale di studio approfondimento volto al miglioramento della stessa in quanto rappresenta il canale principale per aumentare la redditività dell’impresa.

In via di approssimazione, possiamo quindi giungere alla conclusione che sotto il nome di distribuzione commerciale, generalmente intesa, possono essere fatti rientrare tutta una serie di attività che, a diverso titolo, contribuiscono a creare una relazione diretta tra la produzione di un bene e la sua fase finale, cioè quando viene acquistato dal consumatore, contribuendo a rendere realizzabili gli obiettivi dei produttori e dei consumatori.

I contratti di distribuzione selettiva consentono pertanto agli esportatori di stabilire i criteri di selezione per i potenziali rivenditori finali.

Essi realizzano un collegamento diretto fra l’esportatore ed il rivenditore e rappresentano uno dei mezzi a disposizione degli esportatori per avere un controllo più rigoroso sul modo in cui i loro prodotti sono posti sul mercato.

Il modello di contratto elaborato dalla ICC fornisce alle imprese e ai loro consulenti legali una risorsa efficace per l’introduzione dei prodotti sul mercato per mezzo di una rete di rivenditori qualificati.

CAPITOLO 1

I contratti di distribuzione

Sommario: – 1. Le figure contrattuali internazionali più diffuse; – 2. La distribuzione internazionale: problematiche generali; – 3. Le tecniche di redazione del contratto internazionale tra common law e civil law; – 4. I requisiti del testo dell’accordo; – 5. La legge applicabile al contratto internazionale.

  1. Le figure contrattuali internazionali più diffuse

E’ interessante preliminarmente notare che i contratti più usati nel commercio internazionale[1] si riferiscono essenzialmente a tre tipi di operazioni[2]:

– prestazioni corrispettive[3] nei quali ci si scambia un bene o servizio contro un corrispettivo in denaro;

– operazioni di intermediazione[4], che legano un produttore o venditore ad un soggetto che promuove o favorisce la rivendita del prodotto o servizio al consumatore finale;

– operazioni di collaborazione commerciale (franchising) o industriale[5], nel cui ambito due soggetti (partner) stabiliscono una forma di collaborazione per fornire prodotti o servizi a terzi destinatari.

Nei primi due tipi di rapporti le prestazioni sono molto definite, di durata predeterminata e si tende ad evitare ogni rischio.

Nella compravendita la perdita della merce od il mancato pagamento sono fatti patologici del rapporto, e si possono perciò in qualche misura anche assicurare (l’agente garantisce parzialmente il preponente dai mancati pagamenti dei clienti da lui presentati attraverso lo star del credere).

Nei rapporti di collaborazione, i partner si associano per rischiare insieme, assumendosi, in genere per periodi lunghi o indefiniti, l’alea del successo che un prodotto avrà sul mercato[6].

Ne conseguono diverse tipologie di contratti, essendo necessari nella collaborazione industriale rapporti “flessibili” (dal momento che ogni aspetto in cui viene ad articolarsi il rapporto può non essere ab initio previsto), mentre nelle altre forme si tende a prevedere tutto, per evitare equivoci, incomprensioni ed ogni altro problema esposto nel corso del presente studio.

  1. La distribuzione internazionale: problematiche generali

I problemi che si possono porre in questa figura generale (che comprende rapporti quali ad esempio il contratto[7] di agenzia, il franchising, la concessione di vendita), che ha per scopo la diffusione e la promozione dei prodotti su di un mercato estero tramite la collaborazione di un produttore con altri soggetti (agente, franchisee, concessionario),  sono concentrati su tre aspetti :

    – il rapporto di fiducia ;

– il controllo del distributore ;

    –  la stabilità del rapporto .

Per quanto riguarda il primo punto è palese l’esigenza di costituire un rapporto di fiducia con un soggetto che rappresenterà la base cui riferirsi su un mercato straniero.

In tale situazione è importante l’ambito territoriale di azione di ciascuno dei contraenti, dal punto di vista ad esempio della protezione territoriale e della ripartizione del mercato straniero, in base a criteri basati sull’area geografica, sui prodotti o sulle categorie di clienti[8].

Inoltre, il distributore straniero, possedendo una approfondita conoscenza del mercato in cui il rapporto è destinato a svolgersi, può contribuire con l’esportatore a porre in essere adeguati piani di distribuzione e di vendita dei prodotti.

In ogni caso è opportuno, nel testo contrattuale, da parte dell’esportatore e nei confronti del distributore, predisporre un piano di controlli che bilancino l’affidamento dato alla controparte straniera[9].

Per quanto attiene all’ultimo punto, appare chiaro che i rapporti di distribuzione vengano instaurati per durare nel tempo, dal momento che la promozione e la diffusione di un nuovo prodotto sul mercato spesso non si esaurisce in un breve periodo.

Le necessità sopra descritte sono fondamentali, ma altrettanto importante, si ribadisce, è l’esigenza di poter risolvere il contratto con un soggetto che sia venuto meno agli obblighi contrattuali o nei confronti del quale sia venuto meno il necessario rapporto di fiducia.

Le clausole contrattuali dovranno dunque disciplinare esaustivamente anche quest’ultimo aspetto, onde evitare qualsiasi problema.

  1. Le tecniche di redazione del contratto internazionale tra common law e civil law

Esiste una sostanziale differenza tra i sistemi giuridici ispirati alla common law (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia) e quelli che invece si basano sulla civil law (come ad esempio l’Italia e la Francia)[10].

I Paesi di common law utilizzano tecniche di redazione che rendono il più possibile completo ed auto-regolatore l’accordo, ossia prediligono schemi contrattuali molto articolati, che disciplinino in maniera esaustiva il rapporto intercorrente tra le parti[11].

I Paesi di civil law, invece, utilizzano schemi sintetici, da integrare con le normative dettate per il tipo particolare di contratto.

Per quanto attiene alle tecniche di redazione, al momento della stesura del contratto, normalmente, la legge regolatrice del rapporto non è ancora stata scelta[12].

Per tale motivo la redazione deve essere il più possibile dettagliata, onde evitare l’interferenza di norme nazionali che possono in seguito essere applicate.

Le tecniche riguardano essenzialmente la forma dell’accordo, le definizioni da utilizzare, la lingua, nonché l’uso di modelli contrattuali che conoscono sempre maggiore diffusione nell’ambito degli scambi commerciali tra gli operatori internazionali.

La forma scritta è essenziale solo se la legge espressamente lo richiede: negli altri casi, quindi, anche un accordo verbale avrà efficacia vincolante per le parti[13].

Lo schema contrattuale deve essere ordinato e coerente, e deve evitare ripetizioni e contraddizioni tra clausole[14]: se una disposizione del contratto introduce un principio che contrasta con quanto disposto da un’altra clausola, o prevede criteri che costituiscono un’eccezione alla previsione di altre clausole, è opportuno con la stessa precisare che si intende derogare al principio generale solo per quel caso particolare[15].

Anche la lingua utilizzata per la stesura dell’accordo ha una valenza fondamentale[16]: il contratto internazionale può infatti essere redatto nelle due o più lingue delle parti o in un’unica lingua[17], quella della parte commerciale più “forte” o quella conosciuta da tutti i contraenti (di regola, l’inglese)[18].

  1. I requisiti del testo dell’accordo

Le qualità di un buon testo contrattuale sono essenzialmente la completezza, la chiarezza e la piena comprensibilità delle sue disposizioni.

L’atto dovrà quindi individuare in maniera completa le parti, dovrà descrivere le premesse che inducono i contraenti a negoziare ed a sottoscrivere il contratto, delineare diritti ed obblighi scaturenti dall’accordo concluso e stabilire i possibili casi di inadempimento, con le clausole limitative della responsabilità e con i rimedi offerti alla parte adempiente (penali, o, in subordine, azione giudiziale o arbitrato).

Il testo dell’atto è suddiviso in tante clausole, ognuna dedicata ad una specifica previsione contrattuale.

E’ dunque utile evitare di concentrare in una sola clausola la disciplina di più argomenti[19], poiché ciò può influire sulla facile comprensibilità dell’atto e sulla possibilità di individuare con chiarezza e risolvere gli argomenti e le disposizioni in discussione.

E’ utile anche suddividere la clausola in sub-clausole, per specificare nel miglior modo possibile ogni aspetto delineato nella disposizione negoziale.

Nella prassi commerciale si utilizza un titolo per l’accordo, per l’individuazione immediata dell’oggetto della pattuizione e, nell’ambito di rapporti più complessi, per distinguere un contratto dagli altri accordi sottoscritti dalle parti nell’ambito della loro collaborazione.

Il titolo è utile allorquando le parti fanno riferimento ad un sistema normativo basato sulla tipizzazione dei contratti.

Il testo contrattuale contiene, all’inizio, l’indicazione delle parti e della loro natura giuridica, e l’indicazione di coloro che sottoscrivono il contratto per conto dei contraenti, con la specificazione delle loro qualifiche.

Inoltre l’atto contiene assai frequentemente un preambolo, nel quale viene indicato tutto ciò che è considerato utile per richiamare i punti salienti che hanno caratterizzato la negoziazione, gli aspetti essenziali dell’affare e le aspettative riposte dalle parti nell’esecuzione del rapporto.

La premessa può risultare utile anche per rendere più agevole l’interpretazione del contratto[20], per puntualizzare i motivi che spingono le parti al perfezionamento dell’accordo, per fare opportuni riferimenti ad altri contratti che risultano connessi con l’accordo in fieri, e spesso si utilizza una clausola che indica espressamente la premessa quale parte integrante del contratto, rendendola dunque uguale ad ogni altra disposizione contrattuale[21].

A volte la premessa è utile a richiamare fasi precedenti delle trattative, a evidenziare il collegamento dell’accordo con altri contratti conclusi nell’ambito dello stessa operazione commerciale ed a riassumere gli obiettivi che le parti si prefiggono attraverso la loro collaborazione.

Altra tecnica di redazione riguarda le definizioni, ossia una sorta di accurato glossario dei termini utilizzati, da raggruppare in un articolo separato dell’atto o da introdurre quando se ne presenti la necessità, con l’iniziale maiuscola, al fine di rendere immediatamente recepibile che ad un termine particolare o ad un’espressione le parti abbiano voluto conferire un significato particolare.

Tale prassi, utilizzata per determinare in modo preciso i concetti che nel testo contrattuale vengono più spesso ripetuti e per spiegare terminologie dal significato di ambigua interpretazione, consente di evitare difformità di traduzione, soprattutto tra parti di diverse nazionalità e con cultura economica e giuridica differente[22].

L’ordinamento italiano sancisce il principio dell’obbligo di buona fede nella fase delle trattative, antecedenti alla conclusione del contratto (art. 1338 cod. civ.).

Altri sistemi giuridici non riconoscono tale principio, dando rilevanza solo ed esclusivamente a quanto è scritto nel contratto.

Appare evidente, allora, che i contraenti abbiano interesse a vedere confermate nel testo contrattuale le assicurazioni ricevute prima della sottoscrizione del contratto.

In particolare, il contenuto della clausola Representations and Warranties, spesso predisposta in modelli standard, può essere assai variabile, potendo riguardare la qualità delle parti, la loro capacità di sottoscrivere ed eseguire il contratto, la disponibilità dei diritti che devono essere trasferiti dall’uno all’altro contraente.

Nella clausola è inoltre contenuto l’impegno a risarcire i danni eventuali che possano derivare all’altro contraente dall’insussistenza o inesattezza di quanto dichiarato e garantito[23].

Il momento di entrata in vigore del contratto, come per il diritto italiano, deve intendersi quello in cui si è perfezionato il consenso delle parti, perché l’una ha accettato l’offerta dell’altra, e perché entrambe hanno sottoscritto il contratto.

A volte, però, le parti possono rinviare l’esecuzione del contratto ad un momento successivo, o per loro volontà, o per altri motivi, tra i quali ad esempio quello di ottenere la preventiva autorizzazione delle autorità dello Stato in cui deve eseguirsi il contratto[24].

Le parti possono anche prevedere che la continuazione del contratto sia sottoposta a condizione risolutiva, ossia che la stessa esistenza dell’accordo dipenda dal verificarsi o meno di una circostanza.

Nella prassi commerciale internazionale, tale condizione assume il nome di condition precedent, termine mutuato dall’ordinamento giuridico inglese.

Infine, nel caso in cui le parti rimandino il perfezionamento dell’accordo ad un momento successivo, il cd. closing individua il termine alla cui scadenza le transazioni concluse verranno perfezionate e a decorrere dal quale ogni disposizione contrattuale si intenderà valida ed efficace.

Di seguito è riportato un esempio di clausola contrattuale che individua il closing[25]:

Qualora non fosse possibile formalizzare subito gli elementi contrattuali, si ricorre frequentemente all’utilizzo di allegati, nei quali verranno calcolati anche gli eventuali aggiornamenti dei prezzi.

Tali allegati, concepiti spesso come schede tecniche, specificano per lo più dati tecnici, economici e indicativi delle prestazioni, individuando dei criteri sui quali ci si può successivamente basare per verificare il corretto adempimento di ogni obbligo nascente dall’accordo[26].

In corso di esecuzione del contratto possono avvenire fatti imprevedibili ed eccezionali che determinano un’eccessiva onerosità sopravvenuta per una o per entrambe le parti (hardship): queste possono dunque prevedere anche una simile eventualità mediante appunto la clausola di hardship, la quale legittima la parte a danno della quale si è verificato l’evento imprevedibile a chiedere una modifica delle condizioni contrattuali.

Le problematiche in tema di adempimento delle prestazioni contrattuali riguardano essenzialmente il tempo, le modalità ed il luogo dove adempiere alla prestazione, il momento del passaggio del rischio relativo alla merce, con la relativa opportunità di mantenerne la proprietà fino all’integrale pagamento da parte dell’acquirente, la determinazione delle garanzie reali o obbligatorie per salvaguardare l’adempimento dell’obbligazione, la determinazione delle imposizioni fiscali del Paese in cui il pagamento viene eseguito, la previsione degli interessi moratori in caso di pagamento ritardato, la determinazione dei documenti cui è legata l’obbligazione di pagamento, la determinazione delle fasi di pagamento, nel caso in cui quest’ultimo debba essere dilazionato e la specificazione dei criteri con cui calcolare l’importo per prestazioni aggiuntive, non previste originariamente ma richieste ed accettate in corso di esecuzione del contratto.

I mezzi più sicuri di pagamento sono quelli in cui una banca viene a sostituirsi all’originario contraente nell’obbligazione di pagamento, tramite lettera di credito e garanzie bancarie.

 

  1. La legge applicabile al contratto internazionale

Quello della scelta della legge applicabile al contratto costituisce senza dubbio uno degli aspetti più delicati, ed allo stesso tempo più importanti della redazione di un contratto internazionale[27].

Infatti, per quanto nel commercio internazionale vi sia la tendenza, di derivazione anglosassone, a redigere contratti cd. “self-regulatory”, ossia contenenti una disciplina particolarmente dettagliata, tale da contenere la risoluzione, in via preventiva, di ogni possibile lite e problema interpretativo che venga a determinarsi nel corso del rapporto, così da ridurre al minimo le possibilità di etero-integrazione del contenuto contrattuale ad opera della legge, va realisticamente riconosciuto come un contratto, per quanto elaborato, non può prevedere tutto[28].

Ecco perché il più delle volte, l’interprete (sia esso giudice od arbitro) dovrà individuare un diritto nazionale in base al quale, in caso di insorgenza di una controversia, poter colmare le lacune lasciate aperte dai contraenti.

Nell’effettuare tale ricerca, egli farà riferimento ad un gruppo di norme, cd. di “diritto internazionale privato” (cd. “conflict rules”), le quali gli consentiranno di stabilire qual’è il diritto (od i diritti) applicabile al contratto.

Questa soluzione però, può determinare delle conseguenze negative, in termini di “unpredictability” (imprevedibilità, incertezza) della soluzione finale.

Le norme di diritto internazionale privato infatti, variano da ordinamento ad ordinamento (e quindi da Paese in Paese), per cui la legge che in definitiva verrà ritenuta applicabile al contratto sarà evidentemente diversa a seconda del giudice che per primo verrà adito, dato che quest’ultimo effettuerà la suddetta determinazione in base alle norme internazional-privatistiche del suo ordinamento giuridico.

Ed in base al diritto applicato, cambierà ovviamente anche il risultato del giudizio[29].

La prassi tuttavia, dimostra che le parti di un contratto internazionale raramente si preoccupano dell’individuazione del diritto sostanziale applicabile allo stesso, preferendo che tale questione venga risolta dai giudici (o dagli arbitri) al momento dell’insorgenza della controversia.

Ma prima ancora di tale momento, è possibile controllare (od evitare) l’applicazione del diritto di un Paese attraverso l’esplicita previsione, all’interno del contratto, della legge che regolerà il contratto[30]

Ciò avviene di norma tramite l’incorporazione, nel contratto internazionale, di un negozio giuridico (pactum de lege utenda), il quale si traduce in sostanza in una clausola la quale espressamente stabilisce che il contratto “è interamente sottoposto al dirittoche ne regola la conclusione, esecuzione e cessazione, ed in base al quale esso sarà interpretato, anche al fine della risoluzione delle controversie da esso nascenti”.

La maggior parte dei Paesi al mondo infatti, (salvo alcune eccezioni rappresentate per lo più da alcuni Paesi in via di sviluppo od ex-socialisti[31]), ammette la possibilità che le parti di un contratto internazionale scelgano liberamente la legge ad esso applicabile.

Tale libertà di scelta del diritto che regolerà il contratto è a sua volta espressione di un principio, quello dell’autonomia delle parti, il quale è ampiamente riconosciuto sia dalle legislazioni e codici dei principali Paesi di civil law, che da quelli di common law. Si può infatti citare il Regno Unito e gli Stati Uniti. Nel primo ordinamento infatti, il principio di libertà di scelta della legge applicabile al contratto è riconosciuto dal “Contracts (Applicable Law) Act” del 1990, che ha ratificato la Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, siglata dal Regno Unito il 7 dicembre 1981, ed il quale sostituisce a partire dal 1° aprile 1991 le regole di determinazione della legge applicabile ai contratti sviluppate dal common law.

Per i contratti conclusi prima di tale data, continuano pertanto ad applicarsi le regole del Common law. Il diritto inglese riconosce pertanto l’autonomia delle parti nella scelta della legge applicabile al contratto, anche se la legge individuata non presenta alcuna connessione con quest’ultimo purchè, come affermato nella decisione Vitafood Products v. Unus Shipping Co. (1939), “l’intenzione espressa costituisca manifestazione di buona fede e non vi siano ragioni fondate su motivi di ordine pubblico che impediscano tale scelta”[32].

Negli Stati Uniti, il principio di autonomia delle parti può essere rinvenuto sia nel “Restatement Second of Conflict of Laws” che nello Uniform Commercial Code (U.C.C.). In particolare, la Sezione 187 del primo atto, stabilisce che “Si applica la legge dello Stato che le parti hanno scelto come regolatrice dei loro diritti ed obblighi contrattuali”.

Ma il principio in questione è presente anche nelle disposizioni di diritto internazionale privato di molti paesi del Far East (quali ad es. la Cina[33] ed il Giappone[34]).

Nell’ambito dell’Unione Europea, la materia della legge applicabile al contratto è regolata dalla Convenzione di Roma (1980) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, la quale detta regole uniformi a livello europeo sui conflitti di legge in materia di contratti, allo scopo di prevenire il fenomeno del cd. “forum shopping”.

In Italia, l’art. 57 della legge 31 Maggio 1995, n. 218 di “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” rinvia espressamente alla Convenzione in questione, stabilendo che i contratti con elementi di internazionalità sono disciplinati “in ogni caso” dalla Convenzione di Roma del 1980 del 19 Giugno 1980.

L’art. 3 della Convenzione prevede, in linea di principio, che le parti siano libere di scegliere la legge applicabile al loro rapporto. Sebbene non venga richiesto che tale scelta sia espressa in forma scritta, è sempre opportuno farlo, in quanto in caso contrario, per essere fatta valere, dovrà risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze del caso.

In assenza di scelta della legge applicabile, l’art. 4 della Convenzione di Roma stabilisce come criterio sussidiario l’applicazione al contratto della legge del paese con il quale il contratto presenta il “collegamento più stretto” (art. 4.1).

Ai sensi del successivo comma, si presume che il collegamento più stretto si abbia con il Paese in cui la parte che deve fornire la “prestazione caratteristica” ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale o la propria amministrazione.

L’art. 3(1) della Convenzione di Roma prevede infine la possibilità, per le parti, di assoggettare il contratto a più leggi nazionali diverse.

Questa tecnica, definita “depeçage” (“frazionamento”) o “morcellement”, che presuppone la scomposizione del contratto in più parti, con l’assoggettamento di ciascuna di esse a leggi nazionali diverse, incontra ovviamente un limite nella complessiva coerenza del quadro giuridico delineato dalle parti. La tecnica in questione ha sollevato molte critiche da parte dei giuristi di common law, dato che tale tradizione giuridica ha sempre dimostrato storicamente una certa riluttanza a permettere che due o più leggi disciplinino parti separate di un unico contratto[35].

Un altro aspetto della convenzione di Roma che è stato apertamente criticato dai giuristi di common law è dato dalla prescrizione contenuta all’art. 3, in base alla quale le parti hanno la possibilità di modificare, di comune accordo, la legge precedentemente scelta come regolatrice del contratto, o di effettuare tale scelta anche in un momento successivo alla conclusione del contratto.

Con riguardo a questo aspetto, la common law assume una posizione maggiormente rigida, dato che una volta effettuata la scelta del diritto applicabile, ritiene che non sia più possibile modificarla.

Non sempre, tuttavia, le parti riescono ad accordarsi sulla legge da applicare al contratto. Sempre più spesso accade infatti che, nei contratti conclusi tra parti di nazionalità diversa, i contraenti decidano di assoggettare il loro accordo agli usi del commercio internazionale, ossia alla cd. “lex mercatoria”[36], ossia ad un corpo “neutro” di regole a carattere extrastatuale, emerso prevalentemente dalla prassi, ed in particolare dalle decisioni di alcune importanti camere internazionali di arbitrato, il quale tende ad escludere l’applicazione delle leggi nazionali, proponendosi come soluzione alternativa alle stesse (da qui, appunto, la sua “neutralità”)[37].

Questa soluzione è però efficace solo se viene accompagnata dall’inserimento nel contratto di una clausola che affidi ad uno o più arbitri la gestione di eventuali controversie insorte tra le parti, dato che questi ultimi sono più inclini ad applicare la lex mercatoria dei giudici, i quali viceversa tendono a privilegiare l’uso delle norme di diritto internazionale privato dei propri ordinamenti nella determinazione la legge applicabile al contratto[38].

Sono sempre più numerosi infatti i lodi arbitrali che, nel risolvere le dispute internazionali applicano la lex mercatoria[39], ed in particolare i principi UNIDROIT[40], considerati da molti come una tentativo di codificazione della lex mercatoria e fonte autorevole per la risoluzione delle dispute a carattere transnazionale, i quali possono venire applicati “quando le parti abbiano convenuto che il loro contratto sia regolato dai ‘principi generali del diritto’, dalla ‘lex mercatoria’ o simili.” (Principi UNIDROIT, Preambolo). Sempre nel Preambolo dei Principi si legge infine, che essi “possono fornire una soluzione a questioni controverse nei casi in cui si dimostri impossibile individuare la regola pertinente del diritto altrimenti applicabile”.

In mancanza di un’espressa scelta della legge applicabile al contratto internazionale, i criteri adottati nella determinazione della stessa possono essere differenti, soprattutto ad opera degli arbitri, essendo questi ultimi maggiormente svincolati dall’applicazione delle norme di diritto internazionale privato.

Va detto che non esiste una vera e propria regola in proposito. Alcuni[41] tenteranno di dedurre la legge applicabile in base alle norme di diritto internazionale privato, altri cercheranno di risalire all’intenzione delle parti, sulla base dell’esame degli altri elementi presenti nel contratto, quali il linguaggio o particolari termini giuridici utilizzati.

Altri ancora, cercheranno di individuare riferimenti, all’interno del testo contrattuale, ad elementi che consentano di individuare l’ordinamento giuridico da applicare[42].

Si è spesso verificato il caso in cui i giudici o gli arbitri hanno ritenuto gli elementi contenuti nel contratto insufficienti al fine di ricavarne una implicita scelta della legge applicabile ad opera delle parti.

Nella causa Yoshizawa ed altri c. Deutsche Lufthansa AG, il Tribunale di Tokio si trovò ad esempio ad affrontare il problema della determinazione della legge applicabile ad un contratto di lavoro internazionale.

Nel caso in questione, la compagnia aerea Lufthansa aveva concluso un contratto di lavoro con alcuni lavoratori di nazionalità giapponese, affinché fossero destinati ad una sua sede secondaria a Tokio.

All’interno del contratto di lavoro, nessun cenno veniva fatto alla legge a questo applicabile.

I dipendenti della sede in Giappone erano stati assunti mediante regolari contratti di lavoro stipulati a Francoforte, i quali prevedevano che la retribuzione fosse erogata in marchi tedeschi.

Nel 1947, la Lufthansa decise di corrispondere un compenso aggiuntivo alla paga base dei dipendenti di Tokio, per allineare il loro livello retributivo con quello dei dipendenti della sede centrale in Germania.

Quando, sedici anni dopo, la compagnia aerea decise di interrompere il pagamento di questo compenso extra, gli attori decisero di citarla davanti al Tribunale di Tokio, sostenendo che la legge che regolava il loro contratto di lavoro dovesse essere quella giapponese, essendo collocato in Giappone l’ufficio dove essi svolgevano prevalentemente la loro attività di routine.

Il Tribunale distrettuale di Tokio tuttavia ritenne che la sede della Lufthansa a Tokyo giocasse un ruolo secondario nella determinazione della legge applicabile, rigettando la domanda degli attori e concludendo che non vi era, nel caso in esame, alcuna circostanza che consentisse di dedurre una volontà implicita delle parti di assoggettare il contratto al diritto giapponese[43].

Esistono, per contro, alcuni casi in cui la determinazione del diritto applicabile viene effettuata sulla base della clausola di deroga alla giurisdizione inserita dalle parti nel proprio contratto o della apposizione in questo di una clausola arbitrale[44].

Nel primo caso infatti, il giudice, potrebbe desumere una volontà tacita delle parti di sottoporre il contratto alla legge del foro del giudice scelto (in virtú del principio qui eligit iudicem eligit ius), soluzione frequentemente utilizzata ai fini dell’individuazione della legge applicabile al contratto internazionale.

Altro criterio spesso adoperato da giudici ed arbitri nella determinazione del diritto applicabile, al quale si fa in genere ricorso quando la scelta della legge applicabile, oltre a mancare, non sia neanche desumibile dall’esame delle intenzioni delle parti, è rappresentato dal “collegamento più stretto”, che come abbiamo visto è il criterio accolto dalla Convenzione di Roma del 1980.

Il concetto in questione, proposto per la prima volta dal giurista tedesco Friedrich Carl von Savigny, ha però un contenuto piuttosto vago, implicando la necessità di individuare nell’ambito del contratto uno o più fattori in base ai quali è possibile determinare quale, tra i più sistemi giuridici in conflitto, si applicherà al contratto, in quanto con esso presenta i legami più stretti.

I fattori normalmente presi in considerazione sono la nazionalità, la residenza, il luogo di conclusione e di esecuzione del contratto. Non essendo però questi predefiniti in base alla legge od altro criterio normativo, la valutazione della loro scelta è rimessa alla discrezionalità del giudice o dell’arbitro, con ovvie conseguenze in termini di “unpredictability” della decisione finale.

Proprio al fine ridurre tale incertezza, gli estensori della Convenzione di Roma hanno inserito una serie di presunzioni, quali ad esempio quella secondo cui nel contratto di vendita, si ritiene che la prestazione caratteristica consista nell’obbligo, da parte del venditore di consegnare il bene al compratore: di conseguenza, la legge applicabile è quella del venditore[45].

Un esempio di applicazione da parte degli arbitri del criterio del collegamento più stretto, costituita dal caso n. 9117/1998 della Corte internazionale di Arbitrato della CCI, svoltosi a Zurigo. In tale giudizio gli arbitri hanno preso in considerazione, ai fini della determinazione del diritto applicabile ad un contratto di vendita internazionale concluso tra due parti, una svizzera e l’altra russa, il luogo in cui era localizzata l’attività del venditore (nel caso in esame, la Russia).

Di conseguenza sono giunti alla conclusione che l’ordinamento giuridico al quale il contratto era più strettamente connesso era quello russo, e pertanto che era in base a questo diritto che doveva essere risolta ogni questione che non fosse espressamente regolata dai termini del contratto.

Tuttavia il collegio arbitrale riteneva che fossero indirettamente applicabili anche i principi Unidroit, in quanto le parti avevano fatto espresso riferimento, all’interno del contratto, agli Incoterms della CCI ed. 1990.

Di conseguenza veniva tratta la conclusione che i loro rapporti dovessero essere regolati anche dagli “usi commerciali”, come peraltro richiedeva la disposizione contenuta all’art. 13(5) del precedente regolamento arbitrale della CCI (1975/1988)[46] secondo cui, appunto, ai fini del giudizio occorreva tenere conto degli usi commerciali vigenti.

I principi Unidroit infatti, secondo gli arbitri, riflettevano usi generalmente condivisi relativi ad aspetti fondamentali dei contratti internazionali[47].

CAPITOLO 2

La concessione di vendita: profili giuridici ed economici

Sommario- 1. La normativa nazionale e comunitaria; – 1.1 Il territorio e i prodotti oggetto della concessione; – 1.2 Le condizioni di fornitura ed uso dei segni distintivi del fornitore; – 2. La forma del contratto ed i suoi contenuti essenziali; – 2.1 I modelli ICC e FIDIC; – 3. Gli obblighi del concessionario di promuovere le vendite; – 3.1 Il concessionario come acquirente rivenditore; – 3.2 Le limitazioni alla libertà di vendita del concessionario; – 4. Gli obblighi del concedente; – 4.1 Concessione di vendita e mancanza di qualità dei prodotti forniti; – 5. Distribuzione commerciale e clausole contrattuali tipiche; – 5.1 L’inserzione della clausola di riservato dominio; – 5.2 L’inserzione della clausola di esclusiva; – 6. Risoluzione e relative conseguenze 

  1. La normativa nazionale e comunitaria

Il contratto di concessione di vendita si presenta, nella maggior parte dei paesi, come contratto atipico, non espressamente regolato dalla legge, per la cui disciplina si dovrà far riferimento (oltre che alle previsioni concordate dalle parti a livello contrattuale) ai principi ela­borati dalla giurisprudenza[48]. In linea di principio possiamo distinguere tra i seguenti tipi di si­tuazioni:

– paesi che prevedono un’apposita normativa intesa a proteggere i concessionari di vendita o, più in generale, le imprese che distribui­scono prodotti di fabbricanti stranieri, includendovi sia gli interme­diari (agenti) che gli acquirenti-rivenditori (concessionari);

– paesi che hanno elaborato a livello giurisprudenziale forme specifiche di protezione al concessionario (in particolare per quanto ri­guarda il diritto ad un’indennità di clientela);

– paesi che si limitano ad applicare le norme comuni sui contratti  (congruo preavviso, ecc.).

In Europa l’unico paese che prevede una disciplina legale specifi­camente applicabile ai concessionari di vendita, è il Belgio[49]. La legge del 27 luglio 1961 (modificata dalla legge 13 aprile 1971) si applica al­le concessioni di vendita esclusiva e alle concessioni di vendita in virtù delle quali il concessionario vende nell’ambito della propria zona la quasi totalità dei prodotti contrattuali, nonché quelle in cui il conce­dente impone al concessionario consistenti obbligazioni connesse alla concessione, tali da far sì che il concessionario subirebbe un grave pre­giudizio in caso di cessazione del rapporto di concessione[50].

La legge in questione riconosce al concessionario in caso di scioglimento del contratto a tempo indeterminato il diritto ad un ragionevole preavviso (o, in mancanza, ad un’indennità sostitutiva) e ad un’equa indennità complementare. Per quanto riguarda la concessione a tempo determi­nato, essa si trasforma in contratto a tempo indeterminato (o si rinnova per un ulteriore periodo, ove così pattuito nel contratto) in assenza di disdetta da comunicarsi almeno sei mesi prima della scadenza. Inoltre, essa si trasforma in ogni caso in un contratto a tempo indeterminato ove rinnovata più di due volte.

Si tratta di una disciplina protettiva molto più pesante di quelle vigenti nei paesi vicini. Al fine di evitare che la stessa possa essere elu­sa contrattualmente, l’art. 4 prevede che il concessionario che subisca la risoluzione di un contratto di concessione che produca i suoi effetti in tutto o in parte in Belgio, possa in ogni caso citare in giudizio il con­cedente davanti al giudice belga, che dovrà applicare esclusivamente la legge belga.

Altri paesi hanno predisposto normative intese a proteggere in termini più generali tutti i soggetti incaricati della distribuzione per conto di produttori stranieri, sia che operino in veste di intermediari (agenti), sia che agiscano come acquienti-rivenditori (concessionari, di­stributori). A tal proposito, la legge libanese (decreto n. 34 del 5 agosto 1967, mo­dificata con decreto n. 9639 del 6 febbraio 1975) detta una disciplina protettiva che prevede, tra l’altro il diritto ad un’indennità di cliente­la per gli agenti, ai quali vengono equiparati i concessionari esclusivi e vengono definiti come “il commerciante che vende per proprio conto ciò che avrà acquistato in base ad un contratto che gli attribuisca la qualità di rappresentante o distributore esclusivo unico”[51].

In Germania invece il contratto di concessione di vendita (chiamato Ver­tragshiindlervertrag o Eigenhiindlervertrag) viene definito come contratto quadro atipico con il quale la parte qualificabile come il concessionario si impegna a distribuire i prodotti dell’altra parte, che viene comunemente definito come concedente o fornitore, in nome e per conto proprio, e attraverso il quale il concessionario viene inserito nell’organizzazione di vendita del produttore[52].

Al contratto di con­cessione si applicano in via analogica le norme in materia di indennità previste per gli agenti di commercio[53] nella misura in cui:

– il concessionario sia strettamente integrato nell’organizzazione di vendita del concedente (assumendo compiti che lo avvicinano eco­nomicamente ad un agente di commercio), e

– egli sia tenuto contrattualmente a trasferire alla fine del contratto la clientela al concedente[54].

La giurisprudenza tedesca ha applicato in alcuni casi ai contratti di concessione il § 26, 2° comma, della legge antitrust (GWB) in materia di discriminazione a danno di imprese che si trovano in una posizione di dipendenza economica, giungendo per tale via a riconoscere al concessionario il diritto ad un periodo di preavviso sufficiente per adeguarsi alla nuova situazione risultante dalla cessazione del rapporto[55].

Un altro strumento per garantire a livello giurisprudenziale una protezione del concessionario al momento della cessazione del rappor­to consiste nel riconoscergli un congruo preavviso, la cui durata debba essere determinata in relazione ad una serie di elementi (durata del rapporto, importanza dei prodotti del concedente rispetto alle altre at­tività svolte dal concessionario, investimenti fatti dal concessionario, ecc.).

In particolare, quando i giudici abbiano il potere di verificare la congruità di eventuali termini di preavviso pattuiti contrattualmente, imponendo, se del caso, il rispetto di un termine più lungo[56], si può giungere, per questa via, a garantire al concessionario un preavviso minimo (che tenga conto della durata del rapporto e di altri elementi rilevanti per valutarne la congruità nello specifico contesto), che si tradurrà di regola in un indennizzo pari al mancato guadagno relativo al periodo di preavviso non goduto.

Un’altra possibile strumento di tutela si fonda sulla possibilità di considerare abusivo il recesso in presenza di circostanze che non tengano conto delle legittime esigenze del concessionario. A tal proposito interessante appare quanto avviene in Francia, dove talvolta viene utilizzata la nozione di rupture abusive del contratto[57] per giustificare un risarci­mento al concessionario[58].

In alcuni casi, infine, viene riconosciuto al concessionario anche un ri­sarcimento del danno per gli investimenti da lui effettuati in vista del­l’esecuzione del contratto di concessione e non recuperabili entro la fi­ne del contratto[59].

Non tutte le discipline però riconoscono un particolare favor al concessionario, infatti, vi sono paesi che si limitano ad applicare al concessio­nario i principi di diritto comune in materia di contratti.

In tali normative i paesi non riconoscono al concessionario particolari protezioni, né indennità alla fine del rapporto, se non nella misura in cui ciò di­scenda dalle norme applicabili in via generale ai contratti. Quindi, an­che in questi paesi il concessionario potrà aver diritto ad un indenniz­zo alla fine del rapporto, ma solo quando la cessazione sia riconducibi­le ad un inadempimento del concedente, particolarmente ove questi abbia risolto il contratto senza osservare il termine di preavviso dovu­to. In presenza di una situazione di questo tipo, il concessionario potrà pretendere, alla fine del rapporto, un risarcimento per il mancato ri­spetto del preavviso, e sarà tendenzialmente pari al mancato guadagno per tale periodo.

Ove le parti abbiano stipulato un vero e proprio contratto di con­cessione, quest’ultimo prevederà normalmente un termine di preavvi­so per il recesso ad nutum.

Negli ordinamenti che riconoscono alle par­ti la libertà di determinarne contrattualmente la lunghezza, varrà in li­nea di principio il termine così pattuito, anche se lo stesso dovesse ri­sultare troppo breve per proteggere adeguatamente il concessiona­rio[60].

Diversamente, nell’ipotesi in cui manchi l’espressa previsione di un termine, la determinazione della durata del preavviso sarà di regola rimessa al giudice, che potrà in tale contesto riconoscere al concessionario un periodo di preavviso proporzionato alle esigenze di quest’ultimo, sulla base dei principi generali vigenti[61]

Un’ulteriore disposizione prevede che ove il concessionario sia costretto a recedere dal contratto in conseguenza di un inadempimento del concedente vi sarà spazio per un risarcimento del danno subito dal concessionario, che verrà normalmente calcolato sulla base del mancato guadagno per un periodo corrispondente ad un ragionevole preavviso[62].

Quando invece si tratti di un contratto a tempo determinato, esso vincolerà le parti fino alla scadenza e l’eventuale risoluzione pronun­ciata da una parte prima di essa (in assenza di circostanze che giustifi­chino una risoluzione anticipata) darà luogo ad un risarcimento del danno.

Fondamento giurisprudenziale di ciò può rinvenirsi nella sentenza pronunciata da una Corte inglese ha riconosciuto al concessiona­rio, in presenza di un contratto risolto dal concedente, per motivi pre­testuosi, prima della scadenza pattuita, un risarcimento per il mancato guadagno relativamente a tutto il periodo di rimanente durata del contratto[63].

Un altro aspetto che potrà essere tenuto presente è il danno procurato alla credibilità del concessionario da una risoluzione ingiustifi­cata pubblicizzata presso la clientela[64].

Ma l’opzione più diffusa tra i concedenti italiani è quella di sottoporre il contratto con il concessionario estero alla legge del proprio paese. Il contratto di concessione di vendita tuttavia non forma oggetto, nell’ordinamento italiano, di apposita regolamentazione.

Di qui il problema di vedere se esso debba farsi rientrare in uno o più dei contratti tipici esistenti o se lo stesso vada qualificato piuttosto come contratto atipico, disciplinato dalle norme generali sui contratti e dalle disposizioni di uno o più contratti vicino allo stesso.

1.1 Il territorio e i prodotti oggetto della concessione

Il contratto dovrà altresì contenere un’indicazione specifica del territorio e dei prodotti oggetto del contratto.

La portata dell’esclusiva prevista nel contratto è strettamente connessa con la definizione del territorio e dei prodotti sui quali si applicherà tale esclusiva.

Per quanto attiene alla possibilità di stabilire, a carico del concessionario, il divieto di effettuare vendite al di fuori del territorio ad esso assegnato, dovrà essere tenuta in considerazione la disciplina comunitaria sinteticamente delineata nel paragrafo precedente.

Alla luce dell’esenzione prevista dal Regolamento 2790/1999, si ritiene che possa essere vietato al concessionario di effettuare vendite “attive”, cioè sollecitate dal concessionario stesso, in territori riservati ad altri distributori[65].

Non potrà invece essere imposto alcun divieto in relazione alle cd. vendite “passive” (cioè non sollecitate dal concessionario). Inoltre, sono ritenute illecite eventuali clausole che impongano al concessionario di non esportare i prodotti o anche di non venderli a soggetti domiciliati nel suo territorio che intendano rivenderli all’estero[66].

In alcuni contratti si prevede la facoltà per il concedente di modificare i prodotti oggetto del contratto.

Per contemperare gli effetti di tale facoltà, spesso si prevede un obbligo di preavviso prima che le modifiche comunicate dal concedente diventino effettive e si attribuisce al concessionario il diritto di recedere dal contratto in caso di modifiche.

1.2 Le condizioni di fornitura ed uso dei segni distintivi del fornitore

Usualmente nei contratti di distribuzione, ed in particolare nei contratti di concessione di vendita, viene previsto il diritto/dovere del concessionario di utilizzare i marchi e i diritti di proprietà industriale del fabbricante/concedente solo ed esclusivamente in relazione alla esecuzione del contratto.

Con la conseguenza che al concessionario viene imposto l’ovvio divieto di utilizzare i marchi e i diritti di proprietà industriale del fabbricante/concedente in relazione a prodotti diversi da quelli forniti al concessionario dal fabbricante/concedente.

 Divieto per il Concessionario di registrare a proprio nome marchi di proprietà del Fabbricante.

Altra clausola usuale nei contratti di concessione di vendita è il divieto per il concessionario di registrare a proprio nome marchi di proprietà del fabbricante/concedente.

La previsione di tale divieto è divenuta usuale soprattutto a seguito di gravi episodi ed abusi, verificatisi in passato, da parte di concessionari.

Esiste infatti il rischio che il concessionario provveda a registrare marchi di pertinenza del fabbricante non solo per la categoria merceologica cui appartengono i prodotti oggetto del contratto di concessione di vendita ma anche per altri prodotti, appartenenti a diverse categorie merceologiche, contigue o meno a quella cui appartengono i prodotti contrattuali.

  1. La forma del contratto e suoi contenuti essenziali

La concessione di vendita, pur non essendo un “ti­po” negoziale espressamente contemplato dalla legge, si è affermata come strumento largamente utilizzato nel settore della distribuzione commerciale, facendo del concessiona­rio un elemento della rete di vendita del concedente attra­verso la predisposizione di un articolato programma d’azio­ne che si caratterizza per una complessa funzione di scam­bio e di collaborazione[67].

Sul piano strutturale la concessione di vendita si at­teggia a contratto con funzione normativa, in quanto ha ad oggetto la disciplina di negozi giuridici futuri, dei quali fissa preventivamente il contenuto così da assicurarne un assetto uniforme[68]. In forza della concessione di vendita inoltre la parte concessionaria assume, verso contropartita consistente nella opportunità di guadagno connessa alla commercializzazione, l’obbligo di stipulare, alle condizioni come sopra determinate, i successivi contrarti per l’acqui­sto di un quantitativo minimo di prodotti forniti dal con­cedente, onde promuoverne in un dato territorio, assai spesso in un regime di esclusiva, la distribuzione commer­ciale. Il concedente, dal canto suo, si riserva il diritto di evadere, in tutto o in parte, gli ordinativi rimessigli senza pertanto essere obbligato alla conclusione dei singoli con­tratti di vendita: un rifiuto ingiustificato sarebbe, però, contrario al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto[69].

Il tratto strutturale che fa della concessione di vendita un contratto con funzione normativa, per quanto preva­lente, non ne rappresenta il contenuto esclusivo, atteso che alla predeterminazione dell’assetto dei futuri rapporti con­trattuali si accompagna la fissazione di tutta una serie di ob­blighi, anche accessori e strumentali, vuoi a carico del con­cedente vuoi a carico del concessionario.

La concessione di vendita può anche presentarsi, come contratto unico a prestazioni periodiche o continua­tive, dando luogo ad un rapporto di durata pur sempre contraddistinto, sotto il profilo causale, da una funzione essen­zialmente di scambio e di collaborazione nella distribuzio­ne, senza tuttavia prestarsi ad essere inquadrata in uno schema contrattuale tipico, pur presentando aspetti che in qualche misura l’avvicinano alla vendita, alla somministra­zione, al mandato e, secondo alcuni, anche all’agenzia[70].

In tale contesto contrattuale le singole forniture, co­stituirebbero fasi meramente esecutive, non richiedenti ul­teriori manifestazioni di volontà negoziale, in quanto atti di adempimento di obbligazioni discendenti dal contratto precedentemente concluso.

I rapporti di durata, tuttavia, possono costruirsi sulla base di un contratto unico solo quando le parti abbiano contemplato come dovute le prestazioni di entrambe. Quando invece il contratto iniziale rimette la nascita delle obbligazioni delle parti o di una di esse alla prestazione di un nuovo consenso, l’unità del contratto non è ulterior­mente sostenibile e la fattispecie va costruita sulla base di un contratto iniziale e di una pluralità di contratti successi­vi, la cui conclusione è prevista e resa obbligatoria, almeno per una parte, dal primo[71].

Ne deriva che la concessione di vendita in tanto può configurasi come contratto unico in quanto all’obbligo del concessionario di acquistare un determinato quantitativo di merce faccia riscontro la correlativa obbligazione del concedente di evadere gli ordinativi rimessigli. Mancando detta obbligazione, la non vincolatività degli ordini rende­rebbe necessaria, perché le singole forniture possano in concreto realizzarsi, una successiva manifestazione (anche per fatti concludenti) di volontà negoziate adesiva da parte del concedente, dovendosi conseguentemente escludere l’unicità del contratto.

Bisogna però ulteriormente precisare cosa si intenda per contratto normativo e con­tratto quadro che la giurisprudenza è solita fare in tema di concessione di vendita.

Le due locuzioni si riferiscono a figure negoziali che, seppur in larga misura assimilabili, presentano una rilevan­te nota distintiva. Il substrato comune è ravvisabile nella funzione pro­priamente “normativa” che si esprime, nella predisposizione, ad opera delle parti stesse, di una serie di clausole da utilizzare in una pluralità di futuri con­tratti garantendone l’uniformità di contenuto. L’elemento distintivo attiene alla obbligatorietà o me­no delle successive stipulazioni[72].

Il contratto normativo non intacca la libertà degli sti­pulanti di porre in essere o no i futuri contratti: solo se le parti si risolveranno a concluderli, il contratto normativo spiegherà i suoi effetti secondo il modello operativo del meccanismo condizionale[73], ponendosi come pactum de modo contraendi[74]. Dal contratto quadro, invece, discen­de a carico di una almeno delle parti l’obbligo di un novel­lo “contrahere”..

Questa essendo la distinzione tra le due figure contrat­tuali, nel caso della concessione di vendita è giocoforza ri­correre allo schema del contratto quadro, posto che da essa discende, quantomeno a carico del concessionario, l’obbli­go di stipulare, alle condizioni preventivamente determi­nate, i successivi contratti per l’acquisto dei prodotti forni­ti dal concedente.

Si può affermare inoltre che il delineato tratto distintivo tra contratto normativo e contratto quadro non postula alcuna differenziazione sul piano dell’efficacia ascrivibile alla disciplina normativa che prende corpo dalle due figure negoziali.

La tesi tradizionalmente accolta in dottrina, è che al contratto normativo non possa riconoscersi altra efficacia se non quella meramente obbligatoria[75]. Da esso discende­rebbe soltanto l’obbligo a carico delle parti di inserire nei fu­turi contratti le clausole preventivamente concordate[76]. Si è così escluso che il contratto normativo possa avere efficacia reale, per tale intendendosi l’attitudine ad integrare il contenuto dei contratti stipulati successivamente, senza che sia necessario alcun richiamo o rinvio al contratto normati­vo per rendere applicabile la disciplina con esso predisposta.

A sostegno di questa soluzione si è osservato che le li­mitazioni della libertà contrattuale non possono che avere efficacia obbligatoria, giacché la volontà umana non può operare su se stessa paralizzandosi per il futuro[77].

L’obiezione sarebbe decisiva se si ritenesse di assegna­re al contratto normativo una efficacia cogente, per cui le previsione in esso contenute sarebbe in grado di imporsi anche contro la volontà delle parti. Tuttavia, accanto ad una simile efficacia che è attributo esclusivo della produzione normativa di carattere imperativo, è ben concepibile, con riferimento al contratto normativo, una diversa efficacia reale che potremmo definire “dispositiva”, che si sostanzia nel rendere possibile l’automatica integrazione del contenuto dei futuri contratti, sempre che le parti non manifesti­no la comune volontà di disapplicare nel singolo caso le clausole preventivamente concordate[78].

L’effetto integrativo, dunque, si produce direttamente al momento della conclusione dei successivi contratti, senza  che occorra una nuova manifestazione di volontà in tal senso, essendo sufficiente la mancata previsione di clausole contrastanti o incompatibili con quelle predisposte con il contratto normativo[79].

Fissando anticipatamente le regole da valere per i futuri contratti, le parti già manifestano la volontà che questi ultimi abbiano un determinato contenuto. Talché non è dato di comprendere perché ai fini dell’inserimento di quelle nei singoli contratti sarebbe necessaria una loro ri­produzione o richiamo, soprattutto se si considera che l’obiettivo perseguito dalle parti attraverso la stipulazione del contratto normativo è proprio quello di semplificare le trattative per la formazione del contratto, disponendo già di un regolamento negoziale predefinito.

Si tenga conto inoltre che l’art. 1341 Codice civile ammette che le condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente da una parte possano essere efficaci nei confronti dell’altra (e quindi entrare direttamente a far par­te del singolo regolamento negoziale) sulla base della sem­plice conoscibilità, senza che sia necessario alcun espresso richiamo. Si tratta allora di un effetto reale.

Se dunque l’ordinamento riconosce in modo espresso una simile efficacia ad una fonte di disciplina di produzione unilaterale, a maggior ragione la stessa efficacia non può non riconoscersi al contratto normativo come fonte di di­sciplina predisposta per accordo di entrambe le parti[80].

L’efficacia reale è però prerogativa che può competere solo ai contratti normativi c.d. bilaterali, diretti alla predi­sposizione di una serie di clausole da valere nei contratti che seguiranno tra le stesse parti. Ai contratti normativi unilaterali[81] che vincolano ciascuno dei contraenti ad adottare un complesso di condizioni nei contratti che sti­pulerà con i terzi, può invece riconoscersi soltanto efficacia obbligatoria, non essendo ammissibile che il contratto nor­mativo (eccezion fatta per i contratti collettivi di lavoro) spieghi la propria forza precettiva nei confronti di soggetti estranei alla sua stipulazione.

In definitiva al contratto normativo o quadro, e quin­di anche alla concessione di vendita che tale caratterizza­zione di regola assume, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza che si annota, ben può attribuirsi efficacia reale in conformità alla sua natura di strumento di autodi­sciplina dell’autonomia privata[82].

Nulla vieta, tuttavia, che le parti fissino un regola­mento negoziale che preveda l’obbligo di inserire determi­nate clausole nei futuri contratti. Si pensi al caso in cui si stabilisca che il pagamento dilazionato e la correlativa ri­serva di proprietà debbano essere pattuiti per iscritto di vol­ta in volta. In tale eventualità il contratto avrebbe soltanto efficacia obbligatoria, vincolando le parti ad una successiva pattuizione specifica. Ove, invece, risulti l’incondizionata previsione per tutti i futuri contratti della riserva di pro­prietà collegata al pagamento dilazionato, al regolamento contrattuale così definito non potrebbe che attribuirsi effi­cacia reale nel senso sopra chiarito.

  1. Gli obblighi del concessionario di promuovere le vendite

La definizione di somministrazione di cui all’art. 1559 c.c., ai fini di un utile parallelo con il contratto di concessione di vendita, risulta essere eccessivamente generica, dal momento che comprende anche quei contratti che non hanno come destinatari un distributore di beni bensì un consumatore finale (ad esempio contratti di somministrazio­ne di acqua, luce, gas). Si tratterebbe dunque di rapporti sostanzial­mente statici, in cui una delle parti non è un imprenditore, ma un soggetto a cui è estranea l’idea del comprare per poi rivendere. Oc­corre pertanto integrare e specificare tale disposizione con il secondo comma dell’ art. 1568 c.c., secondo cui la somministrazione, fermo quanto disposto dall’art. 1559, può anche contenere l’obbligo in capo al somministrato di promuovere le vendite dei prodotti forniti dall’ al­tra parte[83]. Tale norma individua un particolare tipo di somministrazione con la quale un soggetto (somministrante) si obbliga a fornire periodicamente una certa quantità di prodotti a un altro soggetto (som­ministrato), il quale a sua volta si impegna a promuovere le vendite di quel prodotto in una determinata zona per la quale ha solitamente l’esclusiva.

L’obbligo di promozione delle vendite, che è uno dei profili che caratterizza maggiormente la concessione di vendita, esclude impli­citamente tutte le somministrazioni a favore dei destinatari finali del bene. Non appare pertanto corretto considerare la somministrazio­ne come un contratto contraddistinto esclusivamente da una funzio­ne di scambio, perché il legislatore, con la disposizione di cui all’art. 1568, co. 2, permette all’interprete di ricostruire questo contratto, analogamente a quanto avviene per la concessione di vendita, come caratterizzato anche da significativi aspetti di collaborazione. Del resto la norma di cui al secondo .comma dell’art. 1568 c.c. evidenzia pie­namente il carattere di necessaria collaborazione che deve intercor­rere fra le parti nel momento in cui ritiene insufficiente, perché il somministrato possa considerarsi non inadempiente, il fatto che questi abbia comunque provveduto a rifornirsi del quantitativo minimo eventualmente previsto, perché potrebbe essere tenuto a risarcire il danno solo per non aver promosso adeguatamente le vendite[84]. Tale dovere costituisce dunque autonoma obbligazione rispetto all’ acqui­sto di beni dal somministrante. Proprio perché si tratta di un obbli­go effettivo, concreto, autonomo, indipendente dalla quantità di merce venduta, non può essere considerato dogmaticamente più blan­do rispetto a quello previsto per la concessione di vendita e pertanto non può in esso rinvenirsi un punto di distinzione fra quest’ultimo contratto e la somministrazione[85].

3.1 Il concessionario come acquirente rivenditore

Ciò che differenzia il concessionario dai tradizionali intermediari commerciali è il fatto che, pur svolgendo analoghe funzioni promozionali nell’interesse del fab­bricante, egli vende in nome e per conto proprio i prodotti acquistati in precedenza dal concedente.

Ciò dà luogo a differenze rilevanti, soprattutto per quanto riguarda la suddivisione degli oneri e dei rischi tra le due parti. Infatti, l’essere rivenditore comporta per il concessionario maggiori oneri finanziari (do­vendo egli acquistare la merce e tenerla presso di sé fino al momento della rivendita) ed organizzativi (spedizione, fatturazione ai clienti, ecc.). Inoltre sono a suo carico tutti i rischi tipici del venditore: insol­venza dei clienti, responsabilità per vizi della cosa venduta, ecc.

D’altra parte, dal fatto di vendere in nome e per conto proprio discenderà di regola una maggiore au­tonomia del concessionario, sia per quanto riguarda le condizioni di vendita alla clientela[86], sia per quanto riguarda i rapporti con i clienti, che saranno più diretti nel caso del concessionario, mancando di regola ogni contatto tra concedente ed acquirente finale[87].

Si può dire dunque che, di regola, sono mag­giormente presenti nel contratto di concessione quelle caratteristiche di “imprenditorialità” (principalmente. capitale e rischio) che tendono invece a scomparire nel contratto di agenzia[88], al quale il legislatore esten­de progressivamente istituti tipici del rapporto di la­voro subordinato (indennità di risoluzione, previdenza, contrattazione collettiva, processo del lavoro)[89].

La descrizione delle caratteristiche economiche del contratto di concessione di vendita e la conseguente individuazione dei suoi elementi essenziali, per­mette di definirlo come un contratto di distribuzione con il quale un soggetto (il concessionario), agendo in veste di acquirente-rivenditore, assume stabilmente l’in­carico di curare la commercializzazione in una deter­minata zona dei prodotti di un fabbricante (il conce­dente), in cambio di una posizione privilegiata nella ri­vendita.

3.2 Le limitazioni alla libertà di vendita del concessionario

All’interno di un contratto di concessione possono essere imposte eventuali limitazioni dal con­cedente ai suoi acquirenti (concessionari o non) per proteggere l’esclu­siva del concessionario[90]  (o del concedente stesso), esse saranno ammissibili solo a condizione che  riguardino le vendite attive, dovendo quindi restare impregiudicata la libertà dell’acquirente di accettare eventuali richieste provenienti dal territorio dei soggetti la cui esclusiva si vuole proteggere, e  si riferiscano ad un territorio riservato in esclusiva al concedente stesso o ad un altro acquirente (ad es. concessionario).

Il concedente potrà quindi imporre ai propri acquirenti (conces­sionari di altre zone o anche solo acquirenti non legati da particolari rapporti) di non attivarsi per la rivendita dei prodotti nel territorio ri­servato ad altri acquirenti, paradigma di tale ipotesi è il caso di concessionari di altre zone, ma potrebbe anche trattarsi di un altro tipo di acquirente, o nel territo­rio in cui il concedente abbia deciso di distribuire direttamente i pro­dotti.

Egli dovrà invece lasciar liberi i suoi acquirenti di attivarsi per le vendite in zone non riservate in esclusiva a se stesso o ad altri, con la conseguenza che la classica clausola che vieta al concessionario di promuovere attivamente le vendite fuori dal suo territorio non è più com­patibile con l’esenzione[91] ed andrà sostituita da un divieto di vendite attive nel territorio o alla clientela riservata dal concedente a se stesso o a terzi in esclusiva.

Il regolamento 2790/1999 ha, tuttavia,  introdotto in questo modo un meccanismo più complesso di quanto appaia a prima vista. Infatti parlando del contratto di agenzia la Commissione afferma, al paragrafo 5 delle linee direttrici che accompagnano il regolamento “un territorio o gruppo di clienti sono attribuiti in esclusiva quando il fornitore acconsente di vendere i propri prodotti ad un unico dIstribu­tore o perché li distribuisca in un particolare territorio o ad un particola­re gruppo di clienti ed il distributore esclusivo è protetto, all’interno del suo territorio o verso il suo gruppo di clienti, dalle vendite attive da par­te del fornitore e di qualsiasi altro acquirente del fornitore nella Comuni­tà”.

Ciò significa che si possono vietare al concessionario le vendi­te passive solo verso territori concessi pienamente in esclusiva. Ove, invece si tratti di territori affidati a qualcuno, ma senza un’esclusiva vera e propria (o con un’esclusiva limitata), non sarà possibile sottrarti alla promozione attiva di altri acquirenti o concessionari.

Pertanto, nel caso in cui il concedente affidi certi territori a conces­sionari non esclusivi, ad esempio perché preferisce avere due importatori concorrenti sullo stesso mercato, o si riservi il diritto di effettuare ven­dite dirette, magari pagando una provvigione, nella zona riservata “in esclusiva” al concessionario, questi concessionari non esclusivi o “se­mi-esclusivi” non potranno essere protetti dalle vendite dirette di altri concessionari o acquirenti.

Un altro aspetto critico è che, a meno di fornire a ciascun acquirente un elenco aggiornato dei territori concessi in esclusiva, quest’ultimo non può sapere quali territori ab­biano questa caratteristica e quindi quali siano effettivamente i territo­ri nei quali egli non può effettuare vendite dirette[92].

E’ da escludersi che il concedente sia tenuto a fornire, di sua iniziativa, queste informazio­ni, non essendo previsto nulla in tal senso nel regolamento: tuttavia, ove richiesto dal concessionario, egli fornisca informazioni inesatte, ta­li da inibire al rivenditore le vendite dirette verso un territorio in real­tà non riservato ad altri in esclusiva, ciò comporterà una violazione dell’art. 4 e quindi la perdita del beneficio dell’esenzione per tutto l’ac­cordo.

Occorre però specificare la differenza tra vendite attive e passive.

Ai sensi della normativa vigente, nessun vincolo alla rivendita può essere im­posto all’acquirente, sia esso concessionario o rivenditore non integra­to, riguardo alle cosiddette vendite “passive»”e cioè non sollecitate (unsolicited sales).

La Commissione chiarisce[93] che rientrano nella promozione attiva l’invio di posta a clienti dei territori esclusivi, la visita diretta di questi ultimi, inserzioni pubblicitarie destinate specificamente a tali clienti (ad es. su una rivista del paese in questione), nonché l’apertura di de­positi o punti vendita nel territorio esclusivo.

La Commissione considera invece come vendite passive: “la risposta ad ordini non sollecitati di singoli clienti, incluse la con­segna di beni o la prestazione di servizi a tali clienti. Sono vendite passi­ve le azioni pubblicitarie o promozionali di portata generale realIzzate attraverso i media o via Internet che raggiungano clienti all’interno del territorio esclusivo o del gruppo di clienti esclusivo di un altro distribu­tore, ma che costituiscano un mezzo ragionevole per raggiungere clienti al di fuori di tali territori o gruppi di clienti, ad esempio per raggiungere clienti in territori non concessi in esclusiva o all’interno del proprio terri­torio”.

Queste affermazioni della Commissione, se prese alla lettera, potrebbero allargare a dismisura la nozione di vendite passive. Ad esempio un produttore italiano che abbia concessionari e­sclusivi in tutti paesi dell’Unione europea, ad eccezione del Belgio: se il concessionario tedesco inizia una campagna pubblicitaria su riviste di lingua francese destinate al mercato franco-belga, egli potrà negare di aver effettuato una promozione attiva verso la Francia (coperta da esclusiva) solo perché tale pubblicità costituiva un mezzo ragionevole per raggiungere eventuali clienti in un paese lasciato libero da esclusiva (il Belgio).

Il problema appare poi particolarmente delicato considerando le vendite tramite Internet, ovvero e-commerce.

A tal proposito la Commissione afferma e­spressamente[94] di considerare l’apertura di un sito e la vendita attra­verso il sito medesimo come rientrante nella nozione di vendite passi­ve e di ritenere solo l’invio di messaggi elettronici a specifici clienti o gruppi di clienti come forma di vendita attiva.

Ora, ciò comporta un allargamento sensibile della nozione di vendite passive, nella misura in cui permette al concessionario di raggiungere, con mezzi di pubbli­cità diretti alla generalità egli utenti (e non a specifici soggetti di zone riservate ad altri), la generalità degli acquirenti potenziali, indipendentemente da dove sono domiciliati.

In ogni modo, va tenuto presente che, se si accetta l’impostazione sostenuta dalla Commissione nelle linee direttrici, di considerare la promozione tramite Internet come una forma di vendita “passiva”, l’eventuale divieto imposto al concessionario di aprire siti Internet o di vendere su Internet costituirà una limitazione del diritto ad effettuare vendite passive, la quale avrà l’effetto di sottrarre l’intero contratto al beneficio dell’esenzione per categoria.

Infine, va precisato che il concedente non può limitare in alcun modo (e quindi neppure limitatamente alle vendite “attive”) la libertà degli acquirenti successivi, imponendo, ad esempio, all’acquirente l’obbligo di imporre divieti di esportazione ai propri acquirenti[95].

  1. Gli obblighi del concedente

Se non sussiste l’obbligo di fornire il distributore, il concedente non sarà tenuto ad evadere le singole richieste, ma un rifiuto ingiustificato potrebbe contrastare con l’obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede.

In ogni caso deve essere esclusa qualsiasi responsabilità del concessionario per non avere promosso le vendite quando il concedente abbia omesso di fornire tempestivamente i prodotti ordinati dal concessionario.

Nel caso di inadempimento di lieve entità da parte del concessionario si ritiene che il concedente possa interrompere le forniture dando un congruo preavviso (art. 1565 cod. civ.).

4.1 Concessione di vendita e mancanza di qualità dei prodotti forniti

La garanzia da parte del concedente/fabbricante sui prodotti forniti al concessionario è questione di notevole rilevanza, soprattutto dal momento che il concessionario procede a rivendere i prodotti ad altri soggetti, che possono essere altri anelli della catena distributiva ovvero utilizzatori finali, i quali pretenderanno una garanzia.

E’ quindi di vitale importanza disciplinare con chiarezza i termini della garanzia offerta dal fabbricante/concedente al concessionario, soprattutto se si tratta di beni di consumo.

Infatti con Decreto Legislativo del 1° febbraio 2002, attuativo della Direttiva 199/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, sono stati inseriti nuovi articoli nel codice civile (dal 1519 bis al 1519 nonies).

Di particolare interesse il diritto di regresso (previsto dall’art. 1519 quinquies) riconosciuto, salvo patto contrario, al venditore finale nei confronti del produttore o di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva per difetti di conformità del prodotto imputabili a tali soggetti e di cui il venditore debba rispondere nei confronti del consumatore.

5.Distribuzione commerciale e clausole contrattuali tipiche

Il concedente ha anche la facoltà di suggerire il prezzo di rivendita al concessionario, sia mediante l’indicazione di un prezzo raccomandato di rivendita ovvero tramite l’indicazione di una banda di prezzo con limiti massimi e minimi, attribuendo al concessionario un più o meno limitato margine di discrezionalità.

Tale limite alla facoltà di imporre un prezzo di rivendita è dovuto alle prescrizioni della normativa comunitaria in materia di concorrenza (articolo 4 lett. a del Regolamento CE 2790/99).

Solitamente la convergenza di “interessi” tra concedente e concessionario, e, soprattutto, la maggior forza contrattuale del medesimo concedente, comporta che il concessionario assecondi di buon grado le raccomandazioni del concedente.

Ultimo aspetto da trattare sinteticamente con riferimento alla figura contrattuale del contratto di concessione di vendita è il patto di non concorrenza.

Tale patto ha la funzione di regolare l’attività del concessionario per il periodo successivo alla cessazione del rapporto, il quale dovrà essere redatto tenendo conto unicamente del dettato dell’art. 2596 cod. civ. (forma, durata, spazio territoriale e oggetto).

Nel caso in cui non venga stipulato un patto di non concorrenza si ritiene che il concessionario possa liberamente vendere i prodotti ancora in suo possesso, purché tale attività non sia svolta in modo da ingenerare nel pubblico l’erronea convinzione circa la persistenza di un rapporto di concessione. In caso contrario la condotta del concessionario potrà dare luogo ad un illecito concorrenziale sanzionato dall’art. 2598, comma 1 e 2[96].

5.1 L’inserzione della clausola di riservato dominio

Un elemento costante nella concessione di vendita come contratto quadro è la previsione della riserva di proprietà quale elemento integrativo dei successivi contratti di scambio, così da consentire al concessionario l’acquisto della proprietà soltanto a seguito dell’integrale pagamento del prezzo

La previsio­ne di tale patto avrebbe la sola funzione programmatica di impegnare le parti ad inserire la riserva di proprietà in cia­scuno dei successivi contratti.

Sicché per derogare all’effi­cacia immediatamente traslativa che è propria della ven­dita sarebbe necessaria una pattuizione coeva al singolo contratto, con specificazione dei beni che ne formano og­getto.

Tale assunto non sembra convincente. Esso poggia su una costruzio­ne dogmatica che assegna al contratto con funzione nor­mativa efficacia meramente obbligatoria.

Al contratto normativo, proprio in quanto strumento di autodisciplina della autonomia priva­ta, può anche riconoscersi efficacia reale. In tal caso la ri­serva di proprietà in esso prevista verrebbe ad integrare i successivi contratti, senza che sia necessaria una nuova pat­tuizione al riguardo.

Né potrebbe obiettarsi che, ver­rebbe sacrificata l’imprescindibile esigenza della contemporaneità della stipulazione del patto di riservato dominio e del contratto di vendita, posto che l’effetto integrativo ope­rerebbe pur sempre con efficacia ex nunc, e cioè dal mo­mento della conclusione del singolo contratto, restando salva la contestualità delle pattuizioni[97].

Va aggiunto inoltre che nei rapporti tra concessiona­rio e concedente, qualora le forniture abbiano ad oggetto beni di genere, perché la riserva di proprietà possa produr­re il suo effetto tipico (e cioè la conservazione della pro­prietà in capo al venditore fino all’integrale pagamento del prezzo) è indispensabile che all’atto della consegna, e an­che successivamente, detti beni rimangano specificamen­te individuati nella loro singolarità.

Diversamente, una volta entrati nel patrimonio del compratore, potrebbero confondersi con altri beni dello stesso genere già di sua proprietà.

E tale confusione determinerebbe l’automatico acquisto della proprietà da parte del compratore per effet­to della loro fungibilità oggettiva, così impedendo l’effetto di garanzia del patto di riservato dominio in favore del venditore[98].

E noto infatti che la traditio di beni generi­ci e fungibili comporti ipso iure il trasferimento della pro­prietà in capo all’accipiens, dando luogo ad un credito di re­stituzione del tantundem.

Il patto di riservato dominio è previsto anche quando la concessione di vendita si atteggia a contratto unico a prestazioni periodiche o continuative.

Non vi è dubbio che la riserva di proprietà sia compa­tibile con un contratto di scambio avente ad oggetto beni inizialmente determinati soltanto nel genere[99].

In tal caso il requisito della determinabilità dell’oggetto contrattuale, come condizione di validità del contratto, è soddisfatto quando al momento della stipulazione siano indicati anche soltanto il tipo, la quantità o le qualità dei beni o i criteri per la loro determinazione.

Tuttavia, ai fini della operati­vità del patto di riservato dominio la determinabilità del­l’oggetto contrattuale non è più sufficiente, occorrendo la specificazione dei beni nella loro individualità, che può effettuarsi anche in un momento successivo a quello della sti­pulazione e coincidere con il momento della consegna dei beni, purché la specificazione riesca ad evitarne la confusione con i beni dell’acquirente fino al momento del paga­mento del prezzo[100].

5.2 L’inserzione della clausola di esclusiva

Nel contesto della disciplina legale della somministrazione assumono importanza, per la loro applicabilità alla concessione di vendita, le norme dettate in tema di clausola di esclusiva.

In merito alla clausola di esclusiva, è necessario rilevare come essa riceva dal legislatore una disciplina diversa a seconda che la stessa rientri nel contesto del contratto di somministrazione o in quello del contratto di agenzia[101].

Nella sommi­nistrazione la clausola è un elemento accidentale che le parti possono convenire o meno e, qualora sia pattuita a favore del somministrato, impedisce che il sommi­nistrante compia nella zona per cui l’esclusiva è concessa e per la durata del contratto, direttamente o indirettamente, prestazioni della stessa natura di quelle che formano oggetto del contratto (art. 1568 c.c.).

Nell’agenzia, diversamente, l’esclusiva è una conseguenza naturale del negozio, nel senso che costituisce un effetto che la legge ricollega in ogni caso alla fattispecie, pur in assenza di un’esplicita disposizione in tal senso dei contraenti, salva peraltro l’ipotesi che essi abbiano manifestato una volontà contraria (art. 1743 c.c.).

Essa, nello stesso ambito, non ha inoltre carattere di assolutezza, dal momento che il preponente può concludere direttamente affari con i terzi che l’agente aveva in precedenza acqui­sito come clienti o che appartengono alla zona o alla categoria di clienti riservati all’agente, con l’obbligo di pagare le cosiddette provvigioni indirette ( ex art. 1748, comma 2, c.c.).

Dinanzi ad una disciplina non univoca dello stesso patto, si pone all’interprete la questione se nella concessione di vendita si debba applicare la normativa dettata nel contesto del contratto di somministrazione o quella prevista in materia di agenzia[102].

Il problema riguarda, l’ipotesi in cui le parti nulla abbiano disposto in merito alla clausola (così che ci si possa domandare se essa debba parimenti ritenersi efficace quale naturale negotii) e quella in cui le parti, pur avendo previsto la clausola a favore del concessionario, non abbiano stabilito alcunché riguardo al suo contenuto (così che ci si possa chiedere se essa escluda o pure no qualsiasi attività di vendita dei medesimi prodotti e per la stessa zona da parte del concedente): ché negli altri casi sarà evidentemente il regola­mento convenzionale a dirimere ogni dubbio.

La dottrina che si è soffermata sul punto si è detta favorevole all’applicazione della disciplina statuita dal legislatore nell’ambito della somministrazione[103].

Questa tesi sembra per più aspetti condivisibile. Anzitutto, essa è coerente con l’affermazione dell’irriducibilità della concessione di vendita entro gli schemi

dell’agenzia: i due contratti sono nettamente distinti e il solo elemento dell’obbligo di svolgere attività promozionale che li accomuna non è idoneo a giustificare l’estensione al primo delle norme in materia di esclusiva dettate per il secondo[104].

Per quanto attiene alla disciplina contemplata dall’art. 1743 c.c., essa rinviene la propria ratio nell’origine storica del ruolo dell’agente.

La dottrina, tenendo conto che la figura dell’agente deriva in sostanza dalla categoria degli impiegati, da cui si è andata emancipando con l’accentuazione progressiva dei profili di autonomia rispetto a quelli di subordinazione, ha rilevato che l’esclusiva a favore del prepo­nente è nata come “surrogato” del tipico “dovere di fedeltà” proprio del lavoratore dipendente. Successivamente, anche per assicurare più equilibrio al rapporto dal punto di vista dei rispettivi benefici economici, con l’acquisizione di un maggior peso contrattuale da parte degli agenti e delle loro organizzazioni, l’esclu­siva è stata estesa anche a loro favore[105].

Nella concessione di vendita, invece, la clausola di esclusiva non costituisce la forma necessaria o comunque principale

del privilegio attribuito al distributore dall’impresa produttrice, giacché esso può assumere un diverso contenuto[106].

Per quanto riguarda la norma dettata dall’arto 1748, comma 2, c.c., da cui si deduce che il preponente è legittimato a stipulare contratti pur nella zona di esclusiva e per gli affari riservati all’agente, essa si spiega, a ben vedere, riflettendo sulla natura dell’attività che è oggetto di esclusiva a favore dell’agente. L’esclusiva riguarda l’esercizio dell’attività promozionale e implica che il preponente non possa valersi di più agenti nella stessa zona per promuovere la conclusione di contratti.

Ma non comprende, a rigore, finché ciò non sia espressamene pattuito, la stessa attività consistente nella conclusione di contratti, la quale per essere con­cettualmente distinta rimane nella piena facoltà del preponente.

In altri termini, è la differente natura della prestazione dell’agente rispetto a quella del preponente che consente di ammettere, sotto un profilo logico, che pur quando la prima sia oggetto di un’esclusiva a favore di un contraente, la seconda possa essere espletata legittimamente dall’altro.

Al contrario, nella concessione di vendita la clausola di esclusiva si riferisce propriamente alla vendita di determinati prodotti, ossia all’esercizio di un’attività giuridica che è la medesima di quella svolta dall’impresa concedente[107].

Alla concessione di vendita sono dunque applicabili, almeno nelle ipotesi di incompletezza del regolamento negoziale, le norme in tema di esclusiva previste nell’ambito della disciplina del contratto di somministrazione, le quali, da un lato, presuppongono la natura accidentale della clausola, dall’altro, ne ribadiscono il carattere di assolutezza ove essa sia pattuita a favore del somministrato, dal momento che è fatto divieto in questo caso al somministrante di operare nella zona per la quale l’esclusiva è concessa.

Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza delle corti italiane, nella concessione di vendita l’esclusiva viene interpretata come pattuizione accessoria e non essenziale. Pertanto l’esclusiva non si considera conferita al concessionario o al concedente se non vi è un’espressa pattuizione in tal senso.

L’esclusiva può essere unilaterale o bilaterale (cioè a favore di una sola delle parti ovvero di ambedue).

In caso di esclusiva a favore del concessionario, il concedente non potrà distribuire i propri prodotti all’interno del territorio a mezzo di agenti o altri distributori diversi dal concessionario. Le parti potranno però far salvo il diritto del concedente di distribuire i propri prodotti direttamente nel territorio, ovvero di servire o far servire da altri distributori alcuni specifici clienti.

Nel caso invece in cui l’esclusiva sia pattuita a favore del concedente, sarà il concessionario a non poter distribuire nel territorio altri prodotti appartenenti alla medesima categoria merceologica, o comunque in concorrenza con quelli del concedente[108].

In alcuni casi le parti stabiliscono l’applicazione di penali per sanzionare la violazione degli obblighi di esclusiva.

Dette penali possono essere individuate in un ammontare fisso, ovvero in un ammontare variabile, eventualmente proporzionale al valore delle merci che sono state commercializzate in violazione dell’esclusiva[109].

  1. Risoluzione e relative conseguenze

La concessione di vendita è un contratto atipico, che incide in modo rilevante sul problema della disciplina legale applicabile alla fattispecie.

Una prima conseguenza di ciò è che non si può ritenere applicabile in toto alla concessione di vendita la normativa afferente ad un dato schema contrattuale tipico.

Tuttavia, non si esclude che l’interprete possa fare ricorso a singole norme (o a gruppi di norme) relative alla disciplina di particolari contratti nominati, qualora esse, in ragione della loro peculiare vis expansiva, siano idonee ad essere applicate in un ambito più ampio rispetto a quello individuato dal tipo di appartenenza.

La possibilità di avvalersi delle norme proprie dei contratti tipici è peraltro circoscritta, in questo caso, dai limiti e dalle regole dell’interpretazione analogica, ossia da quei canoni dettati dal legislatore per ovviare alle lacune dell’ordinamento e integrare le ipotesi da esso non espressamente contemplate[110].

Una serie di norme applicabili in via analogica alla concessione di vendita si rinviene nel capo dedicato alla somministrazione. Si può far riferimento, anzitutto, alle norme che sono espressione di principi propri dei contratti a prestazioni periodiche o più in generale dei contratti di durata e che, quindi, possono essere altresì estese alla concessione di vendita, la quale, pur nella sua particolare conformazione, presenta tali caratteri. Risulta pertanto irrilevante, il fatto che nella concessione di vendita la prestazione destinata a ripetersi ne1 tempo abbia ad oggetto la conclusione di singoli contratti di scambio, anziché la consegna di dati beni.

Tali disposizioni riguardano, in particolare, la cessazione del rapporto (art. 1569 c.c.) e la patologia del contratto (art. 1564 e 1565 c.c.).

Quanto al primo punto, la disposizione contemplata dall’art. 1569 c.c. prevede la facoltà di recesso ad nutum nel contratto di somministrazione a tempo indeter­minato.

La regola è conforme ad un principio generale in forza del quale nei contratti di durata a tempo indeterminato, affinché il rapporto obbligatorio trovi in ogni caso un limite dal punto di vista temporale, è sempre ammissibile il recesso ad nutum[111]. Questo principio, il quale ha tra l’altro una base testuale in una pluralità di norme contenute nella disciplina di vari contratti tipici[112], risponde ad un’esigenza avvertita anche nell’ambito della concessione di vendita.

Facendo pertanto applicazione di esso, si può concludere che, in ipotesi di concessione di vendita stipulata a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza che sia necessario invocare al riguardo una giusta causa. La disposizione di cui all’art. 1569 c.c. stabilisce inoltre l’obbligo della parte recedente di dare preavviso.

Anche in questo caso la regola esprime un principio generale per i contratti di durata a tempo indeterminato, vale a dire che l’inosservanza dell’ob­bligo di preavviso non importa l’inefficacia del re cesso, ma si pone quale fonte di responsabilità per danni[113].

Si è affermato al riguardo che la norma tutela l’interesse del somministrato a non vedere cessare di punto in bianco la fornitura  e quello simile del somministrante,  a non vedersi chiuso, di colpo, uno sbocco alla sua produzione o alle sue vendite: la parte che recede dal contratto senza preavviso, o congruo preavviso, sarà pertanto tenuta al risarcimento dei danni provocati all’altra[114].

Ma analoghe esigenze si possono riscon­trare nella concessione di vendita, ove ciascuna delle parti fa affidamento sulla prestazione dell’altra per lo svolgimento della propria attività commerciale e ove il recesso senza preavviso di una di esse può impedire all’altra di prendere le contromisure adeguate a prevenire, almeno in parte, gli effetti negativi derivanti dall’interruzione del rapporto.

Si può pertanto convenire che, anche con riferi­mento alla concessione di vendita, in forza dell’applicazione analogica della norma anzidetta, la parte recedente è tenuta a dare preavviso, a pena del risarcimento dei danni[115], all’altro contraente[116].

Quanto al secondo punto, negli art. 1564 e 1565 c.c. il legislatore statuisce due norme speciali, di cui, l’una relativa alla risoluzione del contratto, l’altra, relativa all’eccezione di inadempimento[117].

In ordine alla risoluzione, la disciplina specifica dettata per il contratto di somministrazione restringe l’ambito di applicazione del rimedio generale: la parte non inadempiente, in tale ipotesi, può avvalersi della risoluzione solo in presenza di presupposti più rigorosi (inadempimento di “notevole importanza”, tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti) rispetto a quelli previsti dalla disciplina generale (inadempimento di non “scarsa importanza”).

La norma pertanto sembra volta a garantire la stabilità del rapporto di somministrazione nel maggior numero di casi e trova la propria giustificazione sia nella struttura del contratto, che, determinando una pluralità di prestazioni periodiche, può rimanere soggetto all’inadempimento di ciascuna di esse, sia nell’esigenza di tutelare l’interesse obiettivo delle parti alla continuazione del rapporto[118].

Essa per il fatto di essere ritenuta applicabile a tutti i contratti di durata a prestazioni periodiche sembra possa valere altresì per la concessione di vendita, ove, come si è osservato, sono presenti tali caratteri.

Si aggiunga che anche nella concessione di vendita i contraenti hanno un evidente interesse alla continuità del rapporto, giacché entrambi traggono da esso indubbi vantaggi nella propria attività commerciale.

Appare coerente l’estensione anche a tale fattispecie di una norma che mira a garantire la stabilità del rapporto giuridico in presenza dell’inadempimento di una sola prestazione, fintantoché non sia venuta meno nella parte non inadempiente la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti.

Il contenuto della disposizione deve peraltro essere adeguato alla particolare configurazione delle prestazioni di natura periodica cui le parti (ma spesso il solo concessionario) sono vincolate.

Ossia al fatto che nella concessione di vendita le parti non sono tenute all’esecuzione reiterata di prestazioni di cose, bensì alla conclusione tra loro di successivi contratti di scambio.

Ne consegue che l’inadem­pimento relativo a una “singola prestazione”, cui allude l’art. 1564 c.c., consisterà propriamente nel rifiuto di addivenire alla conclusione di uno dei futuri contratti di scambio alle condizioni pattuite, da parte del contraente che vi sarebbe tenuto, e non, invece, nell’inadempimento di una delle obbligazioni che sorgono dalla stipulazione di tali contratti.

Il rifiuto di concludere il singolo contratto di scambio legittimerà la parte non inadempiente a chiedere la risoluzione del contratto quadro (la quale, a sua volta, farà venire meno la base della costituzione dei futuri contratti che sarebbero stati dovuti in forza di quello)[119], mentre l’eventuale inadempimento e la conseguente risoluzione del singolo contratto di scambio non reagiranno sul contratto quadro, che continuerà in tal modo a fondare l’obbligo della costituzione dei contratti avvenire[120].

In ordine all’eccezione di inadempimento, la norma contemplata dall’art. 1565 c.c. sembra ampliare la sfera di operatività del rimedio generale, seppur con riferimento ad una sola delle parti (il somministrante).

Dal dato testuale emerge infatti che il requisito della non contrarietà alla buona fede (richiesto dall’art. 1460 c.c.) non venga in considerazione nel caso in esame: l’inadempimento del sommi­nistrato assumerebbe sempre rilevanza ai fini della sospensione del contratto, con il solo correttivo della necessità di un congruo preavviso[121].

La norma appare strettamente legata a quella contenuta nell’art. 1564 c.c., nel senso che ne costitui­sce una sorta di bilanciamento: essa sembra diretta ad attenuare le conseguenze che derivano dalla maggiore difficoltà a procedere alla risolu}ione del contratto, rendendo più facile l’esercizio dell’eccezione di inadempimento.

Se al contraente è precluso di sciogliere il contratto nell’ipotesi in cui la controparte non adempia ad una delle prestazioni dovute, qualora tale omissione non sia di notevole impor­tanza costui potrà tutelare in ogni caso le proprie ragioni rifiutando di adempiere la sua obbligazione.

La norma dunque non può essere concettualmente separata da quella dettata in tema di risoluzione, in quanto, pur rispettando la medesima esigenza di garantire maggiore stabilità al rapporto a prestazioni periodiche (giac­ché l’esercizio dell’eccezione di in adempimento non conduce allo scioglimento, bensì alla momentanea sospensione del vincolo), consente un’adeguata tutela dell’interesse delle parti all’equilibrio delle prestazioni che l’altra disposizione non è in grado di offrire.

Se la norma costituisce un tassello necessario per integrare la disciplina dei rimedi legali all’inadempimento nell’am­bito dei contratti ad esecuzione periodica, essa può essere estesa, in linea di principio, anche alla fattispecie della concessione di vendita, che presenta i con­notati propri di tale categoria[122].

È  opportuno, dunque, adattare il contenuto della disposizione al peculiare oggetto delle prestazioni periodiche cui le parti sono vincolate e, quindi, considerare che la fattispecie della concessione di vendita va costruita sulla base di un contratto iniziale (contratto quadro) e di una pluralità di contratti successivi (contratti di scambio) la cui conclusione è resa obbligatoria, almeno per il concessionario, dal primo.

L’eccezione relativa all’inadem­pimento del contratto quadro può essere opposta dal concedente alla conclusione dei contratti successivi, in quanto tale conclusione è oggetto di un’obbligazione dello stesso contratto iniziale.

Così, per ipotesi, l’impresa produttrice può opporre all’impresa di distribuzione, che reclami la conclusione del singolo contratto di scambio, l’inadempimento dell’obbligo di conformarsi ai modelli richiesti per allestire il punto di vendita: l’exceptio inadimpleti opera qui nell’ambito del contratto quadro.

Se invece l’eccezione riguarda gli obblighi nascenti dai singoli contratti di scambio, essa resta limitata alle prestazioni previste da ciascuno di questi: l’inadempimento del singolo contratto non legittima l’exceptio in riguardo al contratto iniziale poiché questo, come si è osservato, non è inadempiuto esso stesso per l’inadempimento dell’obbligazione di uno dei contratti di scambio[123].

Così, per esempio, l’impresa produttrice non potrebbe rifiutare di stipulare il contratto traslativo della proprietà di un certo quantitativo di merci, richiesto dal concessio­nario, perché costui è in mora nel pagamento del prezzo dovuto in forza di un contratto di scambio precedente, se il concessionario è in regola con le obbligazioni derivanti dal contratto quadro: l’inadempimento di un singolo contratto di scambio non può agire infatti allo stesso titolo (exceptio inadimpleti) su un contratto diverso.

Tale  limitazione della portata della norma non sembra peraltro avere particolare rilevo pratico per il concedente, vale a dire per la parte che di regola ha la facoltà di stipulare i singoli contratti di scambio: di fronte all’inadempimento di uno dei singoli contratti traslativi ad opera del concessionario, l’impresa produt­trice si asterrà dal contrarre nuovi rapporti, raggiungendo quel medesimo effetto (sospensione dell’esecuzione del contratto quadro) che avrebbe prodotto l’exceptio inadimpleti[124].

CAPITOLO 3

I Contratti di distribuzione: alcune discipline compartiste

Sommario: – 1. I contratto di distribuzione in Russia; – 2. I Contratti di distribuzione in Cina; – 3. Contratti di agenzia e di distribuzione in India; – 4. La normativa sull’esercizio di attività commerciali e la distribuzione di prodotti negli U.S.A;  -4.1  L’Agenzia Commerciale; – 4.2  Accordi Economici Collettivi;  – 4.3 Le leggi sulle Pratiche Ingannevoli o Sleali (“Unfair or Deceptive Acts or Practices”); – 4.4  l’Indennità di Fine Rapporto; – 4.5 La legge Applicabile e Foro Competente; – 4.6  La Distribuzione Commerciale; – 4.7  Il Prezzo dei Prodotti e l’esclusiva; – 4.8  La Garanzia sui Prodotti Venduti; – 4.9  La Risoluzione del Rapporto e l’obbligo di non concorrenza

  1. I contratto di distribuzione in Russia

Il rapporto di agenzia e disciplinato dagli artt. 1005-1011 della parte II del Codice civile della Federazione Russa, in vigore dal 1° marzo 1996. In linea di massima, la figura dell’agente in Russia corrisponde a quella vigente in Italia, salvo alcune differenze[125]. La legislazione definisce agente (agent) un collaboratore che si assume l’onere di compiere atti giuridici in base al mandato conferitogli dal preponente (printsipal)[126].

L’agente può agire:  in nome proprio e per conto del preponente oppure in nome e per conto del preponente[127].

Nel primo caso il rapporto contrattuale e definito come contratto di commissione (dogovor komissij, analogo al contratto di mandato senza rappresentanza in uso in Italia), in base al quale il commissionario/agente acquisisce personalmente diritti ed obbligazioni derivanti dal contratto stipulato per conto del committente/preponente (artt. 990-1004)[128].

Nel secondo caso il rapporto contrattuale e definito come contratto di mandato (dogovor poru?cenija, analogo al contratto di mandato con rappresentanza in uso in Italia), nel quale diritti ed obbligazioni derivanti dal contratto stipulato dal mandatario/agente per conto del mandante/preponente ricadono direttamente su quest’ultimo (artt. 971-979)[129].

La durata della collaborazione e contemplata nell’art. 1005, che stabilisce che il contratto di agenzia possa essere stipulato a tempo determinato o a tempo indeterminato.

In merito al contratto di franchising, gli artt. 1027-1040 del Codice civile, che hanno introdotto nell’ordinamento russo il c.d. contratto di concessione commerciale o franchising, non operano una distinzione fra concessione di vendita e franchising, a differenza della legislazione italiana.

La fattispecie contrattuale che si instaura fra le parti si basa sul trasferimento al franchisee, dietro corrispettivo, dei diritti di utilizzare nella propria attività imprenditoriale la denominazione commerciale, il marchio commerciale, il know-how, ecc., di proprieta del franchiso[130]r.

L’art. 1031 contempla a carico del franchisor il requisito obbligatorio dell’istruzione del franchisee e del suo personale riguardo a tutte le questioni inerenti l’utilizzo dei diritti che formano oggetto del contratto. Il franchisor e quindi tenuto a fornire al franchisee la documentazione tecnico commerciale e le altre informazioni necessarie per lo svolgimento dell’attività, nonchè a consegnare tutte le licenze previste dal contratto[131].

E solitamente previsto l’obbligo del franchisor di fornire al franchisee assistenza tecnica e consulenza, necessarie a garantire un adeguato standard qualitativo dei prodotti e servizi offerti. L’art. 1031 non prevede tuttavia l’obbligatorietà di tale clausola e lascia la materia alla discrezione delle parti. Nel caso in cui il franchisor decida di non rinnovare il contratto, egli e obbligato a non concludere nuovi contratti dello stesso tipo e nella stessa zona per un periodo di 3 anni[132].

A seconda delle caratteristiche specifiche dell’attività esercitata, il franchisee è obbligato a attenersi alle istruzioni del franchisor, incluse le indicazioni in merito all’allestimento dei locali; fornire ai clienti tutti i servizi supplementari che potrebbero essere richiesti direttamente al franchisor; garantire l’adeguatezza del livello di qualità dei prodotti o servizi oggetto del contratto ai livelli qualitativi assicurati dal franchisor;  informare la clientela del fatto che l’utilizzo dei rispettivi marchi commerciali nasce in virtù del contratto di franchising; rispettare il segreto industriale e commerciale del franchisor[133].

Alla scadenza del contratto, e se il franchisor decide di rinnovarlo, il franchisee che abbia debitamente adempiuto ai propri obblighi ha il diritto di esigere le medesime condizioni del contratto scaduto[134].

Nel caso in cui il franchisor sia una persona giuridica non residente, essa e tenuta, salvo diverso accordo contrattuale, a provvedere alla registrazione del contratto presso l’organismo pubblico che aveva registrato la controparte russa in qualità di ente commerciale o imprenditore individuale.

  1. I Contratti di distribuzione in Cina

Il rapporto di agenzia (così come la concessione di vendita) non è disciplinato in Cina da alcuna normativa specifica[135].

L’agente ed il preponente hanno dunque ampia libertà nella negoziazione delle relative clausole contrattuali, purché non vengano violate le generali previsioni di diritto civile contenute essenzialmente nei General Principles of Civil Law (12 aprile 1986) e nella Contract Law (15 marzo 1999). Ciò detto, è opportuno inoltre ricordare che non tutte le società cinesi sono titolari dei c.d. diritti al commercio con l’estero, e che di conseguenza un agente privo di tali diritto non potrebbe intrattenere un rapporto diretto con il preponente straniero.

La materia del franchising è regolata in materia specifica dalle Administration of Commercial Franchise Procedures (Trial Implementation), emanate il 14 novembre 1997. Non è peraltro chiaro se tale regolamento sia applicabile alle operazioni di franchising “cross-border”, ovvero caratterizzate da un franchisor straniero. Nel luglio del 2001 è stata fatta circolare dal Governo cinese una bozza delle nuove Franchise Regulations, ma non è chiaro quando queste Regulations verranno emanate.

Alcuni aspetti del rapporto di franchising trovano regolamentazione in normative di carattere generale, come la Contract Law e i General Principles of Civil Law sopra citati, oppure in normative di carattere specifico, con riferimento all’utilizzo del marchio, del know-how, ecc[136].

Il regolamento del 1997 definisce il franchising come l’accordo in base al quale un soggetto (franchisor) autorizza un altro soggetto (franchisee) ad utilizzare il proprio marchio, know-how, modello gestionale, ecc., per sviluppare un business secondo le indicazioni del franchisor, dietro corresponsione di royalty[137].

Nel primo caso il franchisee gestisce direttamente i propri punti vendita, senza il diritto di concedere licenze di sub-franchising. Nel secondo caso, il franchisor concede al franchisee il diritto esclusivo di sviluppare il relativo business entro un dato territorio, direttamente o tramite la concessione a terzi di licenze di sub-franchising.

Tra gli obblighi del franchisor, il regolamento in oggetto prevede il training al personale del franchisee e la fornitura a quest’ultimo del manuale operativo e delle informazioni necessarie per l’avviamento del business. Il franchisee è invece tenuto, tra l’altro, a preservare la reputazione commerciale del franchisor e ad accettare le istruzioni e la supervisione di quest’ultimo[138].

 

  1. Contratti di agenzia e di distribuzione in India

Le famiglie giuridiche romano-germanica, della Common Law e socialista sono intimamente legate allo sviluppo della cultura europea.

La notizia dell’esistenza di una cultura hindu caratterizzata da una letteratura ispirata dalla divinità e vista come fondamento del diritto risale alla seconda metà del secondo millennio avanti Cristo. L’anima di questa cultura, attraverso la continuità della consuetudine, è ancora vitale nell’India odierna[139].

L’analisi della dimensione giuridica del vastissimo subcontinente indiano è cosa complessa, essendo questo territorio da sempre in preda a tensioni dialettiche tra unità e diversità. In effetti l’India non fu mai patria esclusiva del popolo hindu, non originario del territorio indiano ma immigratovi intorno al 1500 a.C. .Residui tribali preariani permangono ancora oggi, tanto che nell’India odierna il diritto consuetudinario tribale gioca un ruolo molto importante nel sistema giuridico indiano.

Oggi si assiste al fenomeno dell’esistenza di un’unità artificiale del diritto indiano, posta come strumentale allo sviluppo di uno spirito nazionale . In questo contesto la più importante componente del sistema giuridico indiano è la Costituzione del 1950 che contiene le leggi generali dello stato federale. Queste ultime hanno, almeno in teoria, preso il posto delle norme prodotte dal sistema tradizionale basato sul principio della disuguaglianza di fronte alla legge. In realtà permangono tuttora, all’interno del sistema giuridico dell’India, fenomeni di “discriminazione a fini protettivi” dovuti all’esistenza di una legislazione legata all’esistenza di statuti personali[140] .

In India il contratto di agenzia prevede la figura di un agente intermediario tra il venditore ed il potenziale cliente. L’agente, definito dalla sezione 182 della Legge sui contratti del 1872 come “persona impiegata ad agire o rappresentare un’altra persona in operazioni con terzi”, ha diritto a ricevere una commissione per ogni affare finalizzato. In base alla definizione di mandante, contenuta nella stessa sezione, come “colui che si rappresenta o per conto del quale si agisce”, ne deriva che l’agente non agisce mai per se stesso, ma per conto di qualcun altro[141].

In entrambi i casi, l’azione intrapresa dall’agente non è considerata sua dalla legge, bensì del mandante. L’agente ha un ruolo fondamentale nella rappresentanza degli interessi di una società straniera in India.

Egli deve essere incaricato attraverso un accordo scritto nel quale devono essere indicate le seguenti informazioni, il nome e indirizzo dei mandanti, il nome e indirizzo dell’agente, il prodotto e marchio che deve essere rappresentato, l’area di competenza, i diritti e doveri delle due parti, la natura del contratto (esclusivo o non esclusivo), la percentuale della commissione, la responsabilità delle parti relativamente alla pubblicità e alla durata del contratto, le condizioni per la rescissione del contratto, la corte autorizzata in caso di dispute[142].

È bene definire in dettaglio i diritti ed i doveri di entrambe le parti in modo da evitare eventuali ambiguità. È consigliabile per il mandante straniero fare un controllo incrociato delle credenziali dell’agente attraverso un’agenzia competente. Il contratto di distribuzione è sostanzialmente differente da quello di agenzia. Il distributore agisce come un importatore, comprando la merce dal

produttore e rivendendola ai clienti nel suo territorio. Il concessionario vende il prodotto al margine da lui stabilito godendo del vantaggio dell’esclusività della distribuzione. Il contratto che lega il produttore straniero al distributore locale contiene le stesse clausole del contratto di agenzia, ad eccezione di quella relativa alla commissione.

Essendo l’India un paese molto vasto, è difficile gestire la distribuzione ed il servizio post vendita da una singola postazione. È quindi consigliabile avere più distributori in diverse parti del paese o, in alternativa, incaricare un agente in grado di avere uffici nelle principali città indiane.

In un paese in via di sviluppo come l’India il franchising aiuta a creare relazioni tra economie a diversa velocità, attraverso la condivisione di tecnologie, marchi, marketing e proprietà intellettuale[143].

A differenza di paesi come Stati Uniti, Canada, Brasile e Francia che hanno creato una legislazione ad hoc per questa forma di accordo, l’India non ha ancora sviluppato una normativa a riguardo.

Ciononostante alcune multinazionali straniere hanno già attivato accordi di franchising nel paese, forti delle convenzioni e delle pratiche adottate in altri paesi[144].

In caso di disputa derivante dalla diversa interpretazione delle clausole, è necessario rivolgersi ad un arbitro, su cui le parti hanno precedentemente concordato, la cui decisione è finale e vincolante per entrambe le parti.

Nel caso in cui le parti rifiutino di accogliere la decisione dell’arbitro, saranno libere di adottare qualsiasi rimedio permesso dalla legge per soddisfare i termini dell’accordo.

In India il franchising è comunemente adottato dalle catene di fast food.

  1. La normativa sull’esercizio di attività commerciali e la distribuzione di prodotti negli U.S.A

La messa in opera di una rete distributiva all’estero costituisce un’esigenza per quasi tutte le imprese che operano a livello internazionale.

Volendo fornire un quadro generale della materia, possiamo distinguere quattro differenti alternative, tutte volte a consentire, in maniera più o meno diretta, la costituzione, da parte di operatori italiani, di insediamenti produttivi ed investimenti commerciali negli Stati Uniti: 1 L’Agenzia Commerciale, 2 La Distribuzione Commerciale, 3 Le Società di Vendita o Succursali, 4 La Joint-Venture[145].

Ancor prima di descrivere le principali tipologie contrattuali si desidera sottolineare come sia importante redigere un contratto scritto che disciplini in maniera dettagliata tutti i principali aspetti del rapporto commerciale che si intende instaurare con il partner statunitense.

4.1  L’Agenzia Commerciale

Negli Stati Uniti, le leggi in materia di Agenzia Commerciale sono essenzialmente lasciate alla autonomia legislativa di cui godono i cinquanta Stati che compongono la Confederazione americana, con l’aggiunta di Porto Rico e del Distretto di Colombia.[146]

Nell’esperienza pratica statunitense si rilevano alcune ricorrenti tipologie di rapporto di agenzia, che possiamo elencare nel modo che segue:

  1. A) Fully disclosed, nel quale l’esistenza e l’identità del preponente sono perfettamente note alla controparte; l’agente qui non diventa parte contraente, salvo uno specifico accordo in tal senso;
  2. B) Partially disclosed: la controparte contrattuale è a conoscenza del fatto che l’ agente sta operando per conto di un’altra persona, ma non ne conosce l’identità;
  3. C) Undisclosed: l’ agente dimostra di agire per proprio conto e l’ esistenza di una parte preponente rimane sconosciuta ai terzi. Tuttavia, la stessa parte preponente può agire in giudizio o esservi convenuta in base al contratto stipulato per suo conto;
  4. D) General: un agente generale è un agente che ha l’autorizzazione a negoziare ogni tipo di accordo in determinati rami di attività per conto del preponente;
  5. E) Special: un agente speciale è autorizzato a condurre solamente una singola operazione o una serie prestabilita di operazioni.

In alcuni Stati americani la legge prevede espressamente che il contratto con l’Agente di commercio sia stipulato per iscritto (vedi New York), mentre in altri Stati quest’obbligo non è riconosciuto.

Attraverso tale contratto l’azienda italiana affida ad un agente la promozione delle vendite (in veste di intermediari) dei propri prodotti in un determinato territorio, di solito riservato in esclusiva.

Un Agente di Commercio non è, in genere, un dipendente, ma un imprenditore autonomo che dispone di un potere limitato. Secondo le leggi federali e statali americane, gli Agenti di Commercio possono essere retribuiti soltanto attraverso provvigioni, a forfait, oppure tramite una combinazione di queste due modalità[147].

Tra i vari elementi che i diversi tribunali americani tengono in considerazione nel valutare se il rapporto in oggetto debba essere qualificato come subordinato piuttosto che autonomo, ricordiamo tra gli altri:

– l’obbligo o meno per l’Agente di rispettare un orario determinato;

– l’obbligo o meno per l’Agente di rispettare un luogo determinato e determinate modalità di lavoro;

– l’esistenza o meno di un rapporto di continuità tra l’impresa e l’Agente;

– il fatto che l’attività lavorativa venga svolta o meno all’interno dell’impresa;

– a chi spetti il pagamento delle spese di viaggio sostenute dall’Agente e delle altre connesse attività;

– l’obbligo o meno a carico dell’Agente di eseguire personalmente i compiti assegnati.

Secondo il diritto e la prassi vigenti negli Stati Uniti, un Rappresentante ha il diritto e la facoltà di obbligare legalmente un terzo (cioè il Preponente), attraverso le proprie azioni[148].

Qualora l’azienda italiana avesse, pertanto, interesse a limitare tali poteri, il consiglio è quello di specificarlo in maniera adeguata in sede contrattuale, provvedendo a definire in maniera chiara ed inequivocabile le facoltà specificamente attribuite all’Agente statunitense.

Va, altresì, sottolineato come coloro che intendano operare nell’ambito di alcuni settori specifici, quali quello assicurativo, quello petrolifero o quello alberghiero, così come coloro che offrano servizi di intermediazione immobiliare o che operino nel settore dei motoveicoli o delle bevande alcoliche (liquori, vino e birra), siano soggetti a leggi speciali che ne disciplinano i rapporti con eventuali Agenti di Commercio.

Non va dimenticato, inoltre, che le leggi americane in tema di Agenzia hanno come obiettivo principale quello di tutelare l’Agente di Commercio nei confronti di Preponenti che non paghino le provvigioni promesse, effettuino tali pagamenti in ritardo, o, comunque, non mantengano gli impegni assunti nel contratto[149].

4.2  Accordi Economici Collettivi

A differenza di quanto avviene in Italia, dove gli Accordi Economici Collettivi disciplinano diversi aspetti del rapporto di Agenzia e Rappresentanza, negli Stati Uniti non è prevista alcuna forma di contrattazione collettiva con gli Agenti di Commercio.

Le parti sono, pertanto libere di stabilire, all’interno del loro contratto, i criteri per il calcolo delle provvigioni, i termini di preavviso e, come già accennato in precedenza, l’eventuale indennità per il caso di scioglimento del contratto.

Alcuni di questi aspetti possono, tuttavia, essere soggetti a specifiche disposizioni di legge previste dai singoli Stati.

In particolare, lo Stato di New York prevede espressamente che nel periodo di vigenza del contratto dovranno essere corrisposte all’Agente le provvigioni maturate, nonché ogni altra somma eventualmente esigibile in base alle condizioni contrattuali stipulate, entro cinque giorni lavorativi dal momento in cui tali provvigioni siano diventate esigibili (NY CSL Labor Sect. 191-b, 2002)[150].

La sezione 191-c, precisa, inoltre, che al momento della risoluzione del contratto, tutte le provvigioni maturate dovranno essere pagate all’Agente entro cinque giorni lavorativi dalla data della stessa risoluzione, oppure entro cinque giorni lavorativi dal momento in cui diventino esigibili, qualora si tratti di commissioni maturate ma non dovute all’atto della risoluzione del contratto[151].

Il Preponente che non ottemperi alle disposizioni contenute nel presente articolo, sarà tenuto a pagare all’Agente una somma pari al doppio di quanto dovuto, più le spese di giudizio, le spese legali e gli eventuali ulteriori esborsi.

4.3 Le leggi sulle Pratiche Ingannevoli o Sleali (“Unfair or Deceptive Acts or Practices”)

Un ultima considerazione, ma non per questo meno rilevante, riguarda le c.d. Leggi sulle Pratiche Ingannevoli o Sleali.

Diversi Stati, infatti, oltre alle disposizioni legislative applicabili all’Agente di Commercio, prevedono specifiche norme, volte a classificare ed a regolamentare quei comportamenti e quelle pratiche commerciali considerate ingannevoli o sleali, e come tali, vietate.

Tali disposizioni, previste con l’obiettivo di tutelare il pubblico dei consumatori e i clienti del Preponente, dovranno essere tenute in seria considerazione e ad esse ci si dovrà attenere ogni qualvolta una azienda italiana intenda vendere le proprie merci negli Stati Uniti o desideri avvalersi di Agenti di Commercio in loco[152].

In alcuni casi, le leggi sulle Pratiche Ingannevoli o Sleali stabiliscono specifiche misure protettive, quali contratti scritti con i clienti, requisiti speciali per determinati settori industriali, e altro ancora. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte e, soprattutto, in considerazione delle significative differenze normative esistenti tra Stati Uniti ed Unione Europea in materia di Agenzia Commerciale, può risultare molto vantaggioso per le aziende italiane sottoporre il proprio contratto alle leggi statunitensi piuttosto che a quelle italiane.

4.4  l’Indennità di Fine Rapporto

Un altro aspetto importante, che differenzia il rapporto di Agenzia così come disciplinato negli Stati Uniti rispetto a quanto avviene in Italia, è il mancato riconoscimento del diritto dell’Agente all’ indennità di fine rapporto.

Salvo rare eccezioni (come è il caso dello Stato del Minnesota), le leggi statali americane non prevedono, infatti, che al momento della risoluzione del rapporto, l’Agente abbia diritto a percepire alcuna liquidazione, neppure nel caso in cui lo stesso rapporto sia stato risolto in assenza di giusta causa.

Nulla vieta, ovviamente, che le parti possano prevedere una tale disposizione all’ interno del loro contratto[153].

4.5 La legge Applicabile e Foro Competente

A prescindere dalla normativa statale applicabile al rapporto, è tuttavia, estremamente importante per l’operatore italiano cautelarsi attraverso la redazione di un documento scritto.

Quasi tutte le controversie (estremamente dispendiose), che negli Stati Uniti coinvolgono Agenti di Commercio sono originate dalla mancanza di un contratto adeguatamente e opportunamente redatto per iscritto, in cui siano stati disciplinati in maniera dettagliata tutti i principali aspetti a tutela del Preponente.

A questo riguardo, è quanto mai auspicabile predisporre e sottoscrivere una clausola che stabilisca non solo la legge applicabile al contratto ma che preveda, altresì, il Foro Competente in caso di controversie, oppure l’arbitrato o altra modalità alternativa di risoluzione[154].

Quanto alla legge applicabile, le scelte possono essere diverse: potrà farsi ricorso alla legge dello Stato americano nel quale risiede l’Agente, oppure a quella dello Stato nel quale l’Agente svolge la sua attività lavorativa, alla legge italiana (qualora il Preponente sia di nazionalità italiana), o a quella dello Stato nel quale il Preponente abbia la propria consociata americana.

Da un punto di vista pratico, tuttavia, sarà difficile riuscire a raggiungere un accordo con l’Agente sull’applicazione della legge italiana al rapporto commerciale in oggetto.

Per quanto riguarda la scelta del Foro Competente, molto più facile e, probabilmente, molto più opportuno anche per il Preponente italiano risulterà attribuire all’autorità giudiziaria statunitense la risoluzione delle eventuali controversie.

Infatti la capacità di queste ultime di fornire una rapida soluzione, facendo affidamento su leggi che non prevedono, in genere, alcuna indennità a favore dell’Agente in caso di risoluzione del rapporto, sono, infatti, uno dei motivi che suggeriscono una soluzione del genere[155].

Non va, altresì, sottovalutata la difficoltà di ottenere il riconoscimento negli Stati Uniti di una sentenza emessa da un tribunale italiano, mancando, al momento, nel quadro del Diritto Internazionale, una Convenzione tra i due Paesi in materia di riconoscimento di sentenze straniere.

Quanto alla opportunità di far ricorso all’arbitrato in sostituzione della vertenza giudiziaria, si tratta di una scelta che richiede una attenta valutazione da parte di entrambe le parti, consapevoli, da un lato che i costi saranno, comunque, superiori a quelli derivanti da un giudizio ordinario, ma dall’altro che l’eventuale sentenza arbitrale sarà automaticamente riconosciuta sia in Italia che negli Stati Uniti, secondo quanto previsto dalla Convenzione sul Riconoscimento e sulla Esecuzione delle Sentenze Arbitrali Straniere stipulata a New York il 10 giugno 1958 (vedi in apposito allegato sulle Convenzioni Internazionali).

Altrettanto importante è che il contratto disciplini in maniera esauriente i rispettivi obblighi previsti a carico di ciascuna Parte, nonché le conseguenze derivanti dall’eventuale loro inadempimento.

4.6  La Distribuzione Commerciale

Mentre il Contratto di Agenzia (di cui si è trattato sopra) forma oggetto, nella maggior parte degli Stati americani, di una specifica disciplina legislativa, la disciplina del Contratto di Distribuzione è, in linea di massima, lasciata alla libera determinazione delle Parti. Esistono, tuttavia, alcuni aspetti del rapporto di distribuzione che sono disciplinati dalle normative dei singoli Stati.

Occorre, pertanto, prestare particolare attenzione alle normative locali vigenti nello Stato in cui si intende eseguire il contratto[156].

Attraverso il Contratto di Distribuzione la Società italiana vende i propri prodotti ad un intermediario commerciale statunitense (distributore), il quale provvede poi alla loro successiva rivendita in un territorio determinato (normalmente concesso in via esclusiva) a proprio nome e per proprio conto.

Il ricorso alla distribuzione commerciale può risultare conveniente in quei casi in cui l’azienda italiana:

– non sia in grado da sola di penetrare il mercato statunitense;

– abbia la necessità di avvalersi della collaborazione di persone specializzate in un determinato settore commerciale;

– senta l’esigenza di ridurre al minimo o di eliminare i costi di vendita dei propri prodotti, che verranno così sostenuti dal solo distributore.

A differenza di quanto avviene nel rapporto di Agenzia, in cui l’Agente viene remunerato tramite provvigioni, nella distribuzione il compenso economico del distributore risulta dalla differenza tra il prezzo con il quale egli acquista i prodotti dal fornitore e quello al quale li rivende ai propri clienti. Negli Stati Uniti, così come avviene in Italia, il Distributore è considerato un imprenditore autonomo, dotato di una struttura indipendente rispetto a quella del fornitore.

AI fine, tuttavia, di evitare il rischio di incorrere in ipotesi di responsabilità conseguenti, ad esempio, al mancato pagamento delle tasse da parte del distributore americano o alla violazione, da parte di quest’ultimo, delle norme anti-trust nella distribuzione dei prodotti, è preferibile che l’azienda italiana provveda a sottolineare in maniera chiara, nel testo contrattuale, la sua assoluta indipendenza rispetto al distributore ed a specificare in maniera dettagliata i rispettivi obblighi assunti dalle Parti.

4.7  Il Prezzo dei Prodotti e l’esclusiva

Occorre, altresì, sottolineare come sia estremamente opportuno per l’azienda italiana specificare nel contratto che il prezzo al quale i prodotti vengono venduti” al distributore corrisponde al prezzo indicato nel listino preparato dal fornitore. L’applicazione a soggetti diversi di prezzi diversi per lo stesso prodotto costituisce, infatti, una violazione delle norme federali in tema di antitrust (sezione 2-a del Robinson Patmam Act). Altrettanto importante, sempre in tema di antitrust, è evitare l’imposizione al distributore di specifici prezzi di rivendita dei prodotti. Il mancato rispetto di questo principio (previsto espressamente dallo Sherman Act) potrebbe determinare la nullità della relativa clausola contrattuale.

In linea di massima, i contratti di distribuzione prevedono l’esclusiva territoriale a favore del distributore. Si tratta, tuttavia, di una scelta lasciata, ancora una volta, alla libera autonomia delle Parti, che possono anche optare per una soluzione diversa o subordinare l’esclusiva al raggiungimento di determinati obiettivi economici da parte del distributore[157].

4.8  La Garanzia sui Prodotti Venduti

Ai sensi dello Uniform CommerciaI Code[158], ogni venditore è tenuto, per legge, a garantire, oltre alla titolarità della merce, i seguenti requisiti:

– la merce da lui posta in vendita possiede tutte le caratteristiche e le qualità essenziali proprie di quel genere di prodotto (implied warranty of merchantability);

– la merce corrisponde all’eventuale scopo specifico per il quale è stata acquistata (implied fitness for a particular purpose).

Dovranno, pertanto, essere indicati in maniera molto precisa nel contratto, i termini e le condizioni della garanzia concessa dal fornitore, avendo cura di sottolineare l’assoluto divieto per il distributore di offrire ai propri clienti garanzie diverse o ulteriori rispetto a quelle previste nel contratto.

Va, altresì, evidenziata la possibilità per le Parti, e per il fornitore in particolare, di limitare o addirittura in alcuni casi di escludere l’operatività delle garanzie di cui sopra. AI riguardo, la normativa statale prevede il rispetto di alcune regole redazionali.

4.9  La Risoluzione del Rapporto e l’obbligo di non concorrenza

La durata del contratto di distribuzione è lasciata alla libera determinazione delle parti, che possono, pertanto, optare per un accordo a tempo indeterminato o prevedere, invece, un durata limitata nel tempo con possibilità, tuttavia, di rinnovo tacito.

In caso di contratti a tempo indeterminato, le parti sono comunque libere di recedere, notificando alla controparte la propria volontà di interrompere il rapporto e dando un congruo preavviso.

Dal momento che la legislazione di alcuni Stati non consente di terminare un rapporto di distribuzione senza una giusta causa, sarà opportuno provvedere ad indicare nel contratto in maniera dettagliata tutte le ipotesi che consentono alle parti di risolvere il contratto.

Occorre, infine, precisare che in alcuni casi, soprattutto qualora il contratto sia stato risolto dal fornitore entro breve tempo dalla sua stipulazione, i tribunali americani possono riconoscere al distributore il diritto ad un indennizzo che gli consenta di recuperare gli investimenti effettuati.

L’illegittima risoluzione anticipata di un contratto di distribuzione che preveda il diritto di esclusiva a favore del distributore consente, generalmente, a quest’ultimo di ottenere il risarcimento dei mancati guadagni.

Nei contratti di distribuzione si prevede spesso una clausola che disciplina il dovere, a carico del distributore, di non promuovere la vendita di prodotti simili a quelli contrattuali in una determinata zona e per un determinato periodo.

Tali clausole sono regolate in maniera diversa dai singoli Stati. Il divieto di concorrenza dovrà, perciò, essere circoscritto in maniera adeguata avendo riguardo al territorio di applicazione, alle attività oggetto del divieto e al periodo di tempo per il quale il divieto si intende applicabile[159].

CAPITOLO 4

Il  caso  Sun Motoyama Company e il caso Takase Trading Company

Sommario: – 1. Aspetti normativi e legislativi del Giappone: Attività di investimento ed insediamenti produttivi nel Paese;  – 2. La Sun Motoyama Co.; – 3. La Joint -venture tra l’azienda Sun Motoyama e l’azienda Etro; – 4. La struttura organizzativa e la contrattualistica; – 5. L’azienda Takase Trading Company: da grossista  a  importatore- grossista; – 6. La Takase Trading Company come importatore e distributore di prodotti italiani; – 7. La struttura organizzativa 

  1. Aspetti normativi e legislativi del Giappone: Attività di investimento ed insediamenti produttivi nel Paese

Il Giappone è una monarchia costituzionale, in cui l’Imperatore ha compiti quasi esclusivamente rappresentativi.

Il potere legislativo è esercitato dalla Dieta, composta da due camere elette a suffragio universale diretto. I 247 membri della Camera dei Consiglieri vengono eletti ogni 6 anni (ogni 3 anni un’elezione popolare assegna la metà dei seggi), mentre i 480 membri della Camera dei Rappresentanti vengono rinnovati ogni 4 anni.  Il potere esecutivo spetta al governo, responsabile verso la Dieta ma formalmente investito dall’Imperatore. La massima autorità del potere esecutivo è il Primo Ministro[160].

In merito alla disciplina privatistica dei contratti possiamo affermare chela redazione di un contratto di distribuzione non segue una regola ben precisa. Molto è affidato alle trattative tra le parti e ai rapporti di forza tra le stesse[161].

In linea di massima, se il contratto prevede una forma di esclusiva a favore del distributore, sarà normale porre a carico di quest’ultimo alcuni obblighi quali: acquisti minimi, di sviluppo del mercato, di investimenti in spese pubblicitarie, di attenzione all’immagine del prodotto, d’informazione a favore del produttore e così via.

Non esiste poi una netta distinzione fra il rapporto d’agenzia e quello di distribuzione, diversamenteda quanto accade in Italia[162].

Non esiste neanche una normativa specifica a favore degli agenti di commercio locali.

Molto è lasciato alla specifica natura del contratto, la cui risoluzione è spesso condizionata a un consistente obbligo di preavviso e alla giusta causa (in caso di contratto a tempo indeterminato).

Il formato del contratto di licenza non si distanzia da un tipico accordo di licenza internazionale. Può essere in esclusiva e non-esclusiva. Nel secondo caso, è possibile la registrazione del contratto all’Ufficio marchi e brevetti, che permette al licenzatario di utilizzare il marchio o brevetto anche nel caso sia stato ceduto a terzi. Nel caso della licenza esclusiva la registrazione all’Ufficio marchi e brevetti è obbligatoria e rende il licenzatario “monopolista del diritto

In merito poi alla legislazione societaria, l’Ufficio di rappresentanza: secondo la Legge fiscale societaria giapponese ( “Corporation Tax Law”) è un “luogo determinato costituito con lo scopo di svolgere attività non commerciali, come pubblicità, propaganda ecc., e promuovere le attività commerciali della propria casa madre in Giappone”.

Non è quindi necessario, per costituirne uno, alcuna autorizzazione o registrazione e non è soggetto a particolari tassazioni.

Se l’ufficio impiega dipendenti, deve inoltrare all’Ufficio tributario nazionale un avviso ed effettuare una ritenuta a titolo d’imposta sullo stipendio pagato al dipendente.

La filiale invece assume a tutti gli effetti il ruolo di creare utili e spese e ha una, seppur sfumata, autonomia rispetto alla casa madre straniera.

Deve nominare un rappresentante in Giappone, costituire una sede commerciale ed essere registrata presso il competente Ufficio affari legali (Legal Affaire Bureau) del Ministero della Giustizia entro tre settimane dalla data di apertura. La filiale, per la legge valutaria giapponese, è considerata un “investimento diretto in entrata” e segue la normativa relativa agli IDE.

Esistono poi quattro tipi di società: per azioni (kabushiki gaisha, abbr. KK), a responsabilità limitata (yugen gaisha, abbr. YK), in nome collettivo (gomei gaisha) e in accomandita semplice (goshi gaisha). Le ultime due sono poco utilizzate in Giappone, mentre le s.r.l., che possono essere costituite con un capitale minimo di tre milioni di yen, sono utilizzate per piccole attività commerciali a conduzione familiare. La normativa che regola le s.p.a. è molto complessa[163].

Infine per quanto riguarda gli investimenti esteri in Giappone non necessitano più di alcuna notifica preliminare, ma richiedono comunque una registrazione. Sebbene le restrizioni all’intervento dei capitali stranieri siano state abolite nel 1980, il governo esercita tuttora un attento controllo sugli investimenti esteri nel settore primario, nella raffinazione e distribuzione del petrolio, nel settore minerario e in altre industrie, limitando in genere al 50% la quota di partecipazione straniera[164].

Non è da trascurare inoltre che nel 1993 il governo giapponese ha ufficialmente approvato la costituzione delle FAZ (Foreign Access Zones), aree integrate e particolarmente strutturate volte a facilitare l’accesso di imprese straniere nel mercato interno. L’obiettivo è quello di promuovere le importazioni e gli investimenti diretti dall’estero fornendo, oltre a varie infrastrutture, anche diverse forme di trattamento preferenziale. Le FAZ sono localizzate presso i principali centri di ingresso delle merci straniere, quali porti e aeroporti[165].

  1. La Sun Motoyama Co.

L’azienda Sun Motoyama Co., Ltd viene costituita in 2 febbraio del 1955 su iniziativa di Choichiro Motoyama, figlio di un piccolo commerciante  di tessuti e di altri prodotti provenienti prevalentemente dall’America (come ad esempio, penne stilografiche, occhiali da sole, mazze da golf ecc.). Oggi il business principale è quello dell’importazione e della vendita di prodotti di alta gamma, dai capi di abbigliamento di prestigiose brand internazionali, agli accessori e agli articoli da regalo  fino agli elementi di arredo, prodotti principalmente nei principali paesi Europei[166]. Nei negozi Sun Motoyama, vengono venduti esclusivamente prodotti importati, poiché l’ottica aziendale ha un forte orientamento all’internazionalizzazione dei consumi. Intorno agli anni ’40, appena ventenne, il signor Motoyama (fondatore dell’azienda) viene inviato in Cina come soldato ed è in quell’occasione, che entra per la prima volta in contatto con la cultura occidentale ed in particolare con i prodotti provenienti dall’Europa[167].Nel 1962 l’incontro con Vasco Gucci determina l’inizio di un’intensa collaborazione tra l’azienda fiorentina e Motoyama e poco dopo viene stipulato un contratto di franchising, (che poi è stato rinnovato nel tempo e interrotto solo nel 1999),  per il diritto d’importazione e di vendita esclusiva sul mercato giapponese, dei prodotti Gucci. Viene aperto in quegli anni un negozio Gucci, interamente gestito ed organizzato dalla Sun Motoyama, situato  accanto al punto vendita principale  dell’azienda, in Ginza, ma da questo separato fisicamente.  L’azienda fiorentina, ha la possibilità di entrare in contatto con il mercato giapponese, di farsi conoscere ed essere apprezzata dai suoi consumatori, tramite un valido intermediario. Dall’altra parte Motoyama raggiunge uno degli obiettivi che si era preposto, quello cioè di arricchire il Giappone importando i migliori prodotti del mondo, in più l’accordo con la Gucci, gli conferisce un grandissimo vantaggio competitivo nei confronti dei suoi concorrenti, essendo il primo importatore di Gucci in Giappone.Successivamente, nel 1964 riesce ad entrare in contatto anche con la famiglia Ferragamo ed a stipulare un accordo per l’importazione e la vendita dei loro prodotti in Giappone. Una vicenda analoga, si verifica durante la sua visita in Francia, a Parigi; Motoyama conclude un contratto di importazione e vendita esclusiva con le aziende Hermes e Celine, mentre in Spagna si avvicina all’azienda Loewe.Così facendo mira ad importare in Giappone, non solo prodotti di alta classe e qualità, ma egli vuole avvicinare i giapponesi, all’arte dei paesi occidentali, alla loro cultura e storia. Uno dei credo del signor  Motoyama può essere sintetizzato nella seguente affermazione “i prodotti importati portano il segno delle tradizioni e delle culture dei relativi paesi che li hanno prodotti e rappresentano il modo migliore per comprenderne l’essenza”. Questa impostazione mentale, lo ha portato ad impegnarsi in numerosi progetti artistici, tra cui il più importante  riguarda la sua donazione per il restauro della Porta del Paradiso del Battistero a Firenze, (giugno1990) la città che tanto ha influito sulle sue attività commerciali e culturali[168].

Quando l’azienda fu costituita, un elemento centrale della missione aziendale della  Sun Motoyama era  dunque quello di contribuire alla diffusione della cultura occidentale in Giappone, mentre adesso  l’ottica è divenuta di più ampio raggio, orientandosi anche verso l’importazione di beni prodotti  nei vicini paesi asiatici, come l’Indonesia, la Malesia e la Tailandia, ma sempre provvedendo ad un’accurata selezione, per garantire la migliore qualità ai propri clienti. Inoltre, recentemente l’azienda ha allargato le sue attività   tramite l’esportazione dei prodotti “Made in Japan” in Europa e negli Stati Uniti, per realizzare un completo scambio culturale.In un primo momento, l’azienda Sun Motoyama, aprì dei suoi punti vendita presso i Department  Stores[169], con l’obiettivo di farsi conoscere e di conquistare un pubblico selezionato di consumatori, ma ben presto questa strategia venne abbandonata per adottarne invece una che puntava sulla creazione di negozi completamente indipendenti e capaci di conferire maggior prestigio all’azienda stessa[170]. Complessivamente, nel mondo esistono più di quaranta punti vendita Sun Motoyama, situati in diversi paesi, come Hawaii, Guam, Hong Kong e Singapore e l’obiettivo è quello di aprire propri punti vendita anche negli Stati Uniti e in Europa. La caratteristica fondamentale di questi negozi specializzati è quella di offrire una particolare gamma di prodotti selezionati e di alta classe, che vanno dai prodotti di abbigliamento agli accessori in pelle, ai tappeti orientali, agli elementi di arredo in cristallo o realizzati con legni pregiati fino addirittura a preziose confezioni di finissima cioccolata svizzera e francese. Tutti questi prodotti hanno come caratteristica  prioritaria, l’alta qualità e l’indiscusso prestigio.L’azienda ha poi deciso di differenziare i suoi punti vendita in due principali categorie; la prima che comprende i tre punti vendita sopramenzionati, che si trovano in particolari punti strategici del Giappone, Tokyo, Osaka e Karuizawa, tutte località altamente attrattive. Questi punti vendita sono caratterizzati da una dimensione maggiore e dalla vasta gamma di assortimento offerto. Mentre la seconda categoria, riguarda quei punti vendita situati in aree periferiche, lontano dalle grandi metropoli e caratterizzati  da una dimensioni minore e da una limitata offerta. Ad esempio a circa mille chilometri a nord di Tokyo, nella zona denominata Hokkaido, l’azienda Sun Motoyama ha recentemente aperto un piccolo “negozio-antenna”, specializzato  nella vendita di sole cravatte, per verificare il potenziale di successo su quel mercato così diverso da quello del resto del Giappone. Questi negozi costituiscono delle vere e proprie teste di ponte per procedere poi, in caso di esito positivo, all’apertura di più grandi negozi, con una gamma di prodotti offerti nettamente superiore.

  1. La Joint -venture tra l’azienda Sun Motoyama e l’azienda Etro

Nel 1988 l’azienda italiana Etro, crea una joint-venture con la Sun Motoyama, per garantirsi un più sicuro accesso al mercato giapponese (la prima strategia adottata dall’azienda Etro fu quella dell’importazione indiretta tramite la Mitsui Trading Company[171], ma successivamente questa scelta manifestò segni di inadeguatezza, rispetto alla strategia che l’azienda Etro si era proposta di perseguire, cioè una maggiore integrazione con il mercato nipponico) e il signor Motoyama diviene presidente della relativa società Etro Far East Co., Ltd[172]. Attualmente, esistono  trenta punti vendita Etro all’interno dei più importanti Department  Stores; questa rappresenta la prima mossa di una strategia volta ad attuare una maggiore presenza diretta nel paese. Operare tramite un Department  Store può essere infatti vantaggioso, solo in un primo momento, come trampolino di lancio, ma ben presto le gravose condizioni imposte dai Department  Stores non possono  essere accettate, (le commissioni richieste, per la concessione dello spazio di vendita, possono oscillare dal 30 al 50% del fatturato realizzato).  La seconda parte della strategia di integrazione con il mercato, per l’azienda Etro, si concretizzerà maggiormente il prossimo autunno con l’apertura di un negozio Etro, delle dimensioni di circa 1.000 metri quadri, nella popolare area di Shinjuku (che occupa la parte  nord-ovest di Tokyo).

  1. La struttura organizzativa e la contrattualistica

La struttura organizzativa esprime la modalità di ripartizione delle attività di impresa e deve armonizzarsi con la strategia e gli obiettivi perseguiti dall’azienda stessa. La struttura dell’azienda Sun Motoyama  è di tipo plurifunzionale, tale modello è caratterizzato da organi direttivi di primo livello specializzati per funzioni. Sono presenti nell’azienda tre aree funzionali principali: quella  amministrativa, quella commerciale e  quella del marketing e s’individuano tre livelli organizzativi:La direzione generale, al cui vertice troviamo il consiglio di amministrazione presieduto dal signor Motoyama e di cui fanno parte i responsabili delle tre arre funzionali e i consiglieri con deleghe operative in materia di gestione del personale, di gestione dei flussi informativi, ecc. Le direzioni delle unità funzionali. Le unità di venditaLa struttura organizzativa dell’azienda Sun Motoyama  si presenta quindi nel seguente modo:La funzione commerciale controlla e gestisce le tre principali unità di vendita giapponesi e il business dei negozi all’estero, garantendo un pieno collegamento interfunzionale, tramite lo scambio di flussi informativi. Per quanto riguarda i criteri di approvvigionamento, l’azienda si serve, oltre che dei suoi dodici buyers, anche delle trading companies per l’importazione dei prodotti nel paese.L’azienda Sun Motoyama è particolarmente legata alla Mitsui Trading Company, la quale è presente con dei propri uffici nei principali paesi europei e questo le conferisce una maggior potere di negoziazione e un notevole vantaggio in termini di conoscenza del mercato estero. Utilizzando la trading company, l’azienda Sun Motoyama   può così realizzare delle economie di costi fissi e nello stesso tempo la trading le garantisce  una maggiore stabilità finanziaria.L’azienda Sun Motoyama, ha svolto fino ad oggi un importante ruolo all’interno del mercato giapponese, occupando spesso la posizione di first mover, infatti grazie all’intraprendenza del signor Motoyama, l’azienda è stata la prima ad importare i prodotti  Gucci, Hermes, Celine in Giappone e questo le ha conferito un forte vantaggio competitivo nei confronti delle altre aziende sue concorrenti[173]. Altro fenomeno che contribuisce a erodere il vantaggio competitivo posseduto dall’azienda è la tendenza sempre più crescente avvertita dalle imprese straniere di  operare indipendentemente, sul mercato nipponico, aprendo propri ed esclusivi punti vendita[174].

I grandi nomi della moda internazionale  come Gucci ad esempio, hanno deciso di interrompere i rapporti  con i loro partner giapponesi, per gestire in piena autonomia un business veramente profittevole e soprattutto per incrementare  l’immagine di lusso e prestigio dell’azienda nella mente dei consumatori giapponesi.Nel gennaio del 2000 il contratto di franchising tra la Gucci e la Sun Motoyama si è concluso e non è stato rinnovato, per precisa volontà dell’azienda “italiana” la quale ha deciso di  perseguire una strategia di forte espansione sul mercato giapponese, tramite l’apertura di maestosi negozi nelle strade più “in” del paese.Una scelta analoga è stata fatta dall’azienda Prada, la quale con una strategia aggressiva di ingenti investimenti, si è imposta con successo sul mercato giapponese. L’azienda ha deciso di investire  dieci milioni di Yen (circa due miliardi di lire), nei prossimi tre anni, in un programma di espansione dei propri punti vendita, compresa l’apertura di un grande  negozio di mille metri quadri di superficie, nella centrale zona di Marunouchi, a Tokyo. L’azienda deve dunque fare i conti con una nuova realtà, dove il vantaggio competitivo non può più essere rappresentato dall’esclusiva di vendita dei prodotti delle grandi brands internazionali. L’attenzione della Sun Motoyama si sta spostando  su prodotti importati sempre di elevata qualità ma non griffati, che vengono selezionati accuratamente e sui quali viene sistemata l’etichetta di garanzia e qualità dell’azienda. Questi prodotti le garantiscono una maggiore autonomia decisionale in termini di strategie di prezzo e di promozione, rispetto ai prodotti delle grandi case di moda internazionale[175]. Un altro progetto aziendale, che è stato realizzato, consiste nella creazione di un club culturale per i propri clienti, dove sarà possibile riunirsi settimanalmente per partecipare a conferenze, esposizioni fotografiche, mostre di pittura, concerti, manifestazioni teatrali e inoltre esisterà la possibilità di viaggiare con particolari sconti. Questa iniziativa, non è isolata in Giappone, infatti i consumatori giapponesi sono abituati a frequentare questi club, fin dalla più tenera età, percependone chiaramente i benefici, specie sotto il profilo della garanzia di qualità del prodotto e si sono adattati bene alle limitazioni all’individualismo che l’adesione a qualsiasi club comporta.

Questi club testimoniano in che modo i prodotti e i servizi possono migliorare la qualità della vita dei consumatori giapponesi. L’azienda Sun Motoyama ha poi sempre tenuto presente, il ruolo sempre più importante che hanno assunto i paesi del sudest asiatico, (NIC, Newly Industrialized Countries), questi paesi sono passati rapidamente da realtà pre-capitalistiche a nazioni industrializzate per vari motivi. Soprattutto il Giappone ha contribuito a questo sviluppo industriale decentrando attività in queste zone, dove grandi masse di lavoratori erano (e sono) disponibili a costi irrisori. Molti produttori cinesi di abbigliamento maschile hanno, in questi ultimi anni, firmato contratti con esperti italiani per essere addestrati dal   punto di vista tecnico. Nel contempo, esperti giapponesi si occupano delle modifiche necessarie per dare la giusta vestibilità ai capi diretti al mercato nipponico[176]. Questi tipi di competitori non sono mai stati considerati in modo appropriato, poiché l’azienda ha da sempre puntato sul vantaggio competitivo conferitogli dalla selettività e dall’origine dei prodotti venduti, (made in Italy, France ecc.). Ma alla luce dei profondi cambiamenti degli ultimi anni e soprattutto della maggiore attenzione alla variabile prezzo da parte dei consumatori giapponesi, appare di estrema importanza considerare come competitori i prodotti provenienti dai NIC, (spesso il designer è italiano o francese, ecc, mentre la  produzione viene fatta nel paese asiatico, con tecnologie che il più delle volte non sono inferiori alle nostre)[177].

  1. L’azienda Takase Trading Company: da grossista  a  importatore- grossista

L’azienda nasce nel 1961 su iniziativa dell’attuale presidente  Takase Kouzou, il quale aveva avviato precedentemente un’attività di vendita all’ingrosso di prodotti alimentari, che commerciava principalmente con i mercati di Kyoto e di Tokyo. La sua attività si espanse velocemente e successivamente aprì un negozio a Osaka per la vendita all’ingrosso. In seguito ai risultati sempre più soddisfacenti, verso la metà degli anni ’80, iniziò ad operare anche come importatore di prodotti stranieri, di alta qualità, in Giappone, (trattando principalmente prodotti del settore alimentare), provenienti dai maggiori paesi europei (come Italia, Francia, Spagna, Norvegia ecc.). Uno degli obiettivi fondamentali dell’azienda è quello di diffondere i prodotti e la cultura occidentale in Giappone, è per questo che la Takase si è attivata non solo nella semplice importazione di prodotti stranieri ma anche nell’approfondimento della cultura dei vari paesi esteri tra i suoi clienti giapponesi. Nel 1992 l’azienda ha ricevuto un riconoscimento dal governo francese, per l’impegno dimostrato nella divulgazione della cucina francese in Giappone[178]. La Takase, oggi importa direttamente l’80% dei prodotti e per la restante parte si affida ad altri importatori specializzati  in prodotti che  appartengono al settore caseario. Infatti questa categoria di prodotti richiede delle particolari autorizzazioni governative, per essere importata in Giappone ed anche maggiori competenze tecniche per il trasporto e lo stoccaggio, data la rapida deperibilità  del prodotto.Il passaggio successivo, consiste nella distribuzione, (che viene gestita direttamente), di una parte dei prodotti importati o acquistati dagli importatori ad essa collegati da relazioni contrattuali di lunga durata, verso gli operatori della ristorazione. I clienti dell’azienda non sono, infatti, i dettaglianti al minuto, ma sono i ristoranti, gli albergatori, i pub, le mense delle scuole, delle industrie e  degli ospedali ecc. Nell’azienda sono presenti 450 rappresentanti esclusivi, suddivisi per diverse aree geografiche, i quali sono incaricati della stipulazione dei contratti con i vari clienti. Ma l’azienda opera, anche attraverso la stipulazione di contratti di distribuzione  con  grossisti indipendenti; una parte degli articoli trattati vengono consegnati ai grossisti di primo livello i quali si occupano della distribuzione ai grossisti di secondo livello, suddivisi per regione, che trasferiscono i prodotti ai ristoranti, agli alberghi ecc..L’azienda Takase possiede dei propri  centri di raccolta e di magazzinaggio, situati presso l’aeroporto di Narita, è da qui che ogni giorno partono i camion  per distribuire la merce  in tutto il paese e  questo permette all’azienda di operare efficacemente anche  come grossista[179]. I vantaggi dell’adozione di tale tecnologia sono riscontrabili in termini di riduzioni di costo e di aumento delle informazioni e dei dati a disposizione. Infatti, l’impiego del sistema POS-scanner consente di memorizzare una notevole quantità di dati e di informazioni in forza dei quali è possibile valutare gli  effetti di eventuali politiche promozionali, ridurre al minimo gli inventari fisici e i livelli di scorte, si può procedere così ad un riordino automatico delle merci.L’introduzione di questa tecnologia applicata ai centri di raccolta della Takase, diventa un fattore determinante ai fini dello sviluppo aziendale, in quanto consente una maggiore flessibilità nella gestione e nel controllo dei processi organizzativi della distribuzione ed una più elevata produttività dei singoli centri, sia mediante un miglioramento del servizio stesso[180]. Vengono assegnati dieci agenti per ogni area, i quali hanno il compito di visitare i vari operatori della ristorazione, presentare i prodotti offerti e successivamente raccogliere gli ordini.

  1. La Takase Trading Company come importatore e distributore di prodotti italiani

L’azienda ha cominciato ad importare prodotti italiani circa 13 anni fa, contattando direttamente i produttori italiani, che non avrebbero  certo immaginato il grande successo registrato sul finire degli anni ’80.I principali prodotti importati dal nostro paese sono: la pasta (dall’Emilia Romagna), l’olio (dalla Toscana e dall’Umbria), l’aceto balsamico (da Modena), il prosciutto di Parma, il parmigiano, il pomodoro in scatola (dalla Campania), il pesto genovese e soprattutto il vino (dal Piemonte). In questi ultimi anni, sono aumenti a vista d’occhi il numero dei ristoranti italiani ed anche nei supermercati ci sono interi scaffali dedicati ai prodotti “made in Italy”[181].  Uno dei motivi del grande  successo della cucina italiana in Giappone risiede nel fatto che questa è sicuramente più economica di quella francese, che  in un primo momento ebbe una grande presa sul consumatore giapponese,  costantemente alla ricerca di  prodotti prestigiosi. Inoltre, la cucina italiana è più leggera, più facili, più giovane. Il sistema distributivo, di cui si avvale la Takase, per la consegna dei prodotti importati, in tutto il Giappone, garantisce all’azienda il rispetto della strategia di Corporate. In particolare, la semplicità del sistema, distribuendo per l’80% i prodotti direttamente agli operatori della ristorazione, contribuisce ad avvicinare l’azienda ai suoi clienti, permettendo una più pronta risposta alle loro necessità e alle loro richieste[182]. L’attenzione al servizio comprende anche l’informazione che l’azienda fornisce ai suoi clienti, al riguardo di nuovi tipi di prodotti o di nuovi metodi d’uso dei prodotti. La Takase si è già da qualche anno impegnata nella realizzazione di un catalogo dove vengono non solo indicati le diverse linee di prodotti offerte, ma anche le ricette tradizionali, le combinazioni migliori tra i vari articoli e le informazioni nutrizionali.

  1. La struttura organizzativa

L’ossatura di base dell’azienda Takase, necessaria per regolare lo svolgimento delle attività con cui si realizza l’oggetto sociale aziendale e si perseguono i corrispondenti obiettivi è di tipo plurifunzionale e si articola in quattro funzioni fondamentali.Alla direzione generale è affidato il compito di amministrare l’azienda come un sistema unitario, elaborando le decisioni strategiche e coordinando l’operato delle aree funzionali. L’azienda presenta, quattro funzioni principali, che sono rispettivamente: quella del personale, quella commerciale, quella amministrativa e quella di marketing/vendite. Quest’ultima è poi suddivisa per prodotti ed è presente una particolare divisione, che si occupa della ricerca e dello sviluppo dei nuovi prodotti. La Takase è sempre alla continua ricerca di nuovi prodotti da importare sul mercato nipponico e recentemente  ha focalizzato la sua attenzione anche su prodotti non alimentari, ma legati alla cucina, come stoviglie, piatti, vassoi, bicchieri per fornire un equipaggiamento completo per  ristoranti,  alberghi, pub, ecc. Altro importante ruolo svolto dalla funzione marketing riguarda  la  politica promozionale; l’azienda ha creato un apposito ufficio all’interno della  suddetta funzione, con il preciso compito di organizzare e gestire tutta una serie di manifestazioni per la degustazione di specialità culinarie[183]. Accanto agli organi di “line” è presente anche un organo in posizione di “staff” all’attività della direzione generale per la progettazione e il controllo di tutte le attività aziendali. Questo organo opera al fianco della direzione generale ma mai al suo interno, perché ad esso non è  riconosciuto alcun potere decisionale.

La sua presenza comporta effetti positivi a tutta la struttura, poiché l’assistenza e la collaborazione di persona altamente specializzate in determinati settori consente, da un lato, di affrontare l’analisi di problemi complessi con la competenza necessaria, dall’altro, di alleggerire il carico di lavoro degli organi di line.La funzione commerciale è suddivisa in quattro aree geografiche di riferimento, che comprendono l’intero Giappone da nord a sud, incluse le isole (Hokkaido, Honshu, Shikoku, Kyushu)[184]. Un ovvio punto di forza della struttura plurifunzionale è costituito dalla specializzazione  per funzioni. Ne  deriva che ciascun responsabile di funzione è in grado di dedicare la massima attenzione allo sviluppo delle capacità personali dei suoi collaboratori e dipendenti, anche attraverso la selezione e l’addestramento; egli riunisce così nel medesimo dipartimento persone con conoscenze e abilità omogenee e contribuisce ad accrescere la loro competenza e professionalità, favorendo il continuo interscambio di idee e di esperienze. Un secondo punto di forza  che la Takase ottiene tramite l’utilizzo della struttura plurifunzionale, consiste nell’evitare le inutili duplicazioni  e permette di sfruttare le economie di scala connesse alle varie specializzazioni. Inoltre, raggruppando tutte le fasi di un unico tipo di lavoro, il responsabile della funzione, è in grado di coordinare al meglio le varie operazioni che esso richiede. Concludendo, si può affermare che l’azienda Takase  è riuscita con la struttura organizzativa, a garantire l’efficienza e l’economicità dei processi di gestione, in quanto viene evitata la proliferazione di organi e di risorse non sempre economicamente utilizzate o, in altri termini, minimizza le quantità di risorse aventi una data specializzazione.

Le politiche di marketing adottate dall’azienda Takase vengono integrate e coordinate in modo molto efficace, avendo già descritto le caratteristiche della rete distributiva[185]. Quello che caratterizza l’azienda  è la necessità di esaminare la variabile prodotto nella sua complessità. Ogni singolo prodotto, infatti, partecipa alla definizione dell’immagine aziendale e, più in generale, di quello stile di vita che i clienti dell’azienda desiderano trovare nella gamma offerta. I prodotti, infatti non sono valutati solamente in termini di prestazione offerta, ma anche, e soprattutto, in termini di contenuti immateriali. Questa politica è stata scelta per spingere in alto i consumi e non deprimere le vendite aziendali.La Takase è estremamente  ottimista circa la crescita del suo business nel mercato giapponese. Tutti i principali indicatori fanno presumere una crescita ancora maggiore nei prossimi anni. L’azienda intende perseguire la strategia che ha guidato e orientato tutte le sue attività negli ultimi dieci anni, cercando di potenziare ancora di più dell’alta qualità dei prodotti e del servizio al cliente.

CONCLUSIONI

Per concludere possiamo affermare che si ha concessione di vendita quando un soggetto, detto concedente, concede ad un altro soggetto, detto concessionario il potere di distribuire i propri prodotti dopo averli acquistati.

La concessione di vendita è un contratto atipico, non previsto direttamente dal codice civile o da altre disposizioni normative, ma nato dalla pratica commerciale.

Essendo un contratto atipico, le disposizioni del codice civile applicabili sono quelle relative al contratto in generale, ovvero gli artt. 1321 – 1469- sexies, le norme sulla somministrazione (artt. 1559 e seguenti), quelle in tema di mandato (artt. 1703 e seguenti) e di agenzia (artt. 1742 e seguenti).

Sia il cedente che il cessionario sono imprenditori.

Il cessionario si obbliga ad acquistare determinati prodotti dal concedente, a venderli ed a promuoverne la commercializzazione.

Il concedente attribuisce al concessionario una posizione favorevole nella commercializzazione del prodotto, che può consistere in diverse attività, quali ad esempio venderli in esclusiva, concedergli l’uso del marchio etc.

La concessione di vendita fa nascere così un rapporto complesso di scambio e di collaborazione, connessi l’uno con l’altro.

Trattandosi di un contratto atipico, si applicheranno le disposizioni ciclistiche di altre figure contrattuali tipizzate, se e in quanto compatibili con la disciplina del contratto di concessione di vendita.

Una delle principali difficoltà incontrate dagli operatori del commercio internazionale quindi quando negoziano un contratto di concessione di vendita per l’estero, consiste nella carenza di norme uniformi dirette a disciplinare gli obblighi e i diritti dei contraenti.

È dunque di notevole importanza la novità introdotta con il Modello ICC, che fissa delle regole contrattuali uniformi sulla base della prassi prevalente nel commercio internazionale, è di tipo flessibile, tale da consentire alle parti di tener conto della varietà delle legislazioni come pure di scegliere la legge nazionale regolatrice del contratto.


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[1] Secondo la disciplina dettata dal nostro codice civile all’art. 1321, il contratto è definito “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Altri ordinamenti giuridici offrono sostanzialmente analoghe definizioni: per il codice civile francese (art. 1101) il contratto è infatti “une convention par la quelle une ou plusieurs personnes s’obligent, envers une ou plusieurs autres, à donner, à faire ou à ne pas faire quelque chose”, e per il diritto civile spagnolo (art. 1254 cod.civ.) “el contrato esiste desde una o varias personas consiesten en obligarse, respecto de otra u otras, a dar alguna cosa o prestar algun servicio”. Bonell M., An international restatement of contract law: the UNIDROIT principles of international commercial contracts Irvington NY, 2005.

[2] Il contratto assume un ruolo fondamentale nel commercio internazionale, alla luce delle profonde differenze che possono ostacolare gli operatori commerciali nella loro comunicazione e collaborazione: tali differenze, di tipo comportamentale, culturale, politico e giuridico, rendono complicati i rapporti economici tra imprese appartenenti a diversi Stati, in assenza di una regolamentazione che abbia ad oggetto ogni singola attività posta in essere dalle parti, dalla fase delle trattative alla conclusione ed esecuzione del contratto, fino alla risoluzione di eventuali controversie. In quest’ottica appare ancora più importante cercare di individuare delle tecniche di redazione dei contratti, al fine di predisporre accordi volti a disciplinare rapporti esterni al sistema giuridico italiano, il cui complesso normativo può rivelarsi inadeguato per la complessità e atipicità che involgono i rapporti economici tra parti di Nazioni diverse. Cfr. Sirri M., I contratti di distribuzione nei mercati esteri Santarcangelo di Romagna 2004.

[3] Compravendita, appalto, consulenza.

[4] Ad esempio il contratto di agenzia ovvero l’attività dell’agente di commercio consiste nel promuovere per conto dell’azienda mandante, (il Fabbricante o il Preponente), ma in nome proprio, la conclusione di contratti in modo continuativo con la potenziale clientela ubicata in un determinato territorio. L’agente, quindi, si preoccupa di sollecitare ordini da clienti in un dato territorio, dietro pagamento di un corrispettivo (provvigione) che, normalmente, matura con la conclusione o l’esecuzione (c.d. “buon fine”) dell’affare procurato dall’agente. L’attività dell’agente che viene svolta, come sopra accennato, in maniera stabile, non va confusa con l’attività di intermediazione svolta dai cosiddetti procacciatori d’affari ed altri intermediari occasionali e/o con quella del rappresentante che promuove le vendite in un dato territorio ma in nome e per conto del Fabbricante e non, quindi, in nome proprio. Altre figure sono la distribuzione, commissione, concessione. Bortolotti F., Contratti di agenzia e di distribuzione nell’Unione Europea: l’indennità dovuta in corso di cessazione, in Contratto e impresa. Europa fasc. 2, 2001, p. 818-921.

[5] Sub-fornitura, trasferimento di know-how, joint venture.

[6] (Chi trasferisce il suo know-how, accettando di essere pagato con royalties proporzionali al fatturato generato dalla vendita ai consumatori dei prodotti manufatturati in base a tale know how, sa che la sua remunerazione dipenderà dalla capacità del suo partner di produrre e vendere. Nella joint venture i partner sono in genere addirittura “soci” di una società, e la loro qualità li porta quindi a condividere appieno e geneticamente utili e perdite). Maggio L., Guida sui contratti di distribuzione e franchising, Vicenza 2003.

[7] Secondo l’accezione generale, il contratto internazionale è l’accordo tra parti appartenenti a diversi Paesi. Con tale negozio viene dunque posta in essere una relazione giuridica ed economica tra soggetti appartenenti a sistemi giuridici differenti. Il contratto internazionale, in sostanza, assume la valenza di strumento degli operatori economici che agiscono con partners stranieri, su base continuativa e per periodi di breve o lunga durata. Dassi A., I contratti di distribuzione, Assago  2003.

[8] Un’attenta redazione delle clausole inerenti l’esclusiva e l’obbligo di non concorrenza comporterà facilmente il perseguimento dell’obiettivo indicato. Di pari importanza appaiono le informazioni che la controparte straniera può fornire sulla situazione del mercato locale, sulla concorrenza, sulla clientela, nonché sul gradimento del prodotto.

[9] Tale previsione avrà la finalità di verificare che l’altra parte adempia effettivamente ai suoi obblighi e che rispetti le scelte di politica commerciale.

[10] Comba D., Contratti internazionali: modelli ed esempi, Milano 2005.

[11] Nella prassi commerciale, in cui gli operatori danno vita ad accordi che il più delle volte non sono espressamente previsti dagli ordinamenti giuridici, come già evidenziato in precedenza, appare più conveniente rifarsi agli schemi ispirati alla common law. Bortolotti, F.,: La redazione dei contratti internazionali : modelli di contratto, schede paese ed altri materiali,  Padova 2002.

[12] l’assoggettamento del contratto ad un ordinamento giuridico piuttosto che un altro incida sensibilmente sui suoi contenuti, non solo per quanto riguarda tutti quei punti che non sono stati regolati dalle parti, in quanto tutto ciò che non è previsto dal contratto troverà regolamentazione nella legge (ed il contratto evidentemente verrà integrato da una differente normativa, a seconda della legge che ad esso si applica), ma anche con riguardo a quegli aspetti espressamente disciplinati che vadano a scontrarsi con norme di carattere imperativo, che come tali si imporranno sulle pattuizioni delle parti. Bianchi M., I contratti internazionali: tecniche di redazione e clausole contrattuali, Milano 2005.

[13] E’ comunque più conveniente l’uso della forma scritta, perché attraverso tale uso, e tramite la redazione di clausole dettagliate, si può derogare a norme di legge dispositive che possono risultare gravose e che sarebbero applicabili in assenza di deroga espressa. Ogni clausola deve essere redatta in modo tale da non dare adito ad interpretazioni difformi. Può essere utile verificarne l’univocità di significato analizzandola dal punto di vista della controparte in malafede: in questo modo si eviteranno brutte sorprese.

[14] L’inserimento di clausole poco chiare, di termini con significati ambivalenti, o di definizioni che non trovano riscontro nel diritto concreto applicabile al contratto, contribuirà a generare una situazione di incertezza riguardo l’interpretazione dello stesso che nuocerà ai rapporti tra le parti. Buona prassi è ad esempio, quella di aprire il contratto con una premessa nella quale vengono inserite una serie di “clausole definitorie” che esplicitano il significato di ogni termine che compare nel testo del contratto e definiscono chiaramente quali sono gli interessi delle parti e lo scopo che si intende realizzare attraverso il contratto. I termini impiegati in questa sezione dovranno essere particolarmente semplici, chiari e di uso corrente e comunque, al fine di evitare qualunque malinteso sul loro significato, è opportuno inserire uno specifico articolo con funzione esplicativa della terminologia utilizzata. Negli USA è ricorrente l’inserimento nei contratti di un trafiletto in cui le parti specificano che ciascuna di esse ha contribuito in egual misura alla redazione del testo dell’accordo, e che entrambe hanno eguali possibilità di rivederne il contenuto. Questo particolare accorgimento evita che la parte contrattualmente più forte (che è anche quella che di norma predispone la bozza contrattuale), possa sfruttare la propria posizione a svantaggio della parte più debole.

[15] La regola della forma scritta del contratto internazionale potrebbe sembrare ovvia nei Paesi di common law, non lo è affatto in molti Paesi di civil law, dove ad esempio, per talune tipologie di contratti non viene richiesta la forma scritta, per cui anche una pattuizione conclusa in forma verbale può perfezionare la conclusione del contratto. I giuristi dei Paesi di civil law sono inoltre abituati a redigere dei contratti molto sintetici, in quanto i rispettivi ordinamenti prevedono di solito norme di legge integrative e suppletive che ne completano i contenuti e che li scoraggiano dal redigere pattuizioni troppo articolate. Viceversa, nei Paesi di common law, l’assenza di codificazioni simili a quelle presenti nei Paesi di civil law, ha favorito lo svilupparsi della tendenza alla redazione di contratti completi e “autosufficienti”, ricchi di clausole precise e puntigliose, in cui vengono elencate una lunga serie di definizioni, principi e procedure, che nei Paesi di diritto positivo potrebbe sembrare superflue. David A., Le droit du commer ce international, Paris, 1987.

[16] L’importanza della lingua è fondamentale, se si pensa, ad esempio, che nel nostro ordinamento la mancata comprensione del testo redatto in lingua sconosciuta al destinatario può configurare un’ipotesi di annullabilità del contratto per errore.

[17] A titolo di esempio si può citare il caso di una negoziazione, avvenuta nell’ambito della alla Fiera di Hannover (in Germania), tra un commerciante portoghese che ordinò delle merci ad un commerciante tedesco. Durante le negoziazioni, condotte in lingua inglese, la parte portoghese firmò un documento contrattuale (in inglese), che rinviava alle condizioni generali della parte tedesca, redatte in tedesco e contenenti una clausola attributiva di giurisdizione in favore della parte tedesca. La Corte d’appello di Stuttgard, investita ai sensi di tale clausola del compito di definire la controversia, si dichiarò incompetente in quanto la clausola di deroga del foro non poteva ritenersi inclusa nel contratto, essendo redatta in una lingua (il tedesco), diversa da quella che regolava il contratto (l’inglese). Cfr. Jayme E., “Langue et Droit“, Rapport général, Congrès de Droit Comparé, Bristol 1998.

[18] Nel caso di utilizzo di una lingua unica straniera, è necessaria l’assistenza di una persona qualificata, che comprenda nel modo più appropriato i termini giuridici utilizzati nell’ordinamento giuridico della controparte. In caso di utilizzo, da parte di due contraenti, di due lingue diverse, ci si espone alla possibilità di dare una difforme interpretazione al testo contrattuale, con gravi conseguenze qualora dovesse insorgere una controversia. Anche se si dovesse optare per quest’ultima soluzione, è opportuno l’intervento di un giurista che sappia interpretare il corretto significato delle disposizioni contrattuali e prevenire in tal modo inconvenienti. La soluzione preferibile sarebbe quella di dare ad un solo testo valore di testo facente fede, considerando quello straniero come mera traduzione non ufficiale. Lando – Beale A., Principles of European Contract Law.Part I and II, The Hague, 1999.

[19] “ Articolo … – DICHIARAZIONI E GARANZIE (Representations and warranties) ….… 1 – La Società X dichiara e garantisce a Y quanto segue:

…1.2 –Ogni autorizzazione ed approvazione da parte delle autorità competenti dello Stato Z, strettamente connesse alla validità, all’efficacia ed alla sottoscrizione del presente contratto, sono state già regolarmente richieste ed ottenute (o verranno ottenute al Closing Date).

…1.3 – Ogni pagamento ed onere relativo ad imposte e tasse è già stato corrisposto dalla Società X.

…1.4 – Ogni dichiarazione e garanzia resa nel presente atto dalla Società X corrisponde al vero e non contiene affermazioni mendaci sull’esistenza o sulla non sussistenza di qualsiasi fatto o circostanza…”.

[20] Nei principi dei contratti commerciali opera dell’UNIDROIT alla nozione di internazionale, vi si legge, va data “l’interpretazione più ampia possibile, così da escluderne soltanto le situazioni di fatto ove tutti gli elementi rilevanti del contratto siano collegati con un solo paese. Il riferimento più diffuso è quello della  sede di affari in Stati diversi (art. 1 Convenzione delle Nazioni Unite riguardanti i contratti di vendita internazionale di merce), ma spesso si ricorre alla presenza di collegamenti significativi con più Stati e ad altre espressioni analoghe. Un dato è comunque scontato: non è sufficiente la volontà delle parti a rendere internazionale un contratto, come del resto ci ricorda, anche se in modo molto contorto, l’art. 3, comma 3°, della Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. La legge svizzera di diritto internazionale privato, in vigore da dieci anni, per stabilirne la rilevanza normativa, usa l’espressione: l’ambito internazionale. Si tratta di una perifrasi usata dal legislatore per richiamare l’oggetto del collegamento, cioè la fattispecie che presenti elementi oggettivi di contatto con una pluralità di sistemi giuridici. Principi dei contratti internazionali, Roma, 1995. Dal 1995 l’UNIDROIT pubblica una preziosa rivista (Uniform Law Review, Revue de droit uniforme) che approfondisce in modo particolare i problemi dell’integrazione giuridica nel commercio internazionale. Rinvio anche agli studi apparsi nel volume edito di Bonell-Bonelli A., Contratti commerciali internazionali e principi UNIDROIT, Milano, 1997, nonché a Frignani C., Il contratto internazionale, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, XII, Padova, 1990; Carbone-Luzzatto c., Il contratto internazionale, Torino, 1994; Bortolotti A., Diritto dei contratti internazionali, v. I, Padova, 1997, v. II, (Modelli di contratto, condizioni generali), Padova, 1998; cfr anche i volumi pubblicati nella Collana di diritto e prassi degli scambi internazionali dell’ISDACI, Milano, v. I, 1991: v., in particolare, gli scritti apparsi nel vol. 5, Le garanzie contrattuali, Milano, 1994

[21] Ogni chiarimento e puntualizzazione, come sopra delineato, di derivazione prettamente anglosassone, rende più comprensibili il contenuto dell’accordo e le intenzioni dei contraenti. Langen A., Studien zum internationalen Wirtschaftsrecht, München u. Berlin, 1963, p. 23 ss.

[22] Altra caratteristica frequente è l’inserimento della clausola di Representations and Warranties, con cui le parti intendono garantirsi in caso di inesistenza o inesattezza di qualche dichiarazione formulata nella fase precontrattuale, compresa nel testo del contratto, che potrebbe compromettere la validità dell’atto o la sua regolare esecuzione. Cecchini, G., L’ interpretazione dei contratti internazionali, Gorizia 2003.

[23] La disposizione contrattuale può avere un’efficacia limitata nel tempo, imponendo all’altro contraente un onere di diligenza, ossia di accertare, nel termine stabilito, l’inesistenza o inesattezza delle garanzie e delle dichiarazioni.

[24] In ogni caso è opportuno che le parti individuino compiutamente quali eventi devono verificarsi per la piena efficacia del contratto e disciplinino il caso in cui detti eventi non si verifichino entro il termine stabilito.

[25] “ ARTICOLO …. – CLOSING

…1 – Luogo e data del closing ogni transazione contenuta nel presente atto sarà perfezionata in ……., presso la sede della Società …., in data ……., e dovrà intendersi valida ed efficace a decorrere dalla suddetta data.

…2 – Adempimenti da eseguire alla data del closing.

Alla data del closing le Parti dovranno porre in essere le seguenti attività:

…3 – Modalità da seguire in caso di mancato verificarsi del closing.

Qualora uno degli adempimenti previsti all’art. …2 del presente contratto non dovesse essere effettuato per l’insorgenza di un disaccordo tra le Parti, o comunque la data indicata al punto …1 del presente contratto non dovesse essere rispettata, le Parti dovranno ……. Qualora alcun accordo dovesse comunque essere raggiunto, ciascuna delle Parti avrà diritto a risolvere il presente contratto, salvo il diritto di richiedere il risarcimento dei danni sofferti, nel caso in cui la risoluzione sia diretta conseguenza di un grave inadempimento dell’altra Parte….”.

[26] Può essere inoltre fissato un prezzo minimo a tutela del venditore (floor price) ed un prezzo massimo a favore del compratore. Per la determinazione delle modalità di pagamento sarà necessario specificare la valuta, tenendo conto della sua convertibilità e dei rischi di cambio, attraverso clausole con le quali le parti utilizzano una valuta più stabile o con le quali si stabilisce un rapporto di cambio prefissato tra due valute: tale tasso verrà sottoposto a revisione in caso di scostamenti tra tale rapporto che superino un livello di riduzione o aumento di prezzo predeterminato.

[27] Cassano g., I contratti di distribuzione. Agenzia, mediazione, promozione finanziaria, concessione di vendita, franchising, Milano, 2006.

[28] Questa esigenza è diversamente sentita nei paesi di common law, rispetto a quelli di civil law. “I contratti del mondo anglosassone, per esigenze proprie del common law, assomigliano per dimensioni sempre più spesso a romanzi. Da noi, invece spesso sono sufficienti poche pagine, perché vige la regola dell’integrazione normativa (se non scrivo, si applica la legge); tuttavia, se non si scrive a sufficienza pare che il contratto non abbia la dignità di essere chiamato tale (non meno di dieci pagine, raccomandava uno), e così si ricopiano articoli del codice civile, o si usano espressioni proprie di altri ordinamenti, che spesso generano solo confusione.”, tratto da “SUMMA”, n. 11, Maggio 2003, Anno XX, pag. 46 e ss. – Stefano Marchese, “Il diritto delle imprese nei mercati internazionali: limiti e necessità” – XXXI° Congresso Nazionale dei Ragionieri Commercialisti. Ed ancora “la ricerca spasmodica del dettaglio tipica dei contratti di ‘common law’ spinge le parti a regolamentare degli aspetti che non sono codificati neppure, ad esempio, in diritto svizzero, fornendo così delle risposte a delle domande che spesso il contrattualista di estrazione continentale non si pone neppure, dando per scontati troppi aspetti”, tratto da M. Pedrazzini, atti del seminario sugli “International Agreements” tenutosi a Lugano il 10 dicembre 1997.

[29] Alcuni degli strumenti elaborati per ovviare, almeno in parte, a tale problema, sono rappresentati dalla convenzione internazionale di diritto internazionale privato e dal diritto materiale uniforme. Mediante il primo strumento si introducono nei singoli ordinamenti nazionali degli Stati-parte della convenzione criteri identici di risoluzione dei conflitti di legge, in modo da ottenere, a prescindere da quale sia il giudice che per primo è investito della questione, soluzioni identiche in termini di individuazione della legge regolatrice e di foro competente. Tali norme si limitano quindi ad individuare il diritto di uno Stato contraente della Convenzione stessa, il quale viene dichiarato applicabile alle questioni presentanti elementi di internazionalità (e quindi tali da determinare un conflitto di leggi) indicate dalla Convenzione stessa. A differenza delle Convenzioni di diritto internazionale privato, il diritto materiale uniforme invece disciplina direttamente diritti ed obblighi delle parti e reca norme che, per la loro specialità, prevalgono su qualsiasi norma di diritto internazionale privato. L’esempio tipico è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di cose mobili, che non si limita a rinviare al diritto di uno Stato contraente quale diritto applicabile, ma fornisce direttamente al giudice o all’arbitro i criteri per dirimere la controversia. (“Le norme di diritto materiale sono da considerarsi speciali perché risolvono ‘direttamente’ le questioni sostanziali su cui verte la controversia, ossia evitando il doppio passaggio, consistente nell’individuazione del diritto applicabile prima e nell’applicazione poi dello stesso, che sempre si rende necessario quando si fa ricorso al diritto internazionale privato.), Tribunale Padova – Sez. Este, causa Ostroznik Savo v. La Faraona soc. coop. a.r.l., 11.01.2005.

[30] Karla C. Shippey,”A short course in International Contracts” Ed. World Trade Press, pag. 5 e ss.

[31] Molti di questi paesi prevedevano una doppia disciplina: una per i contratti tra parti entrambe residenti ed una per i contratti conclusi tra residenti e soggetti appartenenti ad ordinamenti stranieri. E’ stato il caso ad es. della Cina fino al 1° ottobre 2000, data di promulgazione della nuova legge sui contratti, che ha abrogato la disciplina previgente, basata su una regolamentazione diversificata dei contratti conclusi tra residenti e quelli conclusi tra persone fisiche e giuridiche cinesi e non residenti, regolati questi ultimi dalla “Foreign Economic Contract Law” (FECL).

[32] Indira Carr, “Principles of International Trade Law”, Cavendish Publishing Ltd., London – 1999, pag. 314 e ss.

[33] L’articolo 145 dei Principi generali di Diritto Civile della Repubblica popolare di Cina (promulgati con l’Ordine No. 37 del 12 aprile 1986, ed in vigore dal 1° gennaio 1987) afferma che “le parti di un contratto che coinvolge interessi stranieri possono scegliere la legge applicabile alla definizione delle loro dispute contrattuali, salvo la legge non disponga altrimenti”.

[34] Ai sensi dell’art. 7 (1) della legge di diritto internazionale privato giapponese (Law on the Application of Laws, 1898), è stabilito che: “Per quanto concerne la formazione e gli effetti di un atto giuridico, la questione relativa al diritto che li regola è determinata dall’intenzione delle parti “.

[35] Lord Wilberforce, Lord Mackay of Clashfern, “Debate on the third reading of the Contracts (Applicable Law) Bill”, Londra, 24 aprile 1990.

[36] Berger A., The CENTRAL-List of Principles, Rules and Standards of the Lex Mercatoria, in Transnational law in commercial legal practice, The Hague, 1999, vol. I, p. 121.

[37] Per un approfondimento, vedasi D. Desiderio “I concetti di ‘soft law’ e di ‘lex mercatoria’ nel diritto del commercio internazionale”, su sito Altalex (http://www.altalex.com/index.php?idnot=402&asnofrt=true )

[38] Nella giurisprudenza italiana non si riscontrano precedenti di applicazione della lex mercatoria ad opera dei giudici (la nota sent. Cass. 08.02.1982, n. 122 riguarda il caso di riconoscimento in Italia di un lodo arbitrale emesso dall’Associazione per lo zucchero raffinato di Londra, e giunge in realtà a soluzioni completamente opposte allo spirito della lex mercatoria – per un approfondimento: F. Bortolotti, “Diritto dei contratti internazionali”, CEDAM, Padova, 1997, VOL I, pag. 61 e ss.). Anche nel caso dell’arbitrato non mancano le eccezioni. Si consideri ad esempio il giudizio arbitrale n. 9419/98 della Corte internazionale di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale, svoltosi a Lugano, dove l’arbitro, trovatosi di fronte al problema della mancata specificazione, all’interno della clausola arbitrale, del diritto sostanziale applicabile al contratto internazionale concluso dalle parti, rifiuta di applicare la lex mercatoria. Questi infatti, sebbene riconosca l’autorevolezza della scuola di pensiero favorevole all’esistenza di tale corpus normativo, e sebbene consapevole del fatto che numerosi lodi di arbitrato commerciale internazionale vi fanno riferimento, ritiene la lex mercatoria non applicabile nel caso in esame. Egli infatti crede fermamente che la ricerca del diritto applicabile debba condurre necessariamente all’applicazione di un diritto nazionale. Pertanto, conformemente alla disposizione contenuta nell’art. 13.3 del Regolamento della CCI (1975/1988), ritiene di dover effettuare la scelta sulla base delle disposizioni di diritto internazionale privato applicabili, giungendo alla decisione che nel caso in questione deve applicarsi il diritto francese. Nonostante infatti egli riconosca l’esigenza di tener conto della volontà delle parti, nonché degli usi commerciali tra esse vigenti, ritiene comunque di dover individuare un quadro normativo applicabile al contratto da esse concluso. Di conseguenza, pur ammettendo la possibilità che le parti richiamino la lex mercatoria, ed in particolare i principi Unidroit, a regolazione del loro rapporto contrattuale, ritiene che tale corpo normativo non possa di per sè stesso sostituirsi ai diritti nazionali. Nel contratto in questione, le parti facevano riferimento ad un altro accordo precedente nel quale veniva espressamente scelta l’applicazione del diritto francese. L’arbitro ne trae la conclusione che tale diritto deve ritenersi incorporato anche nel secondo contratto, in quanto le parti con il suddetto richiamo avevano implicitamente espresso la volontà di assoggettare la loro relazione contrattuale allo stesso sistema di regole di diritto che aveva regolato il loro precedente rapporto.

[39] Anche il richiamo, all’interno del regolamento contrattuale, degli Incoterms, delle norme Uniformi sui Crediti Documentari, o di altre norme di tipo pattizio incorporate nel contratto, è un elemento che spesso porta gli arbitri a desumere che le parti abbiano voluto assoggettare il loro contratto alla lex mercatoria.

[40] Unidroit, Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali 2004 – Roma Milano 2004.

[41] La dottrina moderna sull’arbitrato internazionale è concorde nel ritenere che anche gli arbitri, nel decidere una questione, debbano applicare la legge specificamente scelta dalle parti o che queste si attendono possa essere applicata. Per un approfondimento: Fabrizio Marrella, “Choice of Law in Third-Millennium Arbitrations: The Relevance of the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts”, in Vanderbilt Journal of Transnational Law Vol. 36:1137.

[42] Ad esempio, la presenza di un riferimento ad un determinato articolo di legge di un certo ordinamento giuridico (es. del codice civile italiano), nell’ambito di un contratto concluso tra parti di nazionalità diversa, potrebbe essere interpretata come una designazione autonoma della legge applicabile al contratto. Altra ipotesi è quella di un contratto il quale, pur non contenendo alcuna espressa designazione della legge applicabile, è collegato ad un altro accordo, concluso dalle medesime parti, per il quale viceversa si era indicata la legge regolatrice (vedasi la nota n. 10, con riferimento al giudizio arbitrale n. 9419/98 della Corte internazionale di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale, in cui avendo le parti richiamato nel contratto un altro accordo precedente contenente l’espressa designazione della legge francese quale diritto applicabile, si è ritenuto che le parti avessero implicitamente espresso la volontà di assoggettare la loro nuova relazione contrattuale allo stesso sistema di regole di diritto).

[43] Prasit Pivavatnapanich, “Choice of Law in Contract and Thai Private International Law: A Comparative Study”, Law Journal of Thailand Bar Society, Dicembre 2002.

[44] Nel caso Tzortzis v. Monark Line, 1968, la definizione di Londra quale sede di svolgimento dell’arbitrato, portò la Corte a concludere che le parti avevano con ciò voluto intendere che fosse il diritto inglese regolare il contratto.

[45] Vedasi ad es. Cass, Sez. Unite, 10-03-2000, n. 58. Nella specie, riguardo a un contratto di vendita di macchinari industriali il quale prevedeva a carico della ditta straniera fornitrice anche l’installazione mediante suoi tecnici presso lo stabilimento della ditta italiana e la garanzia di idoneità all’uso e di buon funzionamento, la S.C. ha ritenuto che il collegamento più stretto fosse con l’Italia.

[46] Dal 1° gennaio 1998 è in vigore un nuovo regolamento di arbitrato della CCI.

[47] Le decisioni arbitrali riportate sono tratte dal sito: www.unilex.info.

[48] Bortolotti, La Distribuzione Internazionale in Manuale di diritto commerciale internazionale, 2002, pag. 9.

[49] Cfr., tra gli altri: De euter, Legal Issues when Setting up or Terminating a Trade Re­lationship in Belgium, in RDAI, 1993, p. 597; Stumpf, Fallstricke beim Absch1ub von Ver­tragen mit belgischen Vertragshandlbern, in RIW, 1993, p. 542; WillemartT, Les concessions de vente en Belgique. E/éments de droit positif, de doctrine et de jurisprudence, Bruxelles, 1988.

[50] Art. 1 della legge 27 luglio 1961. Con questa definizione più elaborata si vuole e­vitare che la legge possa essere elusa ricorrendo a contratti che, pur non prevedendo l’esclusiva, siano sostanzialmente equivalenti a quelli tipici di concessione.

[51] Analoghe norme, comuni ad agenti e concessionari, sono previste in alcuni paesi centroamericani, ad es. Guatemala, Honduras, Panama

[52] Manderla, Der Vertragshandlervertrag , in in Martinek, Semler, Handbuch des Vertriebsrechts, cit., p. 286.

[53] Anche in Austria è prevista la possibilità di un’applicazione analogica alla con­cessione di vendita del diritto all’indennità previsto dalle norme sull’agenzia, in pre­senza di circostanze particolari che permettano di ravvisare un inserimento del con­cessionario nella rete di vendita del concedente simile a quello di un agente di com­mercio: cfr. Liebscher, Heinrich, Vertriebsvertrage, Wien, 1996, p. 31 ss.. Un’analoga tendenza si è manifestata recentemente (ma si tratta per ora di un caso isolato) nei Pa­esi Bassi: cfr. le due sentenze (non pubblicate) citate da Hermes, Beendigung des Vertragshandlervertrag  im deutschen und niederliandischen Recht, in RIW, 1999, p. 81 ss., p. 84.

[54] Stimpf, Jaletke, Schultze; Der Vertragshiindlervertrag, cit, p. 34-35. Per cal­colare l’indennità si partirà da quella parte di sconto riservata al concessionario che costituisce contropartita delle attività promozionali tipiche di un agente (senza consi­derare quindi quanto serve a remunerare il concessionario per altri tipi di oneri, ad es .il rischio di rivendita, o ulteriori costi distributivi): cfr. Ullrich, Vertragsbeendigung, in Martinek, Semler, Handbuch des Vertriebsrechts, cit., p. 350.

[55] Questa tendenza giurisprudenziale sembra però riferirsi prevalentemente ai con­cessionari di automobili: cfr. per maggiori dettagli, Stumpf, Jaletzke, Schultze; Der Vertragshiindlervertrag, cit., p. 198-199.

[56] Ciò avviene ad es. nei Paesi Bassi: cfr. Van hees, Niederlande, in Martinek, Semler, Handbuch des Vertriebsrechts, cit., p. 1170.

[57] Applicabile ad es. quando il contratto venga risolto dal concedente per un motivo pretestuoso, oppure poco dopo che il concessionario è stato indotto a fare investimenti Importanti, oppure ancora per aver provocato il recesso del concessionario rifiutando di rifornirlo: cfr. Ansett – Gardea, Frankreich, in Martinek, Semler, Handbuch des Vertriebsrechts, cit., p. 1140.

[58] V. anche un caso in cui il tribunale di commercio di Parigi ha riconosciuto ad un concessionario spagnolo un risarcimento pari a due terzi della cifra di affari di un an­no: sentenza del 28 settembre 1994, Sofamor c. Prim, in CJFE, 2/1995, p. 393.

[59] V. ad esempio la sentenza del Hoge Raad olandese del 21 Giugno 1991, Mattel c.Borka (in NJ, 1991, p. 742), in cui è stato riconosciuto al concessionario, nonostante il contratto a tempo indeterminato fosse stato disdettato osservando il preavviso pattui­to, un indennizzo per gli investimenti realizzati dal concessionario per la distribuzio­ne dei prodotti del concedente e non ammortizzabili entro la fine del periodo di pre­avviso.

[60] Questo sembra essere attualmente l’orientamento prevalente in Italia, anche se non si può escludere che si affermi in futuro un orientamento più favorevole al concessionario.

[61] A sostegno di quanto affermato si riporta la pronuncia di un giudice inglese ha ritenuto che, in presenza di contratto di distribuzione verbale (che non fis­sava, ovviamente, al un termine di preavviso) dovesse comunque es­sere osservato un congruo termine che lo stesso determinava in 12 mesi sulla base del ragionamento seguente:“ Looking at it from the point of view of two reasonable business men deciding as between themselves what would be the appropriate length of notice required far determining a relationship of the nature al­ready described and involving the work and expenditure just men­tioned, it seems to me that no concessionaire would proceed unless he knew that his concession should not be terminated by notice of less that 12 months; he might reasonably have stipulated for even longer notice. Similarly no reasonable producer of the product would have expected his concessionaire to carry on the business in this way except upon the safeguard that he would not receive notice of less than 12 months”. Court of Appeal, Decro Wall International S.A. c. Practitioners in Marketing Ltd (1970), in 1 W.L.R., 1971, p. 18 ss. Nel caso di specie la Corte d’Appello aveva conside­rato ingiustificata la risoluzione ad opera del concedente (motivata da ritardi di pagamento, giudicati di insufficiente importanza).

[62] In questo senso v. ad es. una sentenza della Corte d’Appello di Buenos Aires del 18 dicembre 1992, Pérez, Alberto et al c. Cargill SACI (riassunta sommariamente in lnt’l bus. law., 1993, p. 161). Nel caso di specie il concedente aveva unilateralmente modifi­cato le condizioni di pagamento, revocando le dilazioni precedentemente concesse e chiedendo di essere pagato in contanti; il concessionario, non in grado di operare in tali condizioni, era costretto a cessare l’attività; la Corte gli riconosceva un risarcimen­to pari ad un anno di mancato guadagno.

[63] Court of Appeal, Evans Marshall c. Bertola (1975), in 2 Lloyds law Reports, 1975, p. 373 ss. Nel caso di specie un produttore spagnolo di sherry (Bertola) aveva risolto il contratto con il distributore inglese per pretesa “lack of performance”. La Corte d’appello riconosceva al concessionario un risarcimento del danno di 350.000 sterline.

[64] V. a tal proposito un caso (Thalasso PDG Inc. v. Laboratories Aeterna Inc.) deciso da un giudice del Quebec nel 1994 e riportato da Weinstein, Canada :Damages for termination of a Distrbution Agreement, in Iternational Sales Quarterly, n. 22 del Nov. 1997 p. 9. Nel caso di specie il concedente aveva risolto il contratto quattro mesi prima della scadenza del contratto per mancato raggiungimento dei minimi ed aveva immediatamente pubblicizzato la nomina di un nuovo concessionario . Il trial judge condannava il concedente sia per il danno cagionato dalla risoluzione  anticipata che per la perdita di clientela risultante dalla pubblicità data  dal concedente alla decisione di recedere anticipatamente.

[65] Cartella, Concessione di vendita, in Dizionari di diritto privato, a cura di N. Irti, vol. 3, 2004..

[66] Bortolotti, Concessione di vendita (contratto di), in Nss. D. I., Appendice II, Torino, 1981, p. 222 ss.

[67][67][67] Tra i numerosi scritti che trattano della concessione di vendita si se­gnalano Baldi, Il contratto di concessione di vendita in esclusiva, in I contrat­ti in generale, diretto da Alpa e Bessone, t. 1, Torino, 1991, p. 248 e ss.; Id., Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, VI ed., Mi­lano, 1997, p. 81 e ss.; Perfetti, Il contratto di concessione di vendita, in Dir. e giur., 1975, p. 584 e ss.; Cartella, Concessione di vendita, in Diz. dir. priv., p. 453 ss, Irti, Diritto commerciale e industriale, a cura di Carnevali, Milano, 1981, p. 291 e ss.; Bortolotti, Concessione di vendita (contratto), in Noviss. Dig. it.,  1981, p. 221 e ss.; Pardolesi, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, è. 219 e ss.; Id., Contratti di distribuzione, in Enc. giur., IX, Roma, 1988, p. 2 e ss.; Cagnasso, La concessione di vendita – Problemi di qualificazione, Milano, p. 1983; Cagnasso, Irrera, Concessione di vendita, merchandising, catering, Milano, 1993, p. 9 e ss.; D’Alessandro, Concessione di vendita; descrizione del fenomeno e profili sistematici, in Giu.st. civ., 2002, 11, 71 e ss.

[68] ) Il rilievo non è sfuggito alla giurisprudenza: si vedano, tra le tante, Cass. 22 febbraio 1999, n. 1469, in Mass. Giust. civ., 1999, 370 e Cass. 28 agosto 1995, n. 9035, in Dir. fall., 1996, II, 851.

[69] D’Alessandro, Concessione di vendita: descrizione del fenomeno e profili sistematici, in Giustizia civile, 2002, fasc. 2, pt. 2, pp. 71-104.

[70] Sulla qualificazione della concessione di vendita come contratto mi­sto, cui sono applicabili le norme della somministrazione, del mandato e dell’agenzia, Cagnasso, La concessione di vendita – Problemi di qualificazione, cit., 29 e ss. Si è anche sostenuto che la concessione di vendita non po­trebbe considerarsi negozio atipico, essendo invece riconducibile nell’al­veo della somministrazione (c.d. somministrazione per la rivendita), di cui realizzerebbe la funzione tipica di scambio, mentre l’obbligo di pro­muovere la vendita troverebbe espresso riconoscimento legislativo nel­l’art. 1568, secondo comma, Codice civile (cfr. Cottino, Della sommini­strazione, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna Roma, 1970, p. 89 e ss.; Perfetti, Il contratto di concessione di vendita, cit., 584 e ss.; Cartella, Con­cessione di vendita, cit., 304 e ss.; in giurisprudenza, Cass. 13 maggio 1976, n. 1698, in Rep. Giust. civ., 1976, voce Somministrazione, n. l0 e Cass. 8 giugno 1976, n. 2094, ivi, 1976, voce Agenzia, n. 7). Contra Bortolotti, Concessione di vendita (contratto di), cit., 226, il quale osserva che “un con­tratto, come la concessione di vendita, nel quale assume un’importanza prevalente l’attività di collaborazione nella distribuzione, non si presta ad essere inquadrato puramente e semplicemente in un contratto di scambio come la somministrazione”. In più, mentre nella somministrazione il for­nitore si obbliga ad eseguire, a favore dell’altra parte, prestazioni periodi­che o continuative di cose, lo stesso non può dirsi per la concessione di vendita, nella quale l’obbligo di fornitura può anche mancare, riservan­dosi di regola il concedente il diritto di evadere o meno gli ordinativi tra­smessi dal concessionario.

[71] Così Oppo, I contratti di durata, in Scritti giuridici, III, Obbligazioni e ne­gozio giuridico, Padova, 1992, p. 317.

[72] Sulla distinzione tra contratto normativo e contratto quadro Salandra, Contratti preparatori e contratti di coordinamento, in Riv. dir. comm., 1940, I,  p. 21 e ss.

[73] Sulla natura del contratto normativo la dottrina ha fatto registrare so­prattutto in passato opinioni assai diverse. Alcuni autori ne hanno nega­to la natura propriamente contrattuale, perché si tratterebbe di un atto privo di forza vincolante: l’obbligazione da esso discendente di dare un dato contenuto ai futuri contratti dipenderebbe unicamente dalla vo­lontà delle parti, libere come sono di addivenire o meno alla loro stipula­zione (così Guglielmetti, Contratto normativa, in Enc. giur., Roma, 1988, IX, p. 2, il quale ravvisa nel contratto normativo una fase preparatoria del procedimento di formazione dei singoli contratti particolari). Autorevo­le dottrina ha invece riconosciuto al contratto normativo l’efficacia vin­colante propria di ogni contratto, facendo ricorso al meccanismo condizionale, in forza del quale il contratto spiegherebbe i suoi effetti soltanto al verificarsi dell’evento futuro ed incerto costituito dalla iniziativa della stipulazione dei successivi contratti (cfr. Barbero, Il contratto tipo nel diritto italiano, Milano, 1937, p. 70, secondo il quale l’iniziativa della successiva stipulazione si atteggerebbe a condicio iuris, in quanto è presupposto insi­to nella stessa natura del contratto normativo che gli effetti dal medesi­mo derivanti possano esplicarsi solo nel caso e nel momento nel quale si addivenga alla stipulazione dei contratti cui il contratto normativo si ri­ferisce). In senso parzialmente diverso Cariota Ferrara, Riflessioni sul con­tratto normativa, Padova, 1937, p. 60 e ss., il quale pur ricostruendo il con­tratto normativo come contratto con obbligazioni sospensivamente con­dizionate alla stipulazione dei successivi contratti, ha escluso che possa dirsi ricorrente una candicio iuris, trattandosi di evento condizionante di­pendente dalla volontà delle parti, che darebbe luogo per lo più ad una condizione meramente potestativa, con conseguente nullità del contrat­to normativo. È stata anche proposta una qualificazione del contratto normativo come accordo e non come contratto in senso tecnico, sul presupposto che la materia sulla quale quest’ultimo è chiamato ad operare secondo il dispo­sto dell’art. 1321 Codice civile, è la regolamentazione di rapporti giuridi­ci con attribuzione di diritti soggettivi o imposizione di obblighi, e non invece la formulazione di una disciplina giuridica da valere per rapporti contrattuali futuri (Messineo, voce Contratto normativo e contratto tipo, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 119 e ss.). In senso critico Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna Roma, 1970, sub artt. 1321 – 1352, p. 22, secondo il quale la funzione regolatrice, che a nonna dell’art. 1321 Codice civile è propria del contratto, può ave­re ad oggetto non solo rapporti giuridici attuali ma anche rapporti nego­ziali futuri, dei quali viene predeterminato in tutto o in parte il contenu­to, nel qual caso nessuna ragione sussiste perché si debba sostituire alla nozione di contratto quella di accordo. Merita infine di essere segnalata per la sua originalità la tesi secondo cui il contratto normativo, in quanto il suo ruolo non è quello di dare agli in­teressi delle parti un dato assetto tramite immediate imputazioni, quanto piuttosto quello di stabilire un piano d’azione concordato per il persegui­mento di un dato obiettivo, andrebbe inquadrato nella categoria dei contratti con comunanza di scopo di cui all’art. 1420 Codice civile, atteg­giandosi a «contratto ad assetto d’interessi mediato da un programma (Maiorca, Normativa (contratto), in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Torino, 1995, XII, p. 187 e ss.).

[74] L’efficace formula definitoria è di Barbero, Il contratto tipo nel diritto ita­liano, cit., 69.

[75] Cfr. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit.,  p. 281; Barbero, Il contratto tipo nel diritto italiano, cit., p. 176; Messineo, voce Contratto normativo e contratto tipo, cit., 122; Cataudella, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, p. 228 e ss. La riluttanza ad ammettere l’efficacia rea­le del contratto normativo sembra derivare dalla preoccupazione di evita­re pericolose sovrapposizioni tra contratto e nonna giuridica; preoccupa­zione questa che, come si dirà nel testo, non ha ragion d’essere in quanto il contratto normativo non assurge a fonte di diritto, ma resta espressione della competenza dispositiva delle parti, le quali possono comunque, di c0­mune accordo, modificarne o escluderne la portata precettiva.

[76] La ricostruzione dogmatica del contratto normativo come contratto ad efficacia meramente obbligatoria trova conferma già in Cass., sez. un., 28 ottobre 1966, n. 2689, in Foro it., 1966, I, 2008 e ss.

[77] Così Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 281; Id., Riflessioni sul contratto normativa, cit., 67.

[78] La tesi dell’efficacia reale è sostenuta in dottrina da Maiorca, op. cit., 197 e ss., il quale ammette che il contratto normativo possa anche avere efficacia obbligatoria, porsi cioè come fonte dell’obbligo di inserire deter­minate clausole nei contratti particolari. Secondo Gitti, Contratti regola­mentari e normativi, Padova, 1994 p. 44 e ss., il contratto ad efficacia reale non soltanto risulta ammissibile, ma addirittura costituisce l’unica possi­bile manifestazione di contratto normativo, dovendosi negare natura contrattuale al contratto normativo ad efficacia obbligatoria. Ciò in quanto osserva l’Autore la libertà di contrarre che rimane inalterata alle parti contiene in sé la libertà di rifiutare per il contratto particolare il contenuto predisposto con il contratto normativo, cosicché il vincolo obbligatorio che si vorrebbe far sorgere da questo perde consistenza fino a mostrarsi inesistente. Riconosce al contratto normativo funzione diret­tamente integrativa dei singoli contratti particolari Guglielmetti, op. cit., p. 2 e ss., pur negandone la natura contrattuale e facendo di esso una intesa preparatoria che si inserisce nell’iter formativo dei contratti particolari.

[79] D’altra patte, anche nel caso di contratti conclusi mediante sotto­scrizione di moduli o formulari, le clausole aggiunte prevalgono, secondo il disposto dell’art. 1342 Codice civile, su quelle del modulo o formulario qualora siano incompatibili con esse, restando così confermato che l’effi­cacia normativa degli atti di autonomia privata è sempre e soltanto di­spositiva, non avendo questi ultimi l’attitudine ad imporsi anche contro la volontà delle parti.

[80] Sull’argomento Maiorca, op. cit., p. 177 e ss., il quale mette in eviden­za che il valore basilare della previsione dell’art. 1341, ossia il principio generale che ne viene espresso, si riassume nel riconoscimento giu­ridico, che in essa trova il suo primo fondamento, della possibilità di una autentica efficacia normativa degli atti privati di autonomia; efficacia che l’Autore assegna al contratto normativo, sostenendo che la discipli­na con esso predisposta possa produrre un vincolo giuridico paragonabi­le a quello della legge o degli usi come fonti di integrazione del contenu­to dei contratti, senza tuttavia che il contratto normativo assurga alla di­gnità di fonte di produzione di norme giuridiche.

[81] Nella categoria generale del contratto normativo si è soliti com­prendere accanto al contratto normativo individuale (bilaterale o unila­terale, secondo la distinzione precisata nel testo), il contratto normativa collettivo che presenta peculiari caratteristiche e modalità operative do­vute al fatto che le parti dei contratti particolari sono diverse da quelle che hanno stipulato il contratto normativo (normalmente associazioni di categoria, sindacati e, più in generale, organismi esponenziali degli inte­ressi delle parti dei contratti individuali).

[82] Poiché la concessione di vendita contiene anche la predisposizione di una serie di condizioni contrattuali quali la politica dei prezzi che il concessionario è tenuto ad osservare nei rapporti con i propri clienti, a ta­li ultime pattuizioni potrà attribuirsi, per le ragioni esposte nel testo, sol­tanto efficacia obbligatoria, con le ordinarie conseguenze sanzionatorie in caso di inadempimento.

[83] Cfr. Boero, La somministrazione, in Tratt. dir comm. dir. pubbl. ec., XVI, Padova, 1991; Cagnasso, op. cit.; Cottino, La sommini­strazione, nel Comm. cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna, 1970. Quan­do sia posto l’obbligo di promuovere le vendite in capo al somministrato, di norma è contrattualmente prevista a favore di questo, come contropartita, l’esclusiva di vendi­ta. Il predetto obbligo può tuttavia essere stabilito anche in assenza di clausola di esclusiva. Inoltre, dall’art. 1568, co. 2, c.c., non sembra potersi dedurre che in presen­za di un patto di esclusiva di vendita debba essere previsto in capo al somministrato l’obbligo di promuovere le vendite dei prodotti fornitigli dal somministrante, come pure è stato affermato in dottrina (cfr. Eula, Comm cod. civ diretto da M. D’Ame­lio e E. Finzi, art. 1568 c.c., Firenze, 1947, p. 192); è invece necessario che tale obbli­gazione formi oggetto di un patto apposito, che si aggiunga all’esclusiva: in questa direzione cfr. Cagnasso, op. cit., p. 420; Cottino, op cit., p. 199. Nulla impedi­sce poi che siano stipulati dei contratti di somministrazione con esclusiva e di vendita con esclusiva senza l’obbligo di promuovere le vendite: e sarà proprio questa mancan­za di obbligo a differenziarli dalla somministrazione ex art. 1568, co. 2, c.c., e dalla concessione di vendita e a impedire che possano essere inquadrati nella categoria dei contratti di distribuzione. In effetti, è dall’evoluzione dei contratti di vendita in esclu­siva che ha tratto origine prima la somministrazione e poi la concessione di vendita: cfr., in questo senso, Baldi, op. cit, p. 80; Cottino, op cit., p. 92; Pardolesi, op. cit., p. 223.

[84] Delli Priscoli, Atipicità della concessione di vendita e disciplina applicabile, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obblig., 2003, fasc. 5-8, pt. 1, pp. 477-518.

[85] Un obbligo di promuovere le vendite è posto anche in capo all’agente nel contratto di agenzia (cfr. art. 1742 c.c.), ed è proprio soprattutto in relazione a questa previsione normativa che la concessione di vendita è stata avvicinata specie in passa­to a tale contratto, ed è pure principalmente per questa ragione che il contratto di agenzia può collocarsi nel novero dei contratti di distribuzione.

[86] Così, mentre nel contralto dì agenzia è normale che si appli­chino le condizioni stabilite dal fabbricante (cui fa capo il contratto), per ottenere un analogo risultato nel contratto di concessione sa­ranno necessarie apposite clausole contrattuali.

[87] Ciò significa un maggior controllo sulla clientela, che tende ad essere più clientela del concessionario che del concedente. Ma non sempre. Se il marchio del concedente è particolarmente affermato, sarà difficile che il concessionario riesca, al termine del contratto, a spostare la clientela su di un altro concedente.

[88] Si fa riferimento al contratto di agenzia, che presenta mag­giori analogie con la concessione, e non al contratto di commissione, assai meno diffuso.

[89] Questa differenziazione economica tra agenzia e concessione vale però solo come indicazione di massima, riferita alle ipotesi tipi­che delle due figure. Infatti, con opportune pattuizioni contrattuali si può adattare il contratto di concessione di vendita a situazioni molto più vicine all’agenzia. Così da un lato gli oneri finanziari gravanti sul concessionario possono essere ridotti la minimo, dandogli la possibilità di rifornirsi volta per volta da un deposito del fabbricante, oppure prevedendo condizioni di pagamento sufficientemente dilazionate per permettergli di pagare la merce dopo averne incassato il prezzo dai propri clienti. D’altro canto, l’autonomia del concessionario nel determinare condizione e modalità nella rivendita, e nell’isolare il concedente dalla propria clientela potrà essere sensibilmente limitata con apposite clausole contrattuali.

[90] La disciplina introdotta dal regolamento 2790 si differenzia da quella del regola­mento precedente (1983/83) in quanto non riguarda solo il divieto di operare nei terri­tori riservati in esclusiva ad altri soggetti ma anche quello di non vendere a certe cate­gorie di clienti riservate a terzi.

[91] Si tenga presente che le «vecchie» clausole (che vietano qualsiasi vendita attiva fuori dal territorio) comportano a rigore la perdita del beneficio dell’esenzione per ca­tegoria del contratto nel suo complesso, dal momento che esse vanno oltre quanto consentito dall’art. 4(b), nella misura in cui inibiscono al concessionario la vendita an­che verso territori non riservati in esclusiva al concedente o ad altri acquirenti.

[92] Delli Priscoli, I contratti di distribuzione come categoria unitaria, in Giur. Comm., 1994, II, p. 801 ss.

[93] Linee direttrici, paragrafo 50.

[94] Linee direttrici, paragrafo 51.

[95] Art. 4, lettera (b), prima lineetta, in fine

[96] E’ tuttavia suggeribile una disciplina contrattuale dello smaltimento dei prodotti ancora in possesso del concessionario all’atto della risoluzione del contratto.

[97] La necessità che il patto di riservato dominio sia coevo alla con­clusione del contratto di vendita si spiega in quanto sarebbe inconcepi­bile riservare al venditore la titolarità di un diritto ormai definitiva­mente acquisito al patrimonio del compratore in forza del contratto in precedenza stipulato. Una successiva convenzione diretta a riservare la proprietà al venditore sarebbe nulla per mancanza dell’oggetto o, più correttamente, per mancanza di causa. In senso critico Bianca, La ven­dita e la permuta, in Tratt. Vassalli, VII, t. I, Torino, 1972, p. 533, secondo il quale «la possibilità di una stipulazione successiva del patto trova la sua appropriata spiegazione nella natura del riservato dominio quale diritto di garanzia. Anche dopo l’avvenuto trasferimento può infatti am­mettersi che le parti gravino l’acquisto del compratore di un vincolo di riservato dominio quale garanzia reale a favore del venditore. Altro autore, invece, (Carpino, Vendita con riserva della proprietà, in Tratt. di dir. priv., diretto da Rescigno, Obbligazioni e contratti, XI, t. 3, Torino, 1984, p. 318) ammette che le parti possano qualificare come patto di ri­servato dominio un accordo successivo alla conclusione della vendita, purché ricorra come indefettibile presupposto logico-giuridico un ne­gozio risolutorio della precedente compravendita tra le stesse parti in­tercorsa.

[98] Cfr. Cass. 28 agosto 1995, n. 9035 in Dir. fall.,1996, II, 851, pubbli­cata anche in Fall., 1996, p. 729.

[99] Feo, I Contratti internazionali di distribuzione: la concessione di vendita, in Bollettino dell’internazionalizzazione, fasc. 1, 2003 p. 29.

[100] Sulla compatibilità tra riserva di proprietà e concessione di vendita come contratto unico di scambio avvicinabile, sotto il profilo disciplina­re, alla somministrazione si veda Cass. 28 agosto 1995, n. 9035, cit., 729.

[101] Maggio, Guida sui contratti di distribuzione e franchising, Vicenza, 2003.

[102] Muzio, Contratti di distribuzione e clausole di esclusiva in Francia, Milano 1993.

[103] Cagnasso op. ult. cit., p. 112 ss., il quale peraltro ritiene che le norme dettate in tema di esclusiva nell’ambito della disciplina legale della somministrazione siano applicabili in via diretta per il loro carattere transtipico.

[104] In generale, per l’improponibilità di una trasposizione analogica della disciplina in tema di agenzia ai contratti di distribuzione, cfr. Pardolesi, op. ult. cit.. 287.

[105] Ghezzi, Del contratto di agenzia, in Commentario del codice civile, 1970 p. 62 ss.

[106] Cfr. Cagnasso, op. ult. cit.. p. 114.

[107] Non si può non ammettere, per questo motivo, che all’impresa concedente sia precluso di concludere contratti di vendita con terzi nella zona per la quale l’esclusiva è concessa e in ordine ai beni cui essa afferisce.

[108] Tuttavia, qualora il contratto ricada nel campo di applicazione della normativa antitrust europea, tale obbligo di non concorrenza potrebbe comportare rischi di nullità in caso di una durata superiore ai 5 anni. fr. Baldi “Il Contratto di Agenzia”, cit., pag. 86

[109] L’esclusiva è in ogni caso problematica sotto il profilo della concorrenza, qualora le quote di mercato delle parti siano superiori al 30%.

[110] Cfr. Ferri G., op. cit., 50.

[111] Cfr. Mancini, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, L’individuazione della fattispecie. Il recesso ordinario, Milano 1972, 207 ss.

[112] Quali, ad esempio, l’affitto (art. 1616 c.c.), il mandato (art. 1725, comma 2, c.c.), l’agenzia (art. 1750 c.c.), l’apertura di credito bancario (art. 1845, comma 3, c.c.) ecc.

[113] D’Avanzo, Recesso (diritto civile), in Noviss. Dig., XIV, Torino 1967, p. 1036.

[114] Cottino, op. cit., 201 s.

[115] Il danno per il concessionario si tradurrebbe sia nel mancato utile di chi non abbia potuto disporre dei prodotti non forniti, sia nelle spese affrontate in previsione della disponibilità dei prodotti medesimi: cfr. Trib. Milano 22 marzo 1956, in Giur. it., 1956, I, 2, p. 660.

[116] L’estensione dei principi desumibili dall’art. 1569 c.c. al contratto di concessione di vendita è largamente sostenuta in dottrina e in giurisprudenza, sebbene non si faccia di regola esplicito richiamo al criterio dell’analogia. In proposito. cfr. Zanelli, Premesse allo studio delle concessioni nei rapporti tra imprese, cit., p. 402; Pardolesi, op. ult. cit., p. 244 ss.; Cartella, op. cit., p. 335; Cagnasso, La concessione di vendita, cit., p. 116; App. Milano 3 ottobre 1978, in Foro it., p. 1979, I, p. 819; Cass. 15 luglio 1959 n. 1108, ivi, 1960, I, p. 1926; Cass. 3 luglio 1946 n. 788, in Giur. compi. cass. civ., 1946, Il, 1, p. 410.

[117] Non si dubita in dottrina sul carattere speciale (e non eccezionale) delle norme espresse dagli art. 1564 e 1565 c.c., per essere in ogni caso riconducibili ai principi dettati in tema di risoluzione del contratto. Cfr., al riguardo. Cagnasso, Eccezioni dilatorie e risoluzione per inadempimento nel contratto di somministrazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981 p. 419 ss.

[118] Cfr. Cagnasso, La concessione di vendita, cit., p. 106.

[119] Cfr. Salandra, op. cit. ,p.  31.

[120] Se il contenuto obbligatorio del contratto iniziale sta nel vincolo di costituire i rapporti successivi con un determinato contenuto, può esservi inadempimento del primo solo per la mancata conclusione, non anche per la mancata esecuzione dei secondi: quest’ultima non può costituire inadempimento che dei singoli contratti nei quali si verifica. Conforme, in linea di principio, Salandra, op. cit.

[121] Cfr. Realmonte, Eccezione di inadempimento. in Enc. dir., XIV, Milano 1965, p. 231 e Cagnasso, op. ult, cit., p. 105.

[122] Sulla questione concernente l’applicabilità delle norme contenute negli art. 1564 e 1565, c.c., al contratto di concessione di vendita, la dottrina è divisa: in senso negativo, Pardolesi, op. ult. cit., 248, per il quale il riferimento alle norme generali è reso necessario dalla specialità della disciplina degli art. 1564 e 1565, dettati in vista di una somministrazione di consumo favorevoli si mostrano, invece, Cartella, op. cit., 336; Cagnasso, op. ult. cit., 108 S. (i quali peraltro ritengono possibile un’applicazione diretta delle norme anzidette: il primo, per aver ricondotto la concessione di vendita negli schemi della somministrazione, il secondo, in forza dell’asserito carattere transtipico delle stesse). La giurispru­denza è invece orientata in senso affermativo: cfr. Trib. Milano 19 giugno 1967, in Mon. trib., 1967,787; Cass. 21 gennaio 1959 n. 202; App. Firenze 2 agosto 1956. in Giur. tosc., 1956,687.

[123] Cfr. Salandra, op. cit., p. 31 ss.

[124] Quest’ultimo aspetto denota come il contratto di concessione di vendita, quale si è

sviluppato e delineato nella prassi, pur non godendo dei benefici propri di un contratto a struttura unitaria con obbligo di eseguire periodicamente prestazioni di cose (quali appunto quelli che derivano da una completa operatività delle norme previste dagli art. 1564 e 1565 c.c.), sia ciononostante perfettamente in linea con le esigenze dell’impresa produttrice di ridurre ogni forma di rischio nell’organizzazione dell’attività di distribuzione, in virtù dell’elasticità del rapporto da essa costituito.

[125] Mentre la prima parte del codice civile contiene le norme generali sul contratto aventi carattere di principi fondamentali, la seconda parte è dedicata alla disciplina puntuale dei singoli contratti, nonché delle obbligazioni extracontrattuali. La seconda parte del codice civile assolve, oltre la funzione di regolare dettagliatamente tutte le obbligazioni contrattuali, anche quella di fissare i principi fondamentali che si pongono a base di quei rapporti giuridici che necessitano di una regolamentazione supplementare in virtù di atti codificati, come il codice della navigazione aerea e marittima o il codice della navigazione marittima mercantile. La suddivisione del codice civile in parti è scaturita dall’esigenza di fornire in tempi brevi quell’impianto di nuove leggi, norme e principi, in grado di incidere su una realtà politico-economica in profonda trasformazione, nonché dalla necessità di stabilire un certo coordinamento tra molteplici atti speciali approvati all’indomani dell’inizio delle riforme economiche (es. leggi sulle società per azioni, sull’amministrazione fiduciaria, sugli enti senza fine di lucro, sulla registrazione delle persone giuridiche).
Il codice civile attuale, comprensivo delle parti I e II, è suddiviso in 60 capi e comprende 1.109 articoli. Una delle peculiarità del nuovo codice de quo è data dal carattere dispositivo di gran parte delle sue norme, che trae fondamento dalla pretesa di uguaglianza che le parti dei rapporti giuridici patrimoniali e personali postulano, unitamente alla facoltà di “acquistare ed esercitare i propri diritti liberamente e nel proprio interesse” (art. 9 c.c.)

[126] Aa. Vv., Russia and Eurasia and the Crossroads, Experience and Problems of Economic Reforms in the Commonwealth of Independent States.Springer, Berlin 1999.

[127] Hough J. F., The Logic of Economic Reform in Russia. The Brookings Institution, Washington 2001.

[128] Conserva M., Affari con la Russia, in Commercio Internazionale, n. 14, 2005, p. 5.

[129] I cittadini e le persone giuridiche sono libere di addivenire alla stipulazione del contratto. Non è consentita alcuna coercizione in ordine alla stipulazione del contratto ad esclusione dei casi in cui l’obbligo di stipulare il contratto sia previsto dal presente codice, dalla legge o dall’obbligo assunto volontariamente. 2. Le parti possono stipulare un contratto che sia previsto o meno dalla legge o dagli altri atti giuridici. 3. Le parti possono stipulare un contratto nel quale siano presenti elementi di contratti diversi, previsti dalla legge o dagli altri atti giuridici (contratto misto). 4. Le condizioni del contratto sono determinate liberamente dalle parti, ad esclusione dei casi nei quali esse siano prescritte dalla legge o dagli altri atti giuridici.

[130] Il contratto di franchising puo essere concluso solo tra enti commerciali o soggetti privati registrati come imprenditoriindividuali.

[131] Proietto B., Dal diritto sovietico al diritto russo, 1996.

[132] Aa. Vv., 2The New Political Economy of Russia. MIT Press, Boston 2003.

[133] Il contratto può inoltre prevedere il diritto o l’obbligo del franchisee a concedere a terzi, in regime di sub-concessione, l’uso dei diritti acquisiti dal franchisor.

[134] Il contratto di franchising deve essere stipulato per iscritto, pena la sua nullita e registrato da un ente russo competente.

[135] È In atto in Cina complessa del processo in atto, dagli inizi degli anni ’90, di trasformazione del paese verso un’economia di mercato, che pure determina sollecitazioni importanti a livello sia degli individui che della società nel suo complesso; un processo costretto peraltro a svolgersi, sotto l’apparente continuità delle formule ideologiche inneggianti alla “dittatura del proletariato”, entro uno spazio liminare, ossia destinato sempre più a restringersi, fino a farsi appunto linea di soglia, e per ciò stesso a caricarsi di tensioni, resistenze, contraddizioni e dilemmi (o drammi) tra scelte alternative, anche per la mentalità cinese tradizionalmente incline alla conciliazione degli opposti.

[136] Formichella L., -Terracina G., Toti E., Diritto cinese e sistema giuridico romanistica, Torino 2005.

[137] Il contratto di franchising deve essere stipulato per iscritto. Il regolamento distingue tra franchising diretto e sub-franchising.

[138] Brahm Laurence J., China’s Century, The Awakening of the Next Economic Powerhouse, Singapore, John Wiley & Son, 2001.

[139] Il termine sanscrito che richiama al concetto di legge è dharma . Più propriamente, esso designa, in una sintesi di elementi religiosi e sociali, i diritti e doveri dell’uomo in ogni campo della sua attività, le norme che dirigono il comportamento degli esseri tanto più sul piano religioso e morale quanto su quello sociale e giuridico. Secondo la tradizione indiana le fonti del dharma sono quattro: la rivelazione (sruti ), la tradizione (smrti ), il comportamento delle persone colte e virtuose (sistacara), gli usi e costumi delle regioni, delle caste, delle famiglie (desajatikuladharma). Il diritto tradizionale indiano è desumibile dalla lettura di una ricca letteratura che dalla fine del periodo vedico, cioè dal secolo VI a.C. circa, si estende fino al secolo XVIII. Le fonti più antiche del diritto indiano sono i Dharmasutra, “aforismi relativi alla legge”. Questi testi, scritti in prosa, contengono, accanto alla trattazione di problemi dottrinali e religiosi, i primi embrioni di una dottrina giuridica, ovvero la definizione dei doveri delle quattro caste , alcune norme di natura economica e sociale, elementi di diritto civile e penale. Con l’affermarsi di scuole giuridiche specializzate, che tendono a codificare la materia legale in esposizioni ampie e particolareggiate, nascono quelli che si possono considerare veri e propri trattati di diritto, i Dharmasastra “Trattati giuridici”, detti anche Smrti , basati sugli antichi Dharmasutra ma con un carattere più strettamente giuridico . Queste fonti giuridiche, che costituiscono la base della giurisprudenza indiana, ebbero, a partire dal IX secolo d. C., un notevole numero di commentari, redatti con finalità critiche e coordinatrici .Elementi di diritto si trovano in tutta la produzione letteraria dell’India, in particolare nella letteratura politica: l’Arthasastra, la cui nascita è indicata da alcuni studiosi nel IV secolo a C., da altri nel secolo III d. C., dedica ampio spazio alla procedura giudiziaria, alla definizione delle competenze dei funzionari e ai sistemi di punizione. In tutti prevale sempre il fondamento religioso.

[140] Nel diritto tradizionale hindu, il principe, investito di maestà e natura divina, è ordinatore del regno, tutore della legge, arbitro assoluto della giustizia; egli deve giudicare e punire, perseguitare il male, ricercare la verità attenendosi alle norme codificate nei trattati, considerarsi responsabile di un delitto impunito o di una condanna ingiusta. Al sovrano spetta il potere decisionale anche quando, col perfezionarsi dell’organismo statale, egli viene affiancato, nell’amministrazione della giustizia, da funzionari competenti. Il valore teorico, peraltro non escluso, dell’uguaglianza di ogni individuo di fronte alla legge, viene continuamente infirmato dalle prerogative castali che affiorano in ogni sezione del sistema giuridico indiano. Di taluni privilegi della casta brahmanica, protrattisi in India fino all’età moderna, si ha notizia già nei testi più antichi.Le norme che disciplinano le istituzioni processuali sono molto precise. Le forme probatorie sono generalmente suddivise in umane e divine: le prime costituite dalla prova documentale e dalla prova orale dei testimoni, le seconde dal giuramento e dalle ordalie cui si ricorre nei casi dubbi o in mancanza di altre prove e talune forme di ordalie si sono conservate fino all’età moderna e contemporanea.
Le pene previste variano dalla semplice ammonizione all’esecuzione capitale. Una delle condanne più temute è l’espulsione dalla casta. L’istituto familiare è oggetto di ampia trattazione giuridica: di tipo patriarcale, la famiglia è protetta e regolata da norme rigorose che condizionano la vita quotidiana dei suoi componenti, essendo considerata, quella famigliare, l’organizzazione fondamentale della società. Il matrimonio, da tutti i testi sempre teoricamente vietato fra persone di caste diverse, è generalmente considerato vincolo sacro e indissolubile . Le norme che regolano la ripartizione del patrimonio e il diritto ereditario sottolineano la precedenza dei figli legittimi su quelli adottivi.
Pur nel susseguirsi delle dominazioni straniere che esercitarono il potere sui territori dell’India e che portarono con sé ciascuna le proprie consuetudini e ordinamenti, la legge indiana rimase sostanzialmente basata sugli antichi principi, soprattutto per la naturale e ancor oggi viva tendenza della mentalità hindu a conservare le originarie strutture in quanto consacrate dalla tradizione. Nell’attuale Repubblica Indiana, infatti, l’ordinamento giuridico, nonostante necessari adeguamenti e introduzioni di nuove istituzioni, soprattutto sulla base della legislazione britannica, si è mantenuto fedele alle linee principali dell’antico sistema.

[141] Egli è tenuto sia a rappresentare il mandante in ogni operazione o transazione con terzi, sia ad agire per conto di questi. Vallauri M., Lineamenti e caratteristiche dell’antico diritto indiano, Milano 1952.

[142] Bortolotti F., La Distribuzione Internazionale in Manuale di diritto commerciale internazionale, 2002, pag. 9.

[143] Lingat R., La tradizione giuridica dell’India: dharma, diritto e interpretazione, Milano 2003.

[144] Dassi C., La distribuzione selettiva, in I contratti della distribuzione commerciale : la disciplina comunitaria, l’ordinamento interno, Milano, 1993.

[145] Gallo P., Introduzione al diritto comparato, Torino, 1998, p. 357.

[146] Il contratto di agenzia è uno dei sistemi più noti e diffusi tra gli operatori stranieri per il loro primo approccio con il mercato statunitense. Esso si rivela sovente come il più immediato ra i sistemi per penetrare nel mercato degli U.S.A. in virtù del fatto che esso richiede modesti investimenti di capitale all’imprenditore estero. Negli Stati Uniti l’accordo tra le due parti contraenti può essere espresso tanto in forma scritta quanto in forma orale. In altri termini, la stesura per iscritto di un contratto d’agenzia, ancorchè senz’altro consigliabile per evitare possibili conflitti interpretativi, non è tuttavia imposta dalla legge.

Si noti, per contro, che in Italia, a seguito delle recenti modifiche legislative introdotte con il d.l.g.s. 65/1999 del 15 febbraio 1999, la norma di cui all’art. 1742 del codice civile è stata

rinnovata in senso più restrittivo dal punto di vista formale, essendo stata resa necessaria (benchè soltanto ad probationem) la forma scritta per il contratto di agenzia. Se a norma di legge il preponente può negoziare, concludere o eseguire un contratto di vendita con determinati clienti, in linea generale anche il suo agente statunitense potrà fare altrettanto. Si badi, peraltro, che il preponente non può nominare un agente allo scopo di vendere beni sottoposti a proibizioni o a restrizioni. Per quanto attiene al potere di rappresentanza, sappiamo che in Italia l’agente non ha di regola il potere di concludere direttamente contratti per conto dell’imprenditore, a meno che tale facoltà non gli sia stata espressamente riconosciuta. Allo stesso modo negli U.S.A. l’autorizzazione a ricercare clienti, a sollecitare ordinativi o a condurre negoziati in vista di una futura compravendita non conferisce all’agente i poteri di stipulare un vero e proprio contratto vincolante per l’impresa preponente in mancanza del consenso di quest’ultima; occorre a tali effetti un vero e proprio conferimento di potere di rappresentanza, oppure una peculiare consuetudine in tal senso, diffusa nel particolare ramo d’affari di cui si tratta.

[147] I doveri dell’agente nei confronti del preponente vengono determinati dal contratto. Non vi è un obbligo legale di esclusiva a carico dell’agente, a meno che essa non venga espressamente pattuita tra le parti. Peraltro, la natura fiduciaria del rapporto tra agente e preponente impone al primo il dovere di astenersi da comportamenti che possano risultare pregiudizievoli all’interesse del secondo, quali, ad esempio, la negoziazione di contratti con controparti i cui interessi risultassero contrapposti a quelli del preponente. In generale, va detto che sull’agente incombe un obbligo di lealtà e di buona fede nei confronti del preponente. Nel caso che la mancanza di diligenza (una diligenza media salvo diverse pattuizioni) da parte dell’agente procuri danni al preponente, costui avrà diritto a venirne risarcito. Quanto all’ ambito territoriale di attività dell’agente, negli Stati Uniti non esiste una normativa la quale, come invece avviene in Italia (art. 1743 c.c.) impone delle limitazioni relativamente alla zona di attività dell’agente; tali limitazioni andranno quindi evidenziate contrattualmente caso per caso. A sua volta il preponente deve comportarsi secondo buona fede nei confronti dell’agente e deve fare in modo di evitare ogni danno che a quest’ultimo possa derivare, anche a livello di immagine, dall’espletamento degli incarichi a lui affidati. L’obbligazione principale è quella di corrispondere le provvigioni (commissions) all’agente. Di regola le provvigioni spettanti all’agente vengono determinate nel contratto; nel caso in cui ciò non avvenga, viene considerato come implicito l’impegno da parte del preponente a corrispondere all’agente un ragionevole compenso, basato sui tassi correnti di mercato, in cambio del servizio svolto. Il preponente dovrà inoltre tenere indenne l’agente di tutte le spese resesi necessarie nell’esecuzione di operazioni svolte per suo incarico. La durata di un rapporto con un agente statunitense può essere determinata fin dall’inizio per contratto oppure, in mancanza, mediante un mutuo consenso espresso in una fase successiva. In ogni caso, di fronte ai terzi, il rapporto di agenzia si presume in essere fino al momento in cui agli stessi venga resa nota la sua risoluzione. E’ anche frequente il caso in cui l’agente riceve l’incarico specifico di condurre a termine una certa operazione, compiuta la quale il rapporto d’agenzia s’intende esaurito. Tanto il preponente quanto l’agente possono chiudere anzitempo il loro rapporto: peraltro, quando una decisione di tal genere risulti ingiustificata e comporti un danno per la controparte, può esporre ad un’azione giudiziaria per “breach of contract”. Non sono previsti, a differenza di quanto avviene in Italia, termini minimi inderogabili di preavviso, che andranno concordati di volta in volta tra le parti. In particolare, nel caso in cui l’autorizzazione o la procura conferita ad un agente si accompagni ad un interesse economico dell’agente alla realizzazione dell’operazione, l’agenzia non può essere revocata per iniziativa unilaterale del preponente, salvo diversa intesa intercorsa tra le parti. Un contratto d’agenzia solitamente definisce i casi d’inadempimento (ad esempio, mancata effettuazione dei pagamenti secondo i termini dell’accordo o mancato raggiungimento delle quote di vendita contrattualmente previste ) e i periodi di tempo entro i quali la parte inadempiente può porvi rimedio. Tali previsioni di casi d’inadempimento vengono di solito valutate favorevolmente dalle Corti americane, a meno che la disparità nelle posizioni contrattuali non renda la previsione irragionevole. In assenza di apposite disposizioni contrattuali la parte adempiente ha comunque la facoltà di sospendere l’ esecuzione delle sue prestazioni qualora l’inadempimento di controparte risulti in base ad una valutazione di fatto essenziale.

[148] Ha, inoltre, il potere di negoziare contratti di acquisto e di vendita per conto del Preponente, definire condizioni e concludere transazioni per conto e in nome del Preponente.

[149] La previsione legislativa di risarcimenti straordinari (“danni punitivi”) a carico di Preponenti inadempienti risponde proprio a tale obiettivo.

[150] Nella Section 2-314 si legge che a meno che non sia esclusa o modificata (Sec. 2-316), la garanzia che i beni sono commerciabili è implicita nel contratto di vendita, se il venditore è un commerciante che vende merce di quel tipo. La Sec. 2-315 prevede invece che qualora il venditore al momento della conclusione del contratto, sia a conoscenza dello scopo per il quale le merci sono richieste e del fatto che l’acquirente confida nell’abilità del venditore nella scelta e nella fornitura di merci che fanno a suo caso, vi è una garanzia che le merci saranno idonee a quello scopo, a meno che la garanzia non sia esclusa o limitata ai sensi del disposto della Sezione seguente. La Sec. 2-316 prescrive invece che per modificare o escludere la garanzia implicita di commerciabilità a parte di essa la lettera del contratto deve indicare l’espressione commerciabilità, e, nel caso di scritture, l’espressione deve essere chiara, e per modificare od escludere una garanzia implicita di commerciabilità ogni limitazione deve essere scritta e chiara. Infine la Sec. 2-318 contiene la seguente previsione “una garanzia resa dal venditore, esplicita o implicita, si estende ad ogni persona della famiglia, ovviamente nella casa dell’acquirente, e ad ogni ospite, se è ragionevole aspettarsi che tale persona possa usare, consumare il prodotto o essere danneggiata da questo. Il venditore non può escludere o limitare l’operatività di questa sezione.

[151] Le provvigioni maturate dall’Agente dovranno essergli corrisposte nello stesso luogo in cui sono state corrisposte tutte le precedenti, a meno che lo stesso Agente non richieda il pagamento tramite posta. In tal caso, le provvigioni saranno considerate pagate alla data indicata sul timbro postale.

[152] Ardino A., Stati Uniti, Firenze 1988.

[153] La legge consente, infatti, alle parti di disciplinare il proprio rapporto nella più completa libertà, potendo inserire nel contratto qualunque disposizione ritengano opportuna.

[154] Horwitz Morton J. , La trasformazione del diritto americano, Bologna 2004.

[155] Friedman Lawrence M., Storia del diritto americano, Milano 1995.

[156] Brenna A.,  La gestione d’affari altrui e i suoi equivalenti nel diritto anglo-americano Milano 1993.

[157] Sempre in tema di esclusiva, lo Uniform Commerciai Code (sorta di Codice commerciale riconosciuto ed applicato in tutti gli Stati ad eccezione delle Louisiana) impone al fornitore e al distributore un generale dovere di impegno massimo (best efforts) nella fornitura e nella successiva rivendita dei prodotti.

[158] Il Code riflette una disciplina contrattuale che risulta conforme alle esigenze di una società neocapitalista. Proprio perché espresso da una società nella quale le forme di economia del benessere si sono completamente affermate, il Code protegge particolarmente gli interessi del pubblico, anche se regole di fatto più favorevoli all’impresa denunciano le contraddizioni inerenti ad ogni ordinamento nel quale sussistono sia le strategie di profitto delle industrie che gli interessi dei consumatori. Il Code riprende infatti la passata tradizione da sempre più favorevole al venditore, con numerose regole tratte dall’Uniform Sales Act. In tema di express warranties c’è la ripresa della definizione contenuta nella legge previgente. Alpa G.,Responsabilità dell’impresa e tutela del consumatore, Milano, 1975, p. 255.

[159] Tali clausole dovranno, inoltre, essere verificate tenendo presente le normative vigenti nello Stato in cui il contratto troverà esecuzione.

[160] Il Paese è diviso in 47 prefetture, comprese le due prefetture urbane di Kyoto ed Osaka, e la metropoli di Tokyo. Le caratteristiche orografiche del paese e l’estrema parcellizzazione degli appezzamenti agricoli hanno reso necessaria l’adozione di metodi di coltivazione intensivi ad alto impiego di capitali. Principale produzione vegetale è il riso, ma nel paese si coltivano anche frumento, patate, soia e tè. Il Giappone è al terzo posto nel mondo per quantità di pesce pescato. Il Giappone è la

seconda potenza industriale del mondo. La struttura dell’industria nipponica si è recentemente diversificata dalle produzioni pesanti, che hanno caratterizzato lo sviluppo del settore durante gli anni settanta, verso produzioni a elevato valore aggiunto e a basso impiego di materiali, quali l’informatica, le telecomunicazioni e la biotecnologia. L’industria automobilistica giapponese è una delle maggiori del mondo. Tra gli altri settori tradizionali vi sono la cantieristica navale, la metallurgia, la chimica e la petrolchimica. Accanto ai colossi dell’industria esiste inoltre un vastissimo indotto costituito da imprese di piccole e medie dimensioni.

[161] La caratteristica fondamentale e frequentemente  menzionata, per descrivere il sistema distributivo giapponese è proprio quella di un sistema composto da un eccessivo numero di dettaglianti e di grossisti di vario livello, comparato a quello degli altri paesi industrializzati. Czinkota R., Distribution in Japan: Problems and Change, in Columbia Journal of World Business, 1995.

Secondo dati del MITI, relativi al 1988, si contavano in Giappone circa 1.62 milioni di punti vendita (circa 132 negozi per 10.000 persone), (MITI 1989; Japan Economic Institute Report, Tokyo, marzo 1989). Nello stesso anno, in USA si contavano solo 1.1 milioni di punti vendita (circa 45 negozi per 10.000 persone). Fino a pochi anni fa, infatti,  era  il piccolo dettaglio che dominava la scena  del mercato giapponese, mentre oggi si sta assistendo ad un inversione di tendenza a vantaggio del grande dettaglio1.

[162] Il tradizionale sistema distributivo giapponese sta modificando i suoi tratti essenziali, orientandosi verso una più razionale organizzazione ed una maggiore efficienza, anche se rimane in ogni caso unico e attaccato alle sue peculiarità. Il  sistema distributivo giapponese è caratterizzato oggi da tratti tipicamente, nipponici  e da alcuni aspetti  d’ispirazione occidentale. Le politiche e le strategie distributive adottate dai produttori, sono estremamente importanti, in Giappone. Oggi, molti di questi produttori si stanno impegnando a individuare più adeguate  politiche distributive, in relazione ai cambiamenti, che il mercato del paese sta affrontando. Itoh, T. e M. M., Is the Japanese distribution system really inefficient?, Chicago: University of Chicago Press, 1991.

[163] Kanamori, H., Innovation and industrial structure, Tokyo: Japan Economic Journal Press, 1995.

[164] All’inizio del febbraio 1993 il Ministero del commercio internazionale e dell’industria (MITI), attuale Ministero per l’economia, l’industria e il commercio (METI), ha creato un centro di assistenza agli investitori esteri in Giappone (Foreign Affiliate Business Support Company). Il valore complessivo degli investimenti esteri diretti, da 3 anni è in continuo aumento, nel 1998 era stato di 1.340 miliardi di yen nel 1999 di 2.399 miliardi di yen e nel 2000 3.125 miliardi di yen.

[165] A febbraio 2003 ne esistono 22: Aomori (porto di Hachinohe), Miyagi (porto e aeroporto di Sendai), Kawasaki (porto), Yokohama, Niigata (porto), Ishikawa (aeroporto di Komatsu), Shizuoka (porto di Shimizu), Kyoto (porto di Maizuru), Osaka Prefettura (aeroporto Internazionale del Kansai), Osaka città (porto e World Trade Center), Kobe (porto), Tottori e Shimane (porto di Sakai), Okayama (aeroporto di Okayama), Hiroshima (aeroporto di Hiroshima, Yamaguchi (porto di Shimonoseki), Ehime (porto di Matsuyama), Kochi (porto di Kochi), Kitakyushu (porto), Nagasaki (aeroporto), Kumamoto (porto), Oita (porto) e Ibaraki (porto di Hitachinaka). Oltre alla disponibilità di infrastrutture, le imprese che utilizzano i servizi delle FAZ possono godere delle seguenti agevolazioni: prestiti a tasso agevolato, in particolare per le PMI; garanzie al credito e finanziamenti del 5% sul costo delle infrastrutture; trattamenti fiscali privilegiati sugli immobili; centri di supporto facenti capo alla Jetro per l’organizzazione di fiere commerciali e per favorire i contatti tra gli operatori economici.

[166] Per quanto riguarda la distribuzione dei prodotti di abbigliamento di importazione, questi possono seguire percorsi diversi a seconda dell’ammontare dei prodotti esportati, dalla disponibilità economica e dal livello di controllo, che si desidera stabilire sulle attività distributive e sul mercato. Le principali vie per accedere al mercato nipponico sono le Trading Companies, generali o specializzate, le concessioni di licenze, la creazione di joint-venture o tramite il direct marketing.  Negli ultimi anni il processo di internazionalizzazione, che sta investendo l’intero paese, ha contribuito a ridurre il ruolo delle Trading giapponesi nella commercializzazione dei prodotti esteri a vantaggio di un maggiore inserimento nel mercato interno, da parte degli operatori stranieri.

Nella maggior parte dei casi, i prodotti di abbigliamento vengono importati in Giappone, tramite le Trading Companies, (generali o specializzate) e vengono distribuiti dai grossisti, specializzati per categorie di prodotti (abbigliamento femminile, maschile, ragazzi, accessori ecc.). Qualche volta l’importazione è organizzata dalle Trading Companies estere, del paese importatore, in questi casi, i prodotti vengono distribuiti, o tramite l’appoggio delle trading giapponesi, o direttamente ai dettaglianti.

[167] Terminata la guerra, Motoyama torna in Giappone, con la precisa idea di contribuire alla ricostruzione di un Giappone migliore, pacifico e più vicino all’occidente. Dopo la morte del padre decide di continuare l’attività commerciale, ma con un’ottica del tutto diversa da quella passata. Choichiro Motoyama, comprende l’importanza delle relazioni e degli scambi internazionali per il suo paese, completamene  distrutto dagli avvenimenti bellici e persegue l’obiettivo di avvicinare  il Giappone all’occidente, tramite l’importazione  e la vendita di prodotti stranieri di lusso. Comincia a viaggiare, con il preciso motivo di individuare i migliori prodotti, che i mercati esteri possono offrire al Giappone. Nel 1959 è in Italia, a Firenze, questa città rappresenta per lui un importante punto di riferimento artistico e culturale, rimane completamente affascinato dalla architettura delle strutture fiorentine, così diverse dal suo lontano Giappone. È in questi anni che Motoyama entra in contatto con la famiglia Gucci, apprezzandone profondamente i prodotti.

[168] Nel  1986 Choichiro Motoyama riceve il titolo di cavaliere dal governo italiano, per il suo continuo impegno nella diffusione della cultura e dell’arte italiana in Giappone.

[169] L’interazione di questi fattori nel tempo, ha contribuito a fare emergere un’opposta realtà, cioè quella dei distributori di grandi dimensioni con alta produttività, che hanno saputo sfruttare i cambiamenti intervenuti nel mercato giapponese.  In Giappone, infatti,  accanto ad una forte presenza, (anche se diminuita rispetto a dieci anni fa), di punti vendita di piccole dimensioni, esiste una realtà fatta di grandi Department  Stores, di supermercati e ipermercati in continua evoluzione e crescita.  Dal 1980 al 1998, il numero dei Department  Stores e dei supermercati di grandi dimensioni è più che  raddoppiato (Japan Economic Institute Report, marzo 1999). Ma il vero e proprio decollo di tipologie di vendita, come ipermercati, negozi  basati sul servizio a self-service, negozi specializzati, Discount  stores e negozi in franchising, si è avuto durante tutto il corso degli anni ’90, in seguito all’abbattimento delle  numerose restrizioni governative. Ikeda, Y., Distribution Innovation in Japan and  the role played by  General  Trading Companies, Management Japan N°12, 1990.

[170] E fu così che venne aperto il primo punto vendita Sun Motoyama (nel 1959) nella prestigiosa zona di Yurakucho e successivamente, nel 1964, il negozio fu trasferito nella più centrale zona denominata  Ginza e ne furono aperti altri due rispettivamente nella città di Osaka e nella cittadina turistica di Karuizawa (considerata un po’ come la nostra Cortina).

[171] Le attività di esportazione richiedono la collaborazione di un partner locale la cui scelta può spesso risultare complicata per un’impresa straniera che non conosca a fondo la struttura del mercato, le funzioni svolte dagli operatori economici e i rapporti vigenti tra di essi. Yoshino, M.Y., e Thomas B., The invisible link: Japan’s Sogo Shosha and the organization of trade, New York: Praeger, 1986. Oltre ai criteri generalmente sempre validi, di verificare la solidità finanziaria, la competenza tecnica, la struttura organizzativa, l’esperienza e la fama acquisita dalle imprese con cui potrebbero nascere rapporti di collaborazione, il Giappone presenta tutta una serie di peculiarità che vanno tenute ben presenti. Soprattutto si deve osservare l’esistenza di una vastissima gamma di società commerciali,  (Sogo Shosha), le quali come è stato visto possono variare per dimensioni, settori e natura del loro business. La maggior parte di esse si occupa quasi esclusivamente di import-export, mentre altre svolgono direttamente anche attività produttive  collegate strettamente alle imprese manifatturiere. Young, A.K., The Sogo Shosha: Japan’s multinational trading companies”, Columbia Journal of World Business, 1995. Il fatto di scegliere una Sogo Shosha come partner per la collocazione dei prodotti sul mercato giapponese implica una serie di vantaggi e di svantaggi per le imprese straniere. In primo luogo, gli stretti legami delle Sogo Shosha con le altre  società appartenenti allo stesso Keiretsu consentono di facilitare la collocazione dei prodotti sul mercato interno.

[172] L’azienda Etro è specializzata nella produzione di capi d’abbigliamento di alta gamma realizzati in Cashmire, particolarmente apprezzati in Giappone.

[173] Tuttavia la competizione è andata crescendo e oggi sono presenti sul mercato un grande numero di negozi specializzati, che vendono articoli  di alta gamma importati, primo fra tutti risulta essere la catena di negozi specializzati chiamata Wakko.

[174] Il processo di internazionalizzazione, orami ampiamente avviato in Giappone, ha influenzato notevolmente, il sistema distributivo giapponese, ed ha inciso sull’ampliamento degli ambiti competitivi, modificando radicalmente gli assetti concorrenziali. Si può parlare in questo caso di concorrenza allargata, che coinvolge non solo i punti vendita della medesima forma distributiva, ma diverse formule commerciali, sia a livello locale che a livello generale di imprese. Czinkota, M., Distribution in Japan: Problems and changes, Columbia: Journal of World Business, 1995). L’ampliamento degli ambiti concorrenziali non si verifica solo seguendo una traiettoria orizzontale, ponendo l’impresa commerciale in relazioni competitive con i nuovi intermediari, ma si manifesta anche in senso verticale, estendendosi agli altri soggetti coinvolti nel canale e in particolare, ai fornitori industriali. Lo sviluppo della marca commerciale apre infatti, un ulteriore fronte competitivo: viene così a configurarsi una concorrenza orizzontale (tra marche), con l’industria, che va ad aggiungersi a quella verticale, rendendo notevolmente più articolati i rapporti di canale. Hasegawa K., Japanese style management; an insider’s analysis, New York: Kodansha International Limited, 1986). Tra industria e distribuzione non si riscontra esclusivamente un accrescimento delle situazioni conflittuali, ma si verificano anche, come si è visto sino a questo punto, numerose opportunità di collaborazione. L’accrescimento della pressione competitiva orizzontale a tutti i livelli di intermediazione  e la maggiore autonomia gestionale conseguita dalle imprese commerciali, rappresentano anche i motivi alla base della ricerca di opportunità di collaborazione. Infatti, in seguito alla costituzione di rapporti di partnership, emergono opportunità di sfruttare sinergie che possono trasformarsi, per le imprese coinvolte nella relazione, in vantaggi competitivi utili per fronteggiare la crescente pressione competitiva orizzontale.

[175] Dall’altra parte la presa dei prodotti di marca è nettamente superiore soprattutto tenendo in considerazione la mentalità giapponese, che considera come uno status symbol il possedere articoli griffati. Un altro aspetto di particolare rilievo nelle strategie aziendali future è l’attenzione rivolta al marketing relazionale, il cui obiettivo è quello di stabilire dei contatti diretti e di fortificare i rapporti già esistenti con i  propri clienti o con i potenziali acquirenti, per arrivare alla creazione di un rapporto durevole e reciprocamente vantaggioso. L’azienda intende, al proposito potenziare il suo date-base e cercando di arrivare ad una segmentazione più particolareggiata della sua clientela, per cogliere con più precisione  i relativi bisogni e se possibile anticipandoli, in modo da rispondere il più velocemente possibile ad essi.

[176] Oggi, il problema è quello di rendere compatibili ed armoniche le azioni svolte dai produttori e dai distributori. Si tratta, in pratica di instaurare relazioni fondate sulla “partnership” tra  le grandi imprese commerciali indipendenti e le tradizionali imprese industriali per il raggiungimento dei rispettivi obiettivi. Questo si può realizzare, utilizzando  un approccio di Trade Marketing, volto a contribuire all’aumento dell’efficacia dell’azione di marketing dell’azienda, attraverso il  soddisfacimento delle specifiche esigenze dei propri clienti commerciali. Cuomo, G., Riflessioni sul trade marketing, Milano1989.

[177] È vera l’affermazione secondo cui, la moda è qualcosa che matura sulla base di un ambiente e di una  cultura specifica ed è vero anche che in questo momento, è la moda europea ad imporsi in tutto il mondo, (il che può equivalere a dire che la cultura europea prevale un po’ ovunque), ma non si deve dimenticare che i gusti dei consumatori sono in continua evoluzione e che possono cambiare da un momento all’altro e non solo in seguito a recessioni economiche.

[178] L’azienda Takase ha registrato negli ultimi dieci anni un notevole incremento delle vendite e del relativo fatturato, come è indicato nella Figura 5.2. Inoltre, il numero dei dipendenti è quasi raddoppiato, passando da 690 persone impiegate nel 1989 alle 1250 di oggi.

[179] Questi centri di raccolta sono dotati di sistemi POS-scanner, il cui fine  è quello di razionalizzare quanto più possibile il ciclo operativo della gestione attraverso un monitoraggio tempestivo della merce in entrata (acquisti) e di quella in uscita (vendite).

[180] Il Giappone viene suddiviso commercialmente dalla Takase, in quattro grandi aree, rispettivamente la parte nord del paese, chiamata Hokkaido, quella centrale detta Honshu (dove si trova Tokyo) e le restanti chiamate Shikoku e Kyushu, che si trovano nella zona sud. In ciascuna di queste zone ci sono delle filiali, per un totale di 62 filiali  in tutto il paese, le quali si occupano di gestire e controllare la distribuzione sul territorio.

[181] L’interesse dell’azienda verso il nostro paese è così aumento notevolmente e sono aumentate le linee di prodotti trattate, in seguito alla crescente domanda dei consumatori giapponesi.

[182] È così assicurata la velocità e la tempestività delle consegne, (viene adottato il sistema just in time, che consiste nel consegnare spesso in piccole quantità), il controllo della qualità e la sicurezza  relativa all’affidabilità di ogni singolo  prodotto.

[183] Periodicamente, personale della Takase  allestisce ricercati  e fantasiosi banchetti, nei ristoranti che fanno parte della Takase Restaurant Culture Association, e propone nuovi piatti e nuove idee per l’utilizzo dei vari prodotti. Queste sono occasioni considerate di estrema importanza per l’azienda, che ha la possibilità di  comunicare direttamente con il cliente stimolando nuovi consumi.

[184] Ciascuna di queste divisioni si occupa della gestione e dell’organizzazione della distribuzione nelle diverse aree geografiche, che sono profondamente diverse l’una dall’altra e che di conseguenza hanno caratteristiche e necessità differenti.

[185] In  generale, si può affermare che la forza dell’azienda risiede nella capacità della sua struttura di reagire in tempi brevi alle variazioni dei gusti dei consumatori giapponesi.

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